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Channel: Mara Pettignano, Autore presso Dissapore
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Pranzo di Natale: non date brodi ai siciliani, non sono malati

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“Non date mai a un siciliano un brodo per Natale”.

Nel codice non scritto della gastronomia isolana ci sono poche regole, questa però è inamovibile.

Il problema con i siciliani autentici è che potrebbero offendersi, pensando di essere trattati non con la dignità dell’ospite, ma come malati.

Benché sia di nuovo il loro momento, la Sicilia non è terra di brodi. Neanche di cappelletti: il pranzo di Natale è fatto da sempre di consistenze, pienezze, abbondanze.

Cosa, allora, non può mancare nel pranzo di Natale siciliano?

Segue rapida veduta d’insieme di 5 pietanze tradizionali e intramontabili, sia che si opti per la cena della Vigilia, o per il pranzo del 25.

CRISPELLE “C’ANGIOVA” O RICOTTA FRESCA

Interno crispella con ricottaA Catania immancabili nel cenone natalizio sono le crispelle.

Fatte con farina e lievito di birra e ripiene di acciughe o di ricotta fresca, vengono poi fritte in enormi pentoloni colmi di olio nelle numerose crispellerie della città.

Perparazione crispelleLa preparazione della forma è quanto di più folcloristico esista nelle pietanze catanesi.

La pasta passa da una mano all’altra nel giro di pochissimi secondi e viene poi buttata nel pentolone. La velocità della formazione della crispella è sbalorditiva.

Frittura delle crispelle Fra le migliori a Catania quelle de ‘Il chiosco delle crispelle’ in via Vincenzo Giuffrida, Prestipino in Corso delle Provincie e Viglianisi in via Plebiscito.

Untuose al punto giusto, da sole, in occasioni normali, potrebbero fungere da cena. Ma nel menu di Natale rappresentano appena un antipasto.

RIPIDDU NIVICATU

Ripiddu NivicatuE’ una rivisitazione della pasta con il nero delle seppie.

Nasce nel 1974, quando ancora da queste parti non esisteva la spettacolarizzazione del piatto, su idea di Giuseppe La Rosa, padre degli attuali titolari de ‘La Siciliana’, tempio della gastronomia tradizionale catanese.

ripiddu2-1Il ripiddu nivicatu richiama sia nel nome che nella forma l’Etna in eruzione sul piatto. Il fascino nero di Catania è servito.

La preparazione è semplice ma di grande effetto anche per un pranzo di famiglia: della ricotta fresca viene fatta riscaldare su forme di ghisa create appositamente ed unte di olio affinché il preparato non si attacchi al fondo.

Nelle forme viene poi posto il risotto al nero delle seppie per essere successivamente sformato.

Sul cratere viene infine fatta colare una striscia di lava: salsa di pomodoro resa leggermente piccante dall’aggiunta di peperoncino. La ricotta fresca dona morbidezza al piatto dal condimento nero, usualmente abbinato alla ricotta salata o, per i più tradizionali, al pecorino. 

PASTA NCACIATA

Pasta ncaciataOpulenta, ricca, “ncaciata“, cioè piena di cacio. La pasta ncaciata ha origini nel messinese, ma fa parte, sia pure con qualche variazione nel condimento, della tradizione natalizia di ogni città siciliana.

Ragù, uova sode, melanzane e ovviamente cacio in quantità per il piatto che rappresenta al meglio il gusto della cucina delle nonne siciliane. Nel gelese e ad Agrigento viene aggiunto il cavolfiore, nel catanese le melanzane.

Da non confondere con la pasta “ncasciata“, un’altra preparazione siciliana, che invece significa incassata, messa in cassetta e poi infornata.

BACCALA’ FRITTO E  “PIPI SICCHI” DI AUGUSTA

baccala-1E’ un classico del pranzo (o cena) di Natale e viene ripresentato anche al cenone di Capodanno.

Fra le preparazioni del baccalà, scegliamo quella di Augusta, città a metà strada tra Catania e Siracusa, ma con tradizioni peculiari e rimaste intatte.

Il baccalà augustano si distingue per la presenza dei pomodori secchi. baccalatanti-1 Il pesce, appartenente alla famiglia dei merluzzi, prima della preparazione deve essere ammollato in modo che le carni diventino polpose e morbide perdendo il sale.

Posto in una ciotola con pomodori secchi fatti a piccoli pezzi e cipolletta fresca, viene poi incorporato alla pastella e fritto in abbondante olio caldo.

Ne verrà fuori una polpetta schiacciata e croccante.

pipisicchi-1Ad Augusta il baccalà fritto viene accompagnato dai “pipi sicchi”, preparazione che ricorda quella dei peperoni cruschi lucani.

I peperoni utilizzati per essere essiccati sono rossi e caratterizzati da uno spessore sottile e da un basso contenuto di acqua. Il peperone consente così una rapida essiccazione praticata secondo un metodo naturale: per due o tre giorni, nei mesi estivi, i peperoni appena raccolti vengono stesi su reti nella penombra di locali asciutti e ben areati.

Vengono poi conservati, al momento della preparazione si fanno rinvenire in acqua bollente. Infine vengono cucinati insieme a leggero soffritto di cipolla e pomodori pelati.

FALSOMAGRO

carne falsomagro-1Il nome dice tutto. La pietanza sembra magra ma è solo apparenza. Una fetta di carne ricavata dal perno o fesa, battuta in modo da spianarla, disposta a rotolo e legata con lo spago.

All’interno tutta una farcia di condimenti che contribuiscono a rendere il magro falso: una fetta di mortadella adagiata sulla carne a contenere salsiccia, cipollotto, formaggi vari, prezzemolo. La farcia varia da città a città. A Catania si usa più la mortadella, mentre nelle altre zone si opta per il prosciutto e la pancetta.

Per un perfetto taglio, nella città di Palermo, basta andare da Cottone, in via Messina Marine. La macelleria, che si trova in una zona quasi degradata, è gestita dai quattro membri della famiglia Cottone, guidati dal padre, Emanuele.

IMG_8840Risoluti nella scelta di far crescere il loro progetto, alla ricerca delle carni pregiate in Sicilia e nel resto dell’Italia, i Cottone sono consapevoli di affidare il futuro della piccola macelleria nelle mani di Francesco.

Ambizioso, riflessivo, compunto, anche un po’ “cocco di mamma”, Francesco segue le orme del padre, stuzzica l’orgoglio dei Cottone, aggiunge un tocco di eleganza programmata al progetto di famiglia. 

Più “ribelle” ma fondamentale per il futuro della macelleria è Annachiara, secondogenita, che non riesce tenere a freno la passione per la fotografia, unendo utile a dilettevole e contribuendo non poco a elevare le carni, fotografate egregiamente.

SFINCI DI NATALE

13943082380_60442dd427_kA Palermo sono dolci natalizi, nel ragusano sono rituali di San Martino. Le sfinci di cui parliamo sono quelle “aruci“, dolci, che possono confondersi con lo sfincione salato.

Secondo la tradizione, la suocera dovrebbe prepararle al genero.

Scegliamo la versione con le patate. Si impastano fino a ottenere una massa molliccia e si fanno lievitare per circa due ore. Si possono aromatizzare a piacere con scorza di limone o cannella. Infine si friggono in abbondante olio e a cottura ultimata vengono immerse nello zucchero.

E va bene, avevamo detto che erano cinque i piatti siciliani per il menu di Natale. Ma senza dolce che Natale è?


Dove mangiare e bere a Palermo: facendo le pulci al New York Times

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Trentasei ore di vacanza a Palermo, dove andare? Dopo Milano e Roma il New York Times con la rubrica 36 Hours estende le risposte a Palermo, inclusi gli indirizzi per gustare le specialità dell’isola.

Fedele alla linea il quotidiano americano passa in rassegna posti contemporanei, modaioli, alla mano ma affascinanti sino a quelli tipici e più istituzionali.

E se il giudizio su Palermo non è proprio lusinghiero “città fatiscente con accenni di progresso tra le crepe, dove dal degrado fiorisce a volte l’eccellenza, compresi gli intramontabili cliché del siciliano ben vestito che pare appena uscito da un “mafioso movie”. 

Ci offendiamo? Non direi, sorridiamo casomai, commentando con il vostro aiuto e suggerendo, visto che abbiamo una lista similealternative interessanti.

ENOTECA VINOVERITAS

In effetti è l’enoteca del momento. Ambientazione calda e moderna, profusione di legno, Vinoveritas ha costruito un’offerta personale di vini siciliani disponibili anche online, con molta qualità. La cucina del locale va oltre i consueti abbinamenti con salumi e formaggi, a volte scontati e un po’ noiosi. Nel menu invitanti piatti di pesce e da poco anche promettenti dolci fatti in casa.

ALTERNATIVE

Scelta azzeccata, chi vuole un’alternativa può provare l’enoteca Butticè in Piazza S. Francesco di Paola, gestita da autentici cultori del vino.

RISTORANTE PERCIASACCHI

perciasacchi

“Facciamo la pizza ma non siamo una pizzeria”. Due donne, madre e figlia, presentano così Perciasacchi, il locale che prende il nome dalla farina omonima, ricavata da un grano antico coltivato un tempo in tutta la Sicilia, e ora usato per gli impasti della pizza.

Il ristorante dalla gestione attenta e cordiale che si avvale soltanto di piccoli fornitori locali, propone oltre alle pizze specialità della tradizione palermitana come le sarde marinate e fritte. E’ consigliata la prenotazione.

ALTERNATIVE

Due alternative palermitane a prezzi contenuti per la pizza: Il vecchio cortile e Comparucci in Via Messina.

NNI FRANCO U VASTIDDARU

Nni Franco u Vastiddaru - Palermo‘Nni Francu u vastiddaru’ è un classico indirizzo dello street food palermitano. Il titolare, Franco, nato e cresciuto alla Focacceria San Francesco alla scuola di “Ninu u ragazzo”, è morto dopo una lunga malattia nel maggio del 2015.

A continuare la tradizione di famiglia è il figlio Antonino, che preparare piccole meraviglie locali come pannelle, crocchè e pane con la meusa. Un luogo per “cristiani alla buona”, come la filosofia del posto, spicciolati, che mangiano bene a pochi euro.

Pane e panelle - Nni Franco u Vastiddaru - PalermoA pochi passi dal mare ma vicino alla via Chiavettieri (via dei locali della movida) è frequentato da famiglie, turisti, e da qualche tempo anche da giovani. I tavoli di plastica sistemati fuori sono apparecchiati alla buona con le tovaglie di carta.

ALTERNATIVA

Andando oltre il sancta-sanctorum del cibo di strada locale, adesso a Palermo bisogna andare da Davide, ancora poco conosciuto, posto col suo carrettone in viale Croce Rossa.

Quattro i tipi di pane che propone oltre al classico: tuminia, kamut, russello, cinque cereali. Frittura pulita e asciutta, la migliore della città.

MERCATO DEL CAPO

mercato del capo, palermo

Sottolineare il folclore e il caos di un mercato siciliano è tanto affascinante quanto scontato. Il New York Times parla di spintoni, folla, manzo che sanguina, bancarelle fatiscenti. E della chiesa dell’Immacolata Concezione al Capo, trascurata all’esterno, ma con affreschi abbaglianti da apprezzare in un silenzio reso ancora più assordante dal caos esterno.

E va bene, insomma, la descrizione è bella e corretta ma un assaggio dei “purpi” bolliti e serviti caldi con olio e limone, niente?

PASTICCERIA CAPPELLO

Pasticceria Cappello - PalermoTappa obbligata per chiunque decida di visitare Palermo. Dal 1940, i Cappello sono i pasticceri della città che hanno sdoganato e ripensato la torta setteveli (famoso dolce al cioccolato firmato Biasetto-Beduschi-Mannori) in SiciliaSette Veli pasticceria Cappello

Storicamente in via Colonna Rotta, ha da poco aperto un secondo punto vendita in via Garzilli.Pasticceria Cappello - Palermo

KURSAAL KALHESA

KURSAAL KALHESAAl New York Times va riconosciuto di saper scegliere i posti pieni di fascino. Nato come caffè letterario, Kursaal Kahlesa al Foro è ospitato in una struttura multipiano con ambienti destinati a eventi differente.

Al secondo piano c’è una bellissima terrazza che molti palermitani scelgono per le feste di laurea.

ANTICO CAFFE SPINNATO

Uno dei bar che le guide di settore premiano da anni, non significa soltanto colazione. Allo Spinnato si pranza e si cena grazie a una proposta di rosticceria insolitamente ricca. Nato anni fa come pastificio, oggi è il vero salotto di Palermo, elegante e d’atmosfera, in via Principe di Belmonte.

BAR GARIBALDI

Bar Garibaldi

Per un americano sedere accanto a un “hard-drinking communist” potrà avere il suo fascino ma il bar Garibaldi è fin troppo radical-chic. La musica spesso suonata dal vivo è bella, ma nei pressi, se avete voglia di scaldarvi, c’è la famosa cioccolata in tazza di Lorenzo in via IV Aprile.

[Crediti | Link e immagini: Dissapore, New York Times]

Shalai, nuova stella Michelin siciliana under 35

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Shalai è il primo ristorante in provincia di Catania a conquistare la stella Michelin. Sì, certo, c’è quella del “Coria” di Caltagirone, ma il territorio calatino è una storia a sé, troppo poco etneo per essere vissuto come catanese.

Comprensibile allora l’entusiasmo intorno a questa assegnazione, e pure la curiosità: benché già segnalato da qualche guida il locale è ancora misterioso per buona parte dei gourmet locali.

Ma a 32 anni ostinatamente portati, l’enfant prodige Giovanni Santoro, chef-ragazzo che ha deciso di restare nella sua terra, in Sicilia, merita la stella Michelin?

Sembra paradossale, ma Shalai senza stella è un ottimo ristorante, con la stella manca di qualcosa.

Del resto, il riconoscimento porta con sé aspettative diverse, se prima sorprendevano gli aspetti positivi adesso si è meno disposti a sorvolare sui difetti.

UNO SPLENDIDO RESORT NEL CUORE DELL’ETNA

Uno dei pochi rumori che interrompe il silenzio di Linguaglossa arriva dai pneumatici delle auto che percorrono il basolato di pietra lavica, peculiare dei paesi etnei del versante Nord.

Gli scorci offerti dal mare Jonio, dietro di noi, a pochi chilometri, ci hanno accompagnato per tutto il viaggio. Una breve sosta come da tradizione al Pino Azzurro, per mangiare gli “occhi di bue”, dolci da colazione fatti con pasta frolla e un cuore di marmellata, e siamo ormai a pochi passi alla meta neo-stellata.

Affresco Caramagno - LinguaglossaNelle vie labirintiche che portano al resort i muri delle case abbandonate sorprendono e rubano gli sguardi con gli affreschi del pittore naïf Caramagno, chissà come finiti qui. Linguaglossa - affresco di Caramagno

Poi finalmente Shalai.

“Benvenuti a casa” si legge nella vetrata accanto al portone principale del resort.

Il palazzo è una residenza signorile ottocentesca con indole contemporanea ristrutturata senza comprometterne l’originalità.
Esterno Shalai
Shalai esternoImponente ma silenzioso, di un colore verde che sembra nato insieme alla struttura, ospita a pian terreno il ristorante, in due piccole sale ombrose, scelta voluta che non renderà giustizia ai colori dei piatti ma enfatizza la sensazione di intimità.
Shalai interno

Leo, il titolare, incarna la filosofia del locale. Piccoli occhiali colorati è particolare nell’aspetto, di un’impeccabilità sui generis, introverso e raffinato.

Rispetto alle precedenti visite, in cui lo avevamo trovato più disinvolto in sala, oggi sembra colto da un ineffabile “panico da stella“.

Non ha mai perso la sua delicatezza e la sua gentilezza. Ma un tavolo che traballa, dei bambini un pò dispettosi, e la sensazione che i clienti ti stiano guardando come tanti ispettori di una guida lo confondono benché sia abile a dissimulare.

I PIATTI

Ma la stella Michelin sta soprattutto nei piatti ed è lì che la cerchiamo. Dei tre menu degustazione proposti scegliamo quello a base di carne, che costa 70 euro, più adatto al contesto di montagna in cui ci troviamo, con alcune aggiunte alla carta.

La prima delle sei portate è una terrina di fegato d’oca con il suo petto scottato.

Il fegato si esprime in bocca con sensualità, lo stesso non si può dire del resto.

Non si avverte la laccatura all’arancia, dolce promessa in fase di presentazione del piatto, la carne interrompe la magia del piatto.

Shalai - paneIrresistibile invece il pane proposto in quattro varianti di aromi siciliani, dal pomodoro al limone. Morbido e gustoso è tra i migliori mai assaggiati.

Shalai - tortino di cavolo viola

Più umile ma riuscito il tortino soffiato al cavoletto viola e ricotta fresca servito su vellutata di porri, patate e olive nere.

Sulle prime un sapore infantile richiama le frittate dell’infanzia poi il cavoletto viola prende il sopravvento rendendo tutto più maturo. Sempre piacevole ma adulto.

Shalai - Tartara di vitello
Il menu prosegue con una specialità di Giovanni Santoro, la vitellina a punta di coltello servita stavolta con una fonduta di formaggi e bacche di ginepro dell’Etna.

Presentazione che la cloche usata per esaltare l’affumicatura agli aghi di pino rende spettacolare. La fonduta, buona al sapore, avrebbe bisogno di una densità maggiore.

stincomaiale-1
Il secondo è uno stinco di maialino nero dei Nebrodi cotto lentamente a bassa temperatura con glassa dolce al marsala e vino cotto, accompagnato da baccelli di piselli e carote.

La cottura della carne esalta il sapore superbo. Ineccepibile l’accostamento con il marsala, vino dolce attore protagonista del territorio, prelibata la commistione dei sapori, peccato l’idea non sia proprio originale.

tortino-1-2
Il dolce è un panettoncino morbido appena sfornato su una centrifuga di pere, più adatto a un dessert da pomeriggio che alla conclusione di un pasto impegnativo.

Shalai - Cannolo
Fatichiamo a tenere la golosità sotto controllo e chiediamo un secondo dolce. Arriverà il cannolo, da queste parti un banco di prova impegnativo per qualsiasi chef.

Ancora una volta lo troviamo destrutturato, grazie a Dio non distrutto. Ma in tutta franchezza non è una scelta che rende giustizia al super classico siciliano.

LA CANTINA: OTTIMA , EPPURE MANCA IL SOMMELIER

Le campagne fuori dal paese, quelle che portano verso Randazzo, tra Linguaglossa e Castiglione, rappresentano il fulcro dell’Etna Rosso e dell’Etna Bianco. Intorno è tutto un profumo di vigne, oltre che di pietra lavica indurita dai secoli.

Ovunque si trovano indicazioni di aziende che producono le due DOC locali.

Vino Vivera - Martinella Shalai rispetta questa vocazione proponendo una scelta ampia di vini del territorio.

E’ un peccato che manchi il sommelier in sala a valorizzare ancora di più la zona, i vini, i piatti, come sottolinea l’assenza di un percorso consigliato di vini che accompagni i tre menu degustazione.

GIUDIZIO

In generale ricercato e studiato, il menu di Giovanni Santoro evidenzia una voglia di osare che ancora non esplode, una difficoltà ad andare oltre. Lo chef padroneggia la tecnica e rispetta gli ingredienti, fin troppo ossequioso (cannolo a parte). Nel suo bagaglio mancano ancora i sapori indimenticabili.

In ogni caso, più o meno meritata che sia, al di là dei misteriosi e inarrivabili criteri di giudizio degli ispettori della guida Michelin, la stella a Shalai è il premio meritato per una delle strutture più incantevoli nel versante Nord del vulcano.

Che alimenta il desiderio non solo di ritornare, ma anche di restare.
Shalai - particolare esterno

INFORMAZIONI

SHALAI
Via Guglielmo Marconi, 25
95015 Linguaglossa CT
tel. +39 095 643128
resort@shalai.it | direzione@shalai.it
www.shalai.it

Modica, la città del cioccolato (e non solo)

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Oggi dire Modica significa dire cioccolato, e dire Bonajuto, di recente celebrato anche dalla Bbc. Ma come sostiene Pierpaolo Ruta, erede dell’Antica Dolceria, la food valley modicana è anche molto altro.

Ricca e colta, contrappuntata in basso da un barocco garbato, con in alto una miriade di case che sembrano montate una sull’altra, la città è per chi la visita una lotta all’ultimo boccone.

Sorprende ad esempio un dolce povero, che si fa con gli scarti dei frutti più comuni in Sicilia: gli agrumi.

Niente cremosità e morbidezza, nessuna delle estenuanti dolcezze della pasticceria siciliana, stiamo parlando dell’aranciata e della cedrata modicana.

cedrata

DOLCI: ARANCIATA E CITRATA

“A citrata” è uno strano dolce preparato con la buccia dei cedri, quelli verdi, di novembre, usato in passato come digestivo dopo gli abbondanti pranzi natalizi.

La preparazione, un tempo affidata alla famiglie più povere che svolgevano il proprio lavoro in casa, è lunga e laboriosa. La scorza degli agrumi viene grattugiata delicatamente, raccolta e ammassata in sacchi di iuta. Questi vengono ammollati in acqua per tre giorni cambiando continuamente l’acqua per eliminare l’amaro. Infine, la pasta ottenuta viene lavorata insieme al miele evitando che si bruci.

Il risultato è una sorta di grande caramela: forma cilindrica, colore scuro, durezza simile al torrone. Il gusto del miele caramellato primeggia ma l’aroma degli agrumi è inconfondibile.

Aranciata Bonajuto

L’aranciata segue un procedimento simile.

Le bucce delle arance non vengono grattugiate ma tagliate in strisce sottili e poi, dopo essere state lavorate con il miele vengono modellate a forma di tortini.

Ne viene fuori un dolce passatempo gommoso dall’intenso sapore di agrumi di Sicilia.

Modica: aranciata

Come si usa con i fiori, il dolce era utilizzato a Modica per mandare segnali.

E si racconta che le nuore regalassero alle suocere un cuore di cedrata con un contorno di aranciata le cui scorze ricordano le spine.

CIOCCOLATERIE

Inutile dire che l’Antica dolceria Bonajuto è la più famosa interprete del cioccolato modicano. Così come è vano cercare di criticarne la fama: è tutta meritata.

Arredata in legno, stile classico, dalla ricchissima varietà, è la più antica della Sicilia.

La dolceria è da qualche generazione gestita dalla famiglia Ruta, ma poco conta perché la qualità non ne risente e anzi, proprio alle nuove generazioni si deve la rivalutazione del cioccolato di Modica di cui ha beneficiato l’intera cittadina.

antica dolceria bonajuto

antica dolceria bonajuto

antica dolceria bonajuto

antica dolceria bonajuto

antica dolceria bonajuto

antica dolceria bonajuto

antica dolceria bonajuto

I gusti proposti sono tantissimi: agrumi, cardamonio, zenzero, caffè, oltre alle intramontabili barrette alla vaniglia e alla cannella.

Per scoprire come si lavorava il cioccolato una volta basta spostarsi di pochi metri, nella pasticceria di Salvatore Di Lorenzo.

Di Lorenzo

metate, cioccolato modica

Custode dell’arte del cioccolato modicano, allievo dei primi Bonajuto, forse è l’ultimo dei cioccolatai in attività ad aver lavorato il cioccolato sulla metate, l’antico strumento a forma di lavatoio, in pietra lavica, dove il cioccolato veniva steso a freddo e armonizzato con lo zucchero.

Cuticci

Oggi a gestire insieme al padre il locale, certo non sfarzoso, è Giovanni. Silenzioso e in apparenza anonimo, tutto ci si aspetta da lui tranne che sia l’inventore dei cuticci, piccolo capolavoro di appartenenza a fantasia.

Si tratta di cioccolatini simili nella forma alle pietre che pavimentano le vie di Modica più antiche. Aromatizzati con finocchietto selvatico che cresce in abbondanza nelle campagna circostanti, sono assolutamente splendidi.

caffedellarte-1

Gestione familiare anche al Caffè dell’arte di Ignazio Iacona.

Qui è possibile gustare una buona cioccolata calda, solo e sempre con acqua perché il latte rischierebbe di rendere meno intenso e più grasso il gusto del cioccolato modicano.

mpanatigghi, modica

mpanatigghi di modica

Nelle dolcerie migliori è possibile assaggiare gli “mpanatigghi“, dolci ripieni di cioccolato e carne. Il taglio utilizzato è il controfiletto di vitello. Il gusto della carne non predomina e il risultato è ben equilibrato.

RISTORANTI E “PUTIE”

Ma come dicevamo un viaggio a Modica non può limitarsi ai soli dolci.

In passato ogni quartiere della città aveva la sua “putia ro vino”, una singolare osteria dove al consumo del vino si aggiungevano spesso un uovo duro e un pezzo di bollito (carne di manzo o a volta anche di polipo). Un modo di iniziare la giornata in allegria. Col passare degli anni queste putie sono del tutto scomparse, facendo posto a pizzerie, creperie, paninoteche, rosticcerie o altro.

Ma di recente ne è tornata qualcuna a popolare le stradine di Modica con buoni piatti a metà tra street food e trattoria. La putia del coppo in Corso Umberto I al 197, vale la visita.

Due i ristoranti da segnalare nella città rimasta orfana della Gazza Ladra, ristorante stellato rimasto senza chef, tentato dalle sirene cinesi.

Il primo è la Locanda del Colonello, da poco insignito del premio Best in Sicily come migliore trattoria siciliana. L’altro invece  è la Fattoria delle Torri, scelto per concludere la nostra visita nell’incanto di Modica.

Fattoria delle Torri

LA FATTORIA DELLE TORRI

La Fattoria delle Torri è un vecchio teatro ristrutturato con cura: atmosfera snob, linee squadrate nei divani impreziositi da disegni barocchi di colore verde, particolari sapientemente trascurati. 

Fattoria delle Torri: calamari con burrata

Alla bellezza dei piatti di Ninni Radicini, chef palermitano d’origine ma modicano di adozione contribuiscono anche i petali dei fiori, portatori di aromi indimenticabili. Colorati ma non chiassosi, imperfetti e affascinanti.

Fattoria delle Torri: verdureFAttoria delle Torri: spaghetti alla chitarra

Il pranzo è un vero viaggio per la Sicilia: i profumi delle campagne circostanti Modica, delle sterpaglie che portano a mare: le ripide discese di Pantelleria, le ghiaie di Milazzo, le dune di Santa Maria del Focallo.

Fattoria delle Torri: alalunga

Segnatevi l’alalunga su salsa di datterino dall’effetto pittorico con cottura (non cottura) che permette al pesce una morbidezza incalcolabile. Un quadro di mare selvatico e raffinato al tempo stesso.

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Fattoria delle Torri: dolce

Il menu degustazione del ristorante costa 60 euro, i vini in abbinamento, 15 euro, sono scelti dal cameriere brillante che in maniera poco formale, spontanea ma discreta, ve li serve.

INFORMAZIONI

modica

DOVE MANGIARE

Locanda del colonnello

Vico Biscari, 6 – 97015 Modica RG | Telefono:0932 752423

Fattoria delle Torri

Vico Napolitano, 41 – 97015 Modica RG | Telefono: 0932 751286

CIOCCOLATERIE

Antica Dolceria Bonajuto – Corso Umberto I, 159 Modica RG | Telefono: 0932 941225

Caffe dell’Arte – Corso Umberto I, 114 97015 Modica RG | Telefono: 0932 943257

Pasticceria Di Lorenzo – Corso Umberto I, 225 97015 Modica RG | Telefono: 0932 945324

[Crediti | Link: Bbc, immagini: Bbc, Mara Pettignano]

Cannolo alla siciliana: ricetta autenticamente siciliana

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I dolci di Carnevale in Sicilia si fanno, certo. Manca però la varietà e (va detto) anche l’ingegno di Pasqua o delle altre festività religiose.

Le similitudini con i dolci delle altre regioni italiane sono evidenti, prevalgono strutto e fritture. Eppure, uno di questi, il cannolo siciliano, è diventato l’effigie della pasticceria siciliana, riuscendo da solo a colmare l’ingegno mancante.

E sebbene si trovi ormai in tutte le stagioni, le famiglie più attaccate alle tradizioni culinarie isolane continuano a prepararlo solo a Carnevale.

Ma cosa rende i cannoli siciliani così speciali? Come si fa il guscio? Quali ingredienti compongono il ripieno?

Proviamo a rispondere a tutte le domande.

CANNOLI SICILIANI

Un cannolo che appaghi perfino un siciliano, deve avere la scorza sottile, di colore non troppo scuro, tendente al dorato.

Non serve che le bolle siano per forza grosse, però ci devono essere per evocare la frittura e creare l’illusione che la scorza sia appena uscita dall’olio caldo.

Un aspetto decisivo: fate attenzione allo spessore della scorza, non deve assolutamente rompersi al primo assaggio altrimenti è impossibile apprezzarlo come si deve.

Paragrafo guarnizione: bene il pistacchio, bene le gocce di cioccolato e le più classiche scorze di arance candite. Non fate l’errore di mischiare la cannella alla ricotta, va semplicemente spolverata sopra la crosta.

Le dimensioni convenzionali sono quelle medie.

Siamo al ripieno. Ricotta docet. Anche se in alcune zone del ragusano e nel siracusano si propende per la ricotta vaccina (dal sapore delicato), quella di pecora è più intensa e incisiva. Il sapore si deve distinguere senza esitazioni, in caso contrario meglio optare per la crema pasticciera.

In Sicilia non esiste una ricetta ufficiale delle scorze e ogni famiglia custodisce la propria.

La nostra è questa.

RICETTA CANNOLI SICILIANI

preparazione_cannoli (2 di 27)Un chilo di farina ’00

due cucchiai colmi di strutto

120 grammi di zucchero

un uovo

un bicchiere circa di Marsala o vino

Due litri di olio di semi per la frittura

SCORZA

preparazione_cannoli (5 di 27)Impastare farina, strutto, zucchero, uovo e marsala fino a ottenere una pasta sostenuta. Dopo aver lavorato la pasta lasciarla riposare per dieci minuti.

preparazione_cannoli (4 di 27)Tirare quindi delle sottilissime sfoglie e con una tazza da te formare dei cerchi.

preparazione_cannoli (7 di 27)preparazione_cannoli (6 di 27)Per far sì che la scorza non risulti spessa, prima di avvolgere la pasta nella forma, stendere di nuovo il cerchio di pasta col mattarello.

Sulle forme di metallo cilindriche (in mancanza di quelle di canna più difficili da trovare) avvolgere i cerchi in modo che si uniscano i due lati in un punto e si saldino al centro con la pressione delle dita.

preparazione_cannoli (8 di 27)Per evitare che le scorze si aprano durante la cottura, prima di chiudere i cerchi nelle forme basterà bagnare i polpastrelli delle dita con un po’ di acqua, ogni volta.

preparazione_cannoli (9 di 27)preparazione_cannoli (10 di 27)preparazione_cannoli (12 di 27)Friggerli infine ancora nelle forme in una pentola colma di olio bollente senza sollevarle troppo a fine cottura, perché è facile che l’olio all’interno della cannule esca causando dolorose scottature.

Frittura scorze di cannoliSfilare le scorze dalle forme facendo pressione sui due lati per rimpicciolirne il volume.Scorze di cannoli

RICOTTA

ricotta_fasceddeLa ricotta va lavorata con la forchetta insieme a circa 400 grammi di zucchero. 

Non scegliete quella di giornata altrimenti all’aggiunta dello zucchero l’impasto risulta poco consistente.

Il ripieno non va lavorato troppo, deve risultare sì cremoso ma senza esagerare (che sia grumoso o meno dipende dai gusti). 

Cannoli con la ricottaRiempire le scorze con la ricotta aiutandosi con una spatola apposita o un normale cucchiaino.

Spolverare infine con zucchero a velo e cannella. 

Cannoli con ricotta e cannella

SE PROPRIO DOVETE COMPRARLI

Non riuscite a farli o insomma, non avete voglia, ecco alcuni indirizzi che non vi faranno rimpiangere i cannoli siciliani fatti in casa.

Pasticceria Costa - PalermoA Palermo la pasticceria Costa con i suoi cannoli caratterizzati da uno strato di cioccolato che separa la scorza dalla ricotta per mantenerne la freschezza.

Ottima la Fabbrica dei cannoli Rosciglione, che pur esportando dolci in tutta Europa, mantiene ancora la sede storica nel cuore della città, all’ingresso del mercato storico di Ballarò.

cannoli_dolceria_manueleA Capo D’Orlando, nel messinese, potete andare dall’incredibile Giulio, celebre soprattutto per un dolce dal nome stravagante: “le palle del Presidente”.

Sull’Etna sono rinomati i cannoli della Pasticceria Fratelli Russo di Santa Venerina.

A Siracusa si sono pure inventati la cannolo terapia, un rituale in cui il cannolo, preparato sul momento, diventa elemento che fa sorridere, rilassare garantendo momenti di serenità.

Il pasticciere terapeuta si chiama Alfio Neri

Stravagante, creativo e controcorrente a tutti i costi, se gli fate visita lo ascolterete vagheggiare di fratellanza e serenità mentre riempie i suoi cannoli, ma il rischio di stare ore a sentirlo filosofeggiare sopra una mandorla di Avola, è elevato.

Nei vari panifici di Troina, in provincia di Enna, si trova la versione dei cannoli siciliani con la scorza infornata, molto più liscia e biscottata sia nella consistenza che nel sapore.

Pur essendo buoni restiamo a favore di quelli fritti.

ALTRI DOLCI DI CARNEVALE: PIGNOLATA

Pignolata siciliana

La pignolata di cui parliamo è quella che si prepara a Carnevale in alcuni paesi dei monti Nebrodi.

Sembra che abbia origine a Tortorici: chiamata anche “pagnuccata” è molto simile agli struffoli napoletani.

Preparazione pignolataCon l’impasto fatto di farina, strutto, abbondanti uova, si creano grissini che vengono tagliati a piccoli dadi, fritti e poi “ingileppati” con il miele.

La preparazione, molto amata dai bambini, prevede l’uso dell’ottimo miele di San Salvatore di Fitalia.

Nel ragusano al posto dello strutto si usa l’olio, oltre ad aggiungere all’impasto il brandy e alcune gocce di alcool puro.

I piccoli dadi vengono bagnati nel caramello e poi disposti nella classica forma a pigna da cui si crede provenga il nome.

CASSATELLE DI RICOTTA

Sono dolci di Carnevale tipici della Sicilia occidentale che trovano le migliori espressioni a Ferla e Augusta, dove però sono classici di Pasqua.

La preparazione delle cassatelle di ricotta (chiamate in alcuni posti “Pastieri” di ricotta) inizia a Gennaio per terminare verso Aprile-Maggio, periodo in cui la ricotta vaccina è migliore.

IMG_1094La particolarità del dolce sta nell’impasto, a metà tra pasta brisé e pasta del pane. Farina di grano duro, uova, miele, zucchero e olio extravergine racchiudono l’impasto di ricotta, uova, zucchero e cannella.

Il dolce, non troppo dolce, prende la forma di un piccolo tortino dalla pasta sottilissima e leggermente biscottata. L’aggiunta dell’uovo consente alla ricotta di essere quasi pastosa.

A Ferla, paesino sui Monti Iblei, le cassatelle migliori si trovano nella Nuova dolceria, di Franco Manuele, appassionato e infaticabile pasticcere.  

Approfittatene per assaggiare le specialità all’olio extravergine: dai cioccolatini ai biscotti. Una succursale del laboratorio è presente anche a Siracusa, in via Necropoli Grotticelle.

TESTE DI TURCO

Possibile ispirazione per la nuova tendenza alla scomposizione del cannolo, le “teste di turco” sono un dolce tipico carnevalesco di Castelbuono, paesino medievale in provincia di Palermo, alle porte delle Madonie.

Si tratta di un dolce al cucchiaio composto da una pasta simile a quella dei cannoli che viene stesa a lasagnette e poi fritta in olio bollente.

teste_di_turcoViene quindi disposta in teglie apposite per essere ricoperta prima da una crema di latte aromatizzata, poi da cannella e gocce di cioccolato.

Secondo la tradizione il dolce, di origine saracena, fu preparato la prima volta in occasione della sconfitta degli arabi (turchi per i siciliani) da parte dei combattenti normanni. 

fiasconaro_bar

Andare a scoprire le teste di turco sarà anche l’occasione per visitare il laboratorio di Mario e Nicola Fiasconaro, pasticceri tra i più rinomati nell’isola e titolari dell’omonimo Bar Fiasconaro nella piazza principale di questa cittadina medievale, conosciuti per il panettone artigianale.

Un dolce con lo stesso nome si prepara anche a Scicli, in provincia di Ragusa, per la festa della Madonna delle Milizie, ma qui parliamo di un grande bignè che nella forma ricorda un turbante saraceno (da cui il nome) farcito con crema.

Festa di Sant’Agata a Catania: processione e street food

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Dicono con orgoglio i catanesi che Sant’Agata è la terza festa del mondo dopo Siviglia e Lima: 5 giorni e un milione e mezzo di presenze.

Gli anziani però si lamentano, secondo loro adesso è un’altra cosa. Trent’anni fa il profumo di caramello e zucchero filato sovrastava tutto, ora da via Plebiscito a piazza Duomo, da via Etnea e piazza Università Catania emana il fumo nero dell’arrosto di cavallo.

La processione si protrae dal 4 sino al 5 febbraio mescolando messe e scommesse sull’ora di rientro della Santa, orazioni e fuochi d’artificio, oboli preziosi e street food, silenzioso e senza regole.

Il fatto è che Sant’Agata è la Festa delle Feste, estenuante e lunghissima: bisognerà pur mangiare.

Catania - Santagata - Medaglia

Così si organizzano delle vere tappe per rifocillarsi, passare il tempo, festeggiare, deliziarsi con qualche boccone strettamente legato alla tradizione agatina.

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Soste gastronomiche irrinunciabili o grottesche, spesso provvisorie, che richiedono una certa resistenza perché prendono vita in piena notte. 

4 FEBBRAIO

Piazza Duomo Catania

MESSA DELL’AURORA |  OLIVETTE DI SANT’AGATA (CAFFE DEL DUOMO)

Ore cinque del mattino.

Con la “Messa dell’Aurora” nella Cattedrale si dà il via alla festa. Sant’Agata sorridente esce dal cancello che la custodisce, il busto sollevato dai portatori verso l’uscita sembra camminare sulla folla. 

Conclusa la messa, mentre la processione passa sotto l’antica Porta Uzeda, ci si concede il primo caffè tra il barocco di piazza Duomo. IMG_1980

Potete approfittare del Caffè del Duomo per acquistare le olivette di Sant’Agata, dolce tipico, facile da replicare a casa.

Trattasi di paste verdi a forma di oliva preparate con zucchero e farina di mandorle che ricordano la pasta reale diffusa in tutta l’isola.

Ulteriormente “impanate” nello zucchero, si possono anche ricoprire di cioccolato.

Catania - Santagata - Olivette

Vuole la leggenda che la vergine Agata durante l’inseguimento che l’avrebbe condotta alla tortura si chinasse per allacciare un sandalo.

Proprio in quel punto nacque un albero di ulivo i cui frutti miracolosi venivano raccolti per essere donati o conservati.

Catania, Sant'Agata, carne di cavallo

ORE 22:00 – IL GIRO DI VIA PLEBISCITO | CARNE DI CAVALLO

Molte ore dopo, conclusa la prima parte del “giro esterno”, la processione si snoda attraverso via Plebiscito che conduce nella Catania più autentica, la verace dark city regno del fumo nero e della carne di cavallo.

Ci si ferma in una delle tante putìe (le osterie di un tempo) per rifocillarsi con un panino ripieno di carne equina o con la cipollata: cipolletta fresca e pancetta cotte sulla brace.

Le stesse pietanze che debordano dalle decine di bancarelle lungo il percorso: in questo caso dimenticate igiene e tracciabilità della carne, affidatevi alla buona sorte piuttosto.

Nonostante i tentativi di metterla a partito la festa di Sant’Agata è così, prendere o lasciare.      

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Passata la vara d’argento con le reliquie della Santa, dal peso di diciotto tonnellate, tirata da energumeni che maneggiano cordoni di centocinquanta metri, i locali di via Plebiscito chiudono.

Sbollito l’inferno vivo della processione le bancarelle vengono frettolosamente smontate per essere riproposte poche centinaia di metri più avanti.

Torna la normalità della notte.

IMG_1767Tavola calda al fortino di Catania

ORE 2:00 – FORTINO – BOMBOLONI E CEDRI

La sosta del Fortino, sotto porta Garibaldi, è molto attesa per due ragioni: i fuochi d’artificio e il folclore gastronomico, popolare e molto amato. 

Si continua a “rosticciare” e a mettere carne sul fuoco, così com’è facile incontrare carretti colmi di “piretti“, cedri tagliati a fettine disposte in piattini e conditi col sale.

Un cedro – un euro (scartate chi vuole venderveli a due). 

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Un euro vi assicurano anche cinque bomboloni, caramelle fatte all’antica. Per trovarle cercate tra i carretti quelli che sembrano usciti da un cartone animato.

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Chi ha sete può approfittare del viavai di carrelli da supermercato colmi di bibite e bottigliette di acqua. L’offerta (?) recita: 50 centesimi una, un euro due.

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ORE 3:00 VIA PLEBISCITO | IRIS DI LANZAFAME

A pochi passi, una delle tappe irrinunciabili: accolti da un gioioso coro di bambini si pregusta l’iris del Bar Lanzafame, che i catanesi ritengono il migliore della città. 

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Con iris intendiamo il più ghiotto dolce da colazione catanese, fatto con la pasta lievitata del panino al latte ripiena di crema pasticciera o di cioccolato, impanata con uovo sbattuto e mollica, quindi fritta nell’olio.

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Lanzafame abbonda con la crema e la consistenza della pasta, di solito troppa spessa, è perfetta. Nella confusione capita di trovare un iris con troppo olio ma alle tre di notte i dolci sono appena sfornati. 

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ORE 4:30 LA “CALATA DELLA MARINA” | PESCHERIA – CAFFE’ E COLAZIONE

Sotto gli archi della Marina ecco il momento più suggestivo. La folla che spinge si è stemperata, non ci sono più bancarelle a illuminare gli angoli della strada.

Nel buio della notte che nasconde i banchi, senza le grida del mattino, la pescheria di Catania ha un fascino diverso, quasi metafisico.

Mentre sale la saracinesca di un’anonima ma provvidenziale caffetteria, il cordone esegue manovre complicate per consentire alla Santa di girarsi. 

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Catania, Sant'Agata

Ormai siamo in pochi, a squarciare il composto silenzio dell’alba restano le preghiere dei fedeli, rimate e interminabili. 

L’accostamento non sembri irrispettoso ma quando Sant’Agata entra dalla porta Uzeda è il momento della colazione all’Etoile d’Or, che permette di scegliere tra cornetti alla crema o alla nutella, involtini o panzerotti al cioccolato.


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5 FEBBRAIO

MINNUZZE DI SANT’AGATA

Durante il pontificale, nel vero giorno della festa, si sale da via Etnea onorando la Santa con l’acquisto delle minuzze di Sant’Agata, cassatelle di ricotta a forma di seni.

Altamente consigliabili quelle della Pasticceria Spinella.

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Le minnuzze, materne e maliziose insieme, rotonde e bianche come l’Etna in inverno, sono un tributo al martirio di Agata.

Complicato ipotizzare un dolce simile al di fuori di Catania, e comunque, difficilmente se ne troverebbero di tanto buone. Ad ogni modo, il 5 febbraio tutte le famiglie catanesi chiudiono il pranzo con le minnuzze di Sant’Agata.

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VIA ETNEA – POMERIGGIO E SERA | TORRONE E ARANCINO

Dal dolce più morbido al più duro, il torrone.

Via Etnea delle 18.00 è la vera attrazione della festa: la passeggiata per mostrare la Santa ai bimbi, per incontrare gli amici e raccontarsi la notte precedente. 

Dal fumo nero della carne di cavallo siamo passati al profumo penetrante del torrone che adesso è tutt’intorno.

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Nelle bancarelle di fronte a villa Bellini si può assistere alla lunga e spettacolare preparazione: l’impasto viene girato e rigirato con un grande coltello finché non si ottiene la forma desiderata, pronta per essere indurita.

Finalmente è il momento di mangiarlo.

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E finalmente siamo all’arancino di Savia, capolavoro autentico della gastronomia etnea: insuperabile la versione al sugo. Attenzione, sugo, e non ragù, perché all’interno troverete carne a pezzettoni.

Una meraviglia anche gli arancini al burro alternato con la besciamella.

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Tuttavia l’arancino che regala più soddisfazioni  (e che trovate solo da Savia) è quello alla catanese: ricetta alternativa e sontuosa con emmenthal e melanzane.

 
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Senza farsi distrarre dai fuochi del Borgo, da villa Bellini la processione percorre poche centinaia di metri per arrivare in piazza Borgo.

Dire che lo fa lentamente è un eufemismo, tra calca, ceri da accendere e soste continue si possono impiegare anche sei ore.

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E così i più temprati arrivano alle 6 del mattino per non perderete i fuochi d’artificio, e godersi i momenti più belli della festa.

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Vale a dire la suggestiva “acchianata” di San Giuliano, il canto ristoratore delle clarisse, infine il ritorno nella Cattedrale con l’ingresso, l’organizzazione, la posa del cordone, le grida di invocazione, i fazzoletti bianchi che sventolano per ringraziare e salutare. 

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C’è giusto il tempo per un ultimo caffè e per gustare le bombe fritte con prosciutto e mozzarella da Prestipino, a pochi passi dal Duomo.IMG_1867

La festa è finita, i catanesi rientrano nelle loro case desiderosi di ripetere tutto l’anno successivo (magari con il volo aereo già prenotato).

Compreso il ricco e calorico percorso gastronomico a base di street food.

[CREDIT – Foto Orazio Esposito]

Pasta con le sarde: la guida completa approvata da Montalbano

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Il Commissario Montalbano concede il bis. Primo episodio della nuova serie, Una faccenda delicata, e primo record con 10 milioni 862 mila spettatori. Secondo episodio, La piramide di fango, e altro record per la fiction di RaiUno nata dai racconti di Andrea Camilleri con Luca Zingaretti: 40.95% di share (con 10 milioni 333 mila spettatori).

Praticamente mezza Italia incollata al video per vedere l’ultimo episodio della serie, appena iniziata e, di fatto, già finita.

Così, per consolare i fan sedotti e abbandonati (ma ci sono le repliche), oggi parliamo di pasta con le sarde, piatto che in questo periodo di quaresima conquista le tavole dell’isola ogni (santo) venerdì.

Mettiamola così: la regola religiosa che mira alla privazione finisce per stimolare l’amore un po’ saputo per il cibo dei siciliani. Compreso il più siciliano di tutti: Montalbano, appunto.

Da Il cane di terracotta di Andrea Camilleri

A mattina appresso ebbe il piacere di rivedere Adelina, la cammerera.
“Perché non ti sei fatta viva in questi giorni?”.
“Ca pirchì? Ca pirchì a la signurina nun ci piaci di vidìdimi casa casa quannu c’è iddra”.
“Come hai saputo che Livia era partita?”.
“Lu seppi in paisi”.
Tutti , a Vigàta, sapevano tutto di tutti.
“Che mi hai accattato?”.
“Ci faccio la pasta con le sardi e pi secunnu purpi alla carrettera”.
Squisiti, ma micidiali. Montalbano l’abbracciò“.

PASTA CON LE SARDE: RICETTA E VARIANTI

L’origine è palermitana. Ma come avviene spesso nelle ricette di grande tradizione, la preparazione varia di pianerottolo in pianerottolo, le discussioni sono infinite, le accuse di storture culinarie anche.

Nella stessa Palermo il piatto, rigorosamente in bianco, cambia parecchio. Una versione lascia fuori la mollica, un’altra depenna il passaggio nel forno. Ma la variante più controversa è l’aggiunta della salsa di pomodoro (frequente nell’ennese) o addirittura del concentrato di pomodoro, reo di conferire alla pasta lo sgradevole sapore dolciastro.

Ad ogni modo per preparare una buona pasta con le sarde occorrono:

due mazzetti di finocchietto selvatico,
mezzo chilo di sarde,
400 gr di pasta

30 grammi circa di uva passa,
30 grammi circa di pinoli,
una cipolla,  
mollica a piacere
mandorle tostate

Finocchietto selvaticoSardina

Pulire e lessare il finocchietto. Poi sgocciolarlo e tagliarlo con un grosso coltello.

Tritare la cipolla e soffriggerla unendovi quindi il finocchietto lessato.

Pasta con le sarde - ingredienti

A parte, tritare la cipolla rimasta e soffriggerla in olio abbondante unendovi le sarde precedentemente spinate e pulite.

Aggiungere infine uva passa, pinoli e il finocchietto allungando con qualche cucchiaio del brodo di cottura.

SardePasta con le sarde - Condimento

Nel frattempo abbrustolire in un padellino la mollica. Lessare la pasta nella stessa acqua in cui sono stati bolliti i finocchi, scolarla al dente e condire con l’intingolo.

La ricetta tradizionale vuole una pasta lunga, bucatini o spaghetti, per la versione infornata è preferibile un formato corto, come sedani o penne.

Pasta con le sarde

Spolverare infine sul piatto il pangrattato e le mandorle tritate e tostate. Molte ricette prevedono le acciughe salate da far sfaldare in olio caldo prima del finocchietto.

LA PASTA CON LE SARDE A MARE

Tra gli ingredienti immancabili c’è dunque il finocchietto selvatico, che in Sicilia viene venduto agli angoli delle strade dagli ambulanti, uva passa, cipolla e pinoli e sarde.

Finocchietto selvaticoSarde al mercato

Ma esiste una ricetta della pasta con le sarde che estromette addirittura… le sarde.

Si chiama pasta con le sarde a mare, pensata per chi non poteva permettersi di comprare le sarde. Una pasta talmente povera che le sarde rimangono, appunto, a mare, con buona pace di tutti.

Non è un caso che in Sicilia, terra di forti contraddizioni, la ricetta più povera venga proposta in versione elaborata nella raffinata cucina di Peppe Bonsignore, chef del ristorante “L’Oste e il Sacrestano“, a Licata, in provincia di Agrigento.

Pasta con le sarde a mare - Oste e il sacrestano

Un piatto croccante data la mollica atturrata (abbrustolita) e soffritta in olio con aglio, prezzemolo, peperoncino, e l’aggiunta di tocchetti di crosta di pane.

La ricetta non prevede le sarde ma acciughe salate, pomodori disidratati e triglie.

DOVE MANGIARE LA PASTA CON LE SARDE

DON CICCIO – BAGHERIA (PA)

Trattoria Don Ciccio - Bagheria

Don Ciccio” di Bagheria è la trattoria siciliana per antonomasia, talmente tipica che il vicino ristorante stellato “I Pupi” gli ha dedicato un piatto nel proprio menu degustazione.

Sala di media grandezza, tavoli rettangolari o quadrati e tovaglie a quadrettoni rossi e bianchi. Il servizio è informale, cordiale e allegro, mai forzato.

Entrando non può sfuggire la vista dei clienti, comitive di amici o coppie di mezza età, muniti di apposito bavaglione usa e getta fornito dai camerieri che si occupano anche di imbavagliare.

Pasta con le sarde - Don Ciccio Bagheria

Il particolare preannuncia paste lunghe e sugose.

Da Don Ciccio vengono infatti serviti sempre e solo i bucatini in tutte le salse, appena dopo un ‘benvenuto della casa’ composto da un uovo sodo accompagnato da un bicchierino di zibibbo.

TRattoria Don Ciccio - Antipasto

Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare , qui la pasta con le sarde non è servita in bianco, come da tradizione palermitana, ma con il concentrato di pomodoro nella giusta misura.

Avrete il piacere di continuare a mangiare (non assaporare, mangiare proprio) il condimento pur avendo finito la pasta, per la sua abbondanza.

TRattoria Don Ciccio - Pasta con le sarde

Finito il pranzo, a pochi passi dalla trattoria, si possono vedere le statue mostruose di Villa Palagonia e percorrere il centrale Corso Umberto, ascoltando i rumori della città (vi sembrerà di essere nel Baaria di Tornatore).

‘ZA PEPPINA – SANT’AGATA DI MILITELLO (ME)

Una versione meno corposa di quella proposta a Bagheria, fatta con gli spaghetti, si mangia da “za Peppina” a Sant’Agata di Militello, altra celebre trattoria nel ventosissimo lungomare di uno dei paesi affacciati sul Mar Tirreno.

Za Peppina - S.Agata di Militello - Pasta con le sarde

Locale piccolo e semplice con veranda impreziosita dalle ceramiche di Santo Stefano di Camastra.

In inverno s’incontrano facilmente i nostalgici della politica siciliana, distinti signori in gruppi di tre o quattro che tra rimpianti e filosofia spiccia, moriranno democristiani.

Za Peppina - S.Agata di Militello - Pasta con le sarde

Ai tavoli il servizio è affidato alla figlia di media età, dall’aspetto tipicamente mediterraneo e spagnoleggiante.

Fiore in testa, impettita e inquadrata nell’abbigliamento, senza una piega fuori posto, alterna brusca genuinità a gentilezza impostata, ma resta comunque sfiziosa da osservare.

Za Peppina - S.Agata di Militello

Dalla zia Peppina sarà difficile peccare nel venerdi di quaresima, il menu prevede infatti tanto pesce alla brace. Saltate l’anacronistico antipasto di mare che vi riporterà dritto negli anni ottanta con il cocktail di gamberi.

ANDREA MACCA (DONNA CARMELA) E LA PASTA CON LE SARDE ALL’UCCELLETTO DI BECCAFICO

Voltiamo pagina, cambiamo città e ambiente, alla ricerca di uno stile più ricercato. Se avete voglia di una versione elegante del piatto, Andrea Macca di Donna Carmela propone la pasta con le sarde all’uccelletto di beccafico.

Lo chef combina così due ultra classici della cucina siciliana di pesce povero.

Pasta con le sarde - Donna Carmela - Chef Andrea Macca

Ricetta in bianco con l’uccelletto poggiato sulla pasta, particolare di grande impatto. In un unico contesto si riesce così a rappresentare la scena dell’uccelletto che becca il fico (da cui le tipiche sarde a beccafico), e a raccontare la storia dei baroni siciliani che si deliziavano con il piatto prelibato dell’uccelletto ripieno, emulati dai poveri che potevano permettersi di cucinare solo una sarda ripiena con una polpetta fritta.

Sarà per questo che in Sicilia con il termine sarda si indica scherzosamente la situazione di chi non ha nemmeno un soldo in tasca.

Come sa bene Montalbano la sarda in questo caso pur essendo in tasca, è come se fosse rimasta a mare.

INFORMAZIONI

Trattoria Don Ciccio
Via del Cavaliere, 87, 90011 Bagheria PA
Telefono: 091 932442

Trattoria Za Peppina
Via Enrico Cosenz, 197, Sant’Agata di Militello ME
Telefono:0941 702723

Donna Carmela
Contrada Grotte, 5, Carruba, Riposto CT
Telefono:095 809383

L’Oste e il Sacrestano
Via Sant’Andrea, 19, 92027 Licata AG
Telefono:0922 774736

[CREDITI: Foto Orazio Esposito]

Pasqua: perché la supremazia dei dolci siciliani non si discute

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La contabilità dei dolci siciliani la facciamo un’altra volta, si prenderebbe tutto il tempo che noialtri, in questi giorni di preparativi per Pasqua, francamente non abbiamo.

A proposito, anche con i rituali dolci che i siciliani portano sulla tavola di Pasqua si riempirebbe una bella lista, questa però affrontabile e diciamolo, piuttosto spassosa. 

A trovare un punto di convergenza si fatica, forme e consistenze sono tante, effettivamente diverse le combinazioni dei sapori, i metodi di preparazione, gli ingredienti.

Magari il tratto caratteristico e comune va cercato nell’aspetto fastoso e fantasioso, sempre, che si tratti di cassata o di dolci minori, di biscotti o di pasta di zucchero. 

Cominciamo a scorrere la lista.

CASSATELLE DI AGIRA

Se a Pasqua andate ad Agira, in provincia di Enna, non sognatevi nemmeno di trovare la cassata siciliana. Troverete invece le cassatelle, che non sono piccole cassate, ma eleganti pasticciotti fatti con una sfoglia sottile, farcia di cacao e mandorle tostate. Niente ricotta, niente canditi, eppure le cassatelle di Agira hanno avuto una fortuna sconosciuta alle ricette simili dei paesi circostanti, provocando perfino un po’ d’invidia.

Anche se oggi si usa la farina di grano tenero per addensare il ripieno, il sapore inconfondibile delle cassatelle di Agira è dovuto alla “farina di ciciri” da impiegare nel ripieno, poco leggera, va detto, ma più rispettosa della tradizione. 

RICETTA (PER 120 CASSATELLE)

Cassatelle di Agira

Se immaginate la ricettina per quattro persone siete fuori strada. Quando si parla di dolci pasquali ai siciliani piace abbondare.

Si preparano qualche giorno prima, si condividono tra i familiari e con i vicini che, avendo sentito il profumo, reclamano la loro parte.

A Pasqua, pasquetta e nei giorni che seguono è vietato restare senza, il rituale vuole che si offrano agli a ospiti di mattina, dopo pranzo, nel pomeriggio, la sera e pure nei giorni successivi. 

Pasta
2,500 di farina
1 kg di strutto
600 grammi di zucchero
4 uova
acqua

Ripieno
1,250 di mandorle tritate e abbrustolite
1 kg di zucchero
due buste di cacao amaro
due buste di cacao dolce
scorza grattugiata di due limoni
1 litro e mezzo di acqua
due stecche di cannella
farina di ceci circa 400 grammi

Infornare le mandorle ad alta temperatura, quindi tritarle. Impastare farina, strutto, zucchero e uova fino a ottenere una pasta liscia e sostenuta aggiungendo progressivamente l’acqua di cui la pasta ha bisogno per non essere troppo dura.

Preparare il ripieno in una grande pentola con cacao amaro e dolce, zucchero, scorza di limone grattugiata, cannella polverizzata e mandorle tritate.

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Aggiungete l’acqua e fate cuocere fino a ebollizione per sciogliere bene gli ingredienti.

A ebollizione raggiunta fate addensare con la farina di ceci, fino a ottenere un composto cremoso e avendo cura di mescolare per non appiccicare l’impasto al fondo della pentola.

Fate raffreddare.

Sfoglia cassatelle di Agira

Tirare quindi una sottilissima sfoglia, poggiate un cucchiaio e mezzo colmo di ripieno per ogni cassatella calcolando a occhio le giuste distanze. 

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Piegare la pasta e chiuderla intorno al ripieno a forma di mezzaluna, pressando delicatamente con le dita.

Cassatelle di Agira

Tagliare a mezza luna la pasta con un coltello o con una rondella. Mettere nella teglia precedentemente ricoperta di carta forno e infornare a 180 gradi per quindici minuti circa.

Cassatelle di AgiraCassatelle di Agira

La pasta deve rimanere bianca e semimorbida, non cuocere troppo, il rischio è che l’impasto diventi biscottato.

Cassatelle di Agira

Spolverare infine con zucchero extrafine miscelato a zucchero a velo.

Cassatelle di Agira

Per conservare il dolce e mantenerne morbidezza e freschezza mettere in una pentola di acciaio e coprire con il coperchio.

Ad Agira il dolce è venduto in tutti i panifici e in alcune botteghe specializzate.

La più rinomata? La “Bottega delle cassatelle” con un punto vendita nel centro del piccolo paese e un altro, più recente, lungo la strada di accesso.

Qui oltre alla preparazione tipica troverete anche il dolce interpretato in diverse maniere.

ACEDDI CU l’OVA E PECORELLE

Siamo al capitolo “cuddura”: pani dolci e biscottati che contengono uova sode cotte nella cenere.

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La tradizione è vivissima. L’impasto di farina 00, semola rimacinata, zucchero e strutto viene plasmato in qualunque forma: bambole, pesci, cerchi, animali, colombe, cestini, borse, trecce, cuori.

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Anche i nomi sono tanti: aceddi cu l’ova, pupi cu l’ova, palummedda, cuddura, cudduredda, panaredda.

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Non è merce da pasticceria, si trovano per lo più nei panifici, o in qualche pastificio.

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Le pecorelle pasquali sono dolci di pasta di zucchero un tempo regalati ai bambini al posto delle uova di cioccolato, molto combattuti se conservarli intatti o azzannarli senza sosta.

Il risultato è l’incanto che nei giorni di Pasqua abbellisce le vetrine delle pasticcerie siciliane.


Pecorelle di PasquaPasticceria Costa - Palermo

CASSATA SICILIANA

Sulla cassata siciliana sapete tutto, compresa l’origine tipicamente pasquale. A chi la detesta causa dolcezza stucchevole consigliamo di proseguire nella lettura.

 Pasticceria Costa Cassata

Prepararla a casa è meno difficile di quanto si creda, specie se avete un pizzico di Sicilia nel Dna, la bravura, quella sì da specialisti, consiste nell’armonizzare tutti gli ingredienti. 

Nelle migliori pasticcerie della Sicilia occidentale se ne trovano di squisite. Fra queste, a Palermo, c’è sicuramente Costa.

Lo testimonia il viavai della domenica di Pasqua (e delle altre domeniche) con i palermitani disposti a spendere anche 35 euro per una torta da un chilo.

Cassata con pochi canditi

Tante le variazioni sul tema: senza canditi, con la tuma, tipica del ragusano, insieme alla ricotta.

Ma credetemi, vale la pena soffermarsi sulla cassata che lo chef siciliano Toni Lo Coco ha inserito nel menu del ristorante I Pupi di Bagheria, una stella Michelin.

I pupi - Bagheria - Cassata rivisitata

Tradizione e originalità combinate andando oltre l’idea consunta del cannolo destrutturato.

Parliamo di una cassata miniaturizzata fatta con il gelato alla ricotta, sovrapposta al caffè bollente (servito a parte in una deliziosa moka), decorata con piccoli canditi e gocce di cioccolato.

I pupi - Bagheria - Cassata rivisitata

Più serenamente affrontabile a fine pasto anche da appetiti non pantagruelici, è semplice e fresca ma mantiene il legame con la versione classica.

Un assaggio da fare. 

[CREDITI: Foto Orazio Esposito – Pastificio Il Mattarello (Bronte)]


Catania: i 2 ristoranti più famosi di cui non avete mai sentito parlare

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Spesso, e in fondo è anche normale, l’attenzione per gli chef viene cannibalizzata dai nomi più famosi, quando nell’ombra (ma non troppo) un manipolo di nomi s’impone all’attenzione ogni giorno, anche senza avere i fan di una rockstar.

A Catania, nella categoria dei semi-sconosciuti di gran talento, spesso senza una vera formazione accademica, rientrano a pieno titolo Carlo Sichel e Bianca Celano, rispettivamente chef dei ristoranti Il CaratoQqucinaqui.

Potenziali prossime stelle Michelin, almeno secondo gli immancabili rumor, meritano l’attenzione dei lettori di Dissapore.

Ricchi di personalità

Per prima cosa proviamo a inquadrarli: più distanti dal cliché dello chef siciliano di successo, alla Ciccio Sultano per intendersi, non potrebbero essere. Niente piglio oratorio per farti appassionare alla predica, niente discepoli osannanti. Li si vede poco anche nei frequenti eventi gourmet siciliani.  

A pensarci bene anche tra di loro sono quasi all’opposto: Carlo Sichel, calmo, carattere scostante e un po’ orso; Bianca Celano, solare, instancabile spiritello dei fornelli. Con qualche punto in comune però: anticonformisti, poco propensi a delegare, amano fare di testa loro. 

Il CaratoQqucinaqui

Se li descrivessimo come cuochi per caso perché provengono da altri mestieri faremmo torto all’ingegno che hanno dimostrato in cucina. Scopriamo allora come si sono conquistati il seguito dei siciliani e non solo il loro.

Due ristoranti – Due progetti diversi

Entrambi i locali sono poco visibili. Nessuna insegna ne segnala la presenza e niente all’esterno fa presagire quel che si trova all’interno.

Via delle finanze - Catania

La zona scelta da Carlo Sichel, alle spalle del Corso Sicilia, non è delle migliori.

Appena dietro San Berillo, centralissimo quartiere a luci rosse finalmente avviato verso il risanamento, non è il posto dove ti aspetti un ristorante in odore di stella Michelin.

Il carato - Catania

Atmosfera famigliare, voci che arrivano dalla cucina ben nascosta da dove lo chef esce con passo lento accogliendo tutti con un sorriso. Aperto a cena e fino a tarda serata, ne locale prevale la sostanza, poche le concessioni ai neo-convertiti della gastronomia. 

Via Umberto è invece zona di Bianca Celano, strada centrale dove spente le luci dei negozi si accendono quelle del suo ristorante-loft-associazione-scuola-di-cucina.

A pochi passi dal chiosco di Giammona, istituzione catanese per il cultori del seltz limone e sale, tra piazza Umberto e piazza Jolanda, il Qqucinaqui è nascosto da un grande portone. 

Progetto insolito, a metà tra ristorante e home restaurant ante-litteram (l’attività, nota anche come social eating, che trasforma casa propria in un ristorante occasionale per viaggiatori amanti della cucina casalinga).

Qqucinaqui

L’arredo da loft contemporaneo invita a curiosare ogni particolare, e ad approfittare del tavolo sociale, una specie di centro gravitazionale del ristorante aperto dal mercoledì al sabato, solo a cena. Prezzi decisamente abbordabili: 35-40 euro il conto medio.  

Gli altri giorni sono dedicati allo studio dei menu, soprattutto alla famiglia.

Qqucinaqui

Si lavora duro al Qqucinaqui, come suggerisce il tintinnio di mestoli e pentole proveniente dalla cucina a vista, l’entusiasmo della proprietaria riesce a contagiare tutti, il personale, soprattutto i clienti della cui presenza Bianca Celano si nutre instancabile.

Due personalità – Due cucine

Il Carato è legato a doppio filo con la materia prima locale cucinata in modo eclettico. Oltre al menu degustazione corto (8 portate) che si aggiorna settimanalmente, è disponibile il menu trattoria, senza fronzoli e snobismi.

Capita dunque di passare dalla vellutata di patate al nero di seppia, con striscioline di seppie e fasolari alle polpette di alici al sugo, piatto tipico catanese. Spesa sempre contenuta, dai 35 ai 40 euro a persona.

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Polpette di alici - Il Carato

Un menu altalenante che scodella nella fondina l’umore mutevole dello chef, come pure la versatilità, un punto decisamente a suo favore.

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Il piatto che esprime meglio la personalità di Carlo Sichel è il risotto fumo, cotto nel brodo di pesce, mantecato con mozzarella e profumato con whisky torbato, con filetti di merluzzo affumicati e finocchietto selvatico.

Incredibilmente ricco di aromi ti mette voglia di berci sopra una Imperial Stout scura, forte, dal sapore tostato: una Samuel Smith’s.

Ra

I ravioli all’ossobuco sono un piccolo compendio di cucina casalinga, primo piatto ideale di un pranzo domenicale ben riuscito.

L’arancino inverso di pollo al curry, una coscia di pollo disossato e farcito con riso al curry e mele dell’etna, servito su una salsa al curry, è un omaggio dello chef alla zona urbana e multi-etnica dove si trova il ristorante.

Il menu di Bianca Celano è invece una scoperta continua, sapori insoliti, abbinamenti estrosi, esperimenti, trovate sempre azzeccate. Sorprendono anche impiattamenti e mise en place.

CEstino pane - QqucinaquiPolpo alla piastra - Qqucinaqui

I colori vivaci nel polpo alla piastra ricordano quelli di Pietro D’Agostino, chef stellato del ristorante La Capinera a Taormina, messaggero autentico della cucina siciliana nel mondo.

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Un richiamo presente anche nei tortelli di verdure selvatiche e scorza di limone candito, crudo di gamberi rossi di Mazara e salsa di burrata. Piatto di rango dal sapore morbido, personale, riuscito. 

Capitolo dolci: migliorabili sia quelli di Sichel che di Bianca Celano. Il suo richiamo ossessivo a Corrado Assenza, super pasticciere del Caffè Sicilia di Noto che firma la carta dei dessert, finisce per contenerne l’estro.

Con un piccolo aiuto da…

Quando per fortuna esistono, i meriti vanno condivisi. Alleata di Carlo Sichel in sala è Katia Urzì, carattere tipicamente siciliano, semplice e autentico, erre ugolare, viso bello e sofisticato, portamento regale. Mai ingombrante, dall’animo teatrale, vi aiuterà a scegliere il vino in maniera informale.

Femmina ai fornelli e maschio in sala al Qqucina qui. Fabio Gulino, oltre che sommelier, è il marito di Bianca Celano, sostegno prezioso nella conduzione di un progetto così impegnativo.

Vi aiuterà con poche parole, senza troppe teorie sugli abbinamenti perfetti, cercando di indovinare con abilità se siete in serata da Grillo o da Riesling.

INFORMAZIONI

Il Carato
Via Marchese di Casalotto n. 103
Catania
Cel: 330 292 404
Apertura da Martedì al Sabato solo la sera

Qqucucinaqui
Via Via Umberto, 229, Catania
Tel: 095 6130317
Cel: 339 4986969
Apertura da Mercoledì a Sabato solo la sera

Sanlorenzo Mercato a Palermo: per ora un’occasione persa

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Li abbiamo chiamati mercati 2.0. Chi pensa queste corti del gusto restituisce alle città strutture dismesse ben restaurate che allargano l’offerta restituendo centralità a bottegai, artigiani e venditori di street food.

Ecco, Sanlorenzo Mercato, aperto il 17 marzo a Palermo al 288 di via San Lorenzo, nei locali di un’antica agrumaria degli anni ‘40, restaurata dall’architetto Chiara Mazzarella rinnovando la struttura originale con inserti di design moderno, è proprio uno di questi mercati.

Il nome e i cartelloni pubblicitari possono ingannare ma non stiamo parlando di un mercato tradizionale siciliano. Non ha nulla del Ballarò palermitano o della “Fera o luni” di Catania.

Non c’è caos, non c’è frenesia, nessuno urla. Qui tutto è ordinato e pulito, altro che baracchini al limite della tolleranza Asl. Si mangia sano, il chilometro zero è una religione, tutto è costruito per piacere.

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Pubblicizzato e strombazzato in ogni angolo di Palermo quasi fosse il rimedio per tutti i mali, la soddisfazione di ogni bisogno, promette di essere non un super mercato, ma un mercato super.

SanLorenzo mercato - Palermo

Siccome anche noi sappiamo resistere a tutto tranne alle tentazioni siamo andati a vedere se Sanlorenzo il Mercato è all’altezza delle aspettative.

Arance - SanLorenzo Mercato - PalermoSanLorenzo Mercato - Palermo

La ristrutturazione ha reso l’antica agrumaia uno spazio contemporaneo dagli inevitabili tocchi retrò. Struttura a parte l’ambientazione siciliana è affidata alla mobilia vintage, agli accessori che punteggiano il mercato, perfino alle arance sparse un po’ ovunque.

Vediamo ora, uno per uno, i singoli spazi.

SanLorenzo Mercato - Palermo

SAN LORENZO CAFFE’

Caffe SanLorenzo Mercato - Palermo

Lo spazio che accogliere i visitatori è il San Lorenzo caffè. L’atmosfera è piacevole, adatta a fare due chiacchiere con gli amici in tutta calma.

L’identikit del visitatore tipo s’intuisce origliando la conversazione nel tavolo adiacente al nostro: “Ho cambiato modo di mangiare, non compro più farine raffinate né zucchero”. “Il problema è che non bisogna andarci proprio nei supermercati”.

Un pò intimoriti diamo uno sguardo al reparto dolci. In vetrina le piccole paste fresche palermitane, l’immancabile cioccolato di Modica, il PanPassito della pasticceria Giulio, e poco altro.

Forse il mercato è in fase di rodaggio, eppure i comunicati stampa strombazzavano i due anni spesi a selezionare i prodotti eccellenti: ci aspettavamo di più e meglio.

COMPRARE AL MERCATO: LE BOTTEGHE

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Il mercato prevede distribuiti in zone adiacenti forno, pescheria, carnezzeria e salumeria. Sono le botteghe del mercato San Lorenzo. Un percorso forzato nel famigerato stile Ikea con i banconi posti da un lato e qualche tavolo dove accomodarsi per provare le cucine in funzione tra le botteghe.

In sostanza siamo in un centro commerciale gourmet fatto di botteghe e prodotti dell’isola.

L’idea pesca un po’ qua e un po’ là creando un forte senso di già visto che induce a porsi qualche domanda:

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Ci troviamo in un mercato che espone poca mercanzia, imperniato sulla bellezza del posto più che sulla ricchezza dell’offerta.

Botteghe senza bottegaio, figura fondante per un mercato che, in quanto tale, deve prediligere il rapporto con il cliente, mentre a prendere il sopravvento qui al Sanlorenzo è la sensazione del non luogo.

Troppo simile ai frequenti centri commerciali che ammiccano alle specialità del territorio.

Bibite Polara - SanLorenzo Mercato - Palermo

Coinvolti e convinti da tanta pubblicità, i visitatori del mercato sono presi dalla bramosia di comprare qualcosa.

Il desiderio di curiosare, scoprire e comprare generato da tanta pubblicità resta per lo più insoddisfatto. I visitatori gironzolano tra le botteghe con il carrello vuoto in cerca dell’unico prodotto che renderà meno vana la loro giornata.

sanLorenzo mercato - Palermo

Gli sguardi negli occhi delle signore bene di Palermo tradiscono delusione e un filo di rassegnazione.

In mancanza di meglio la conversazione si sposta sullo chef che nel tal posto, a duecento km di distanza, è cambiato. E sulla necessità di organizzare una gita per provare il menu degustazione.

MANGIARE AL MERCATO: FRIGGITORIA

Friggitoria - SanLorenzo Mercato - Palermo

Che senso ha rinchiudere l’osannato street food palermitano in uno spazio pavimentato e pulito, con le vetrate splendenti, sicuramente amato dagli irriducibili dell’Amuchina?

Non si vede l’olio friggere, non si sentono i rumori delle strade, non si trova il panino mordi e fuggi, niente pacche sulle spalle dei venditori né fumo dei motori.

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Anche le panelle, accettabili nella consistenza, non sono all’altezza delle migliori friggitorie palermitane.

L’unico sottofondo che si percepisce mentre si addenta un panino è l’ordinato brusio dei partecipanti all’incontro sulle arance di Ribera. Si parla di “metaboliti” e “range”: la nostalgia della “rascatura” dei panellari ambulanti scatta automatica.

OSTERIA

Osteria SanLorenzo Mercato - Palermo

Alle 12:30 apre l’Osteria Sanlorenzo. Come nel resto del mercato i rimandi alla Sicilia sono di ordine estetico più che gastronomici, in questo caso con una gradevole esposizione di artisti siciliani.

L’osteria, arredata con colori chiari, è molto luminosa. Servizio cortese anche se distratto.

Menu Osteria SanLorenzo Mercato - Palermo

Il menu sfodera i classici della cucina siciliana, anche se avremmo gradito informazioni più precise su prodotti e provenienza.

Antipasto - SanLorenzo Mercato - Palermo

L’antipasto San Lorenzo, servito troppo freddo, è composto da mezzo carciofo ripieno, un involtino di melanzana, la classica caponata, una frittatina e per finire un fungo champignon ripieno.

La pasta con le sarde manca del pan grattato, da richiedere a parte. Tra i dolci un tormentone delle cucine sicule con qualche pretesa: il cannolo scomposto. Una vera persecuzione.

SanLorenzo Mercato - PalermoSanLorenzo Mercato - orto

Mentre usciamo da Sanlorenzo il Mercato che si sta popolando di avventori non possiamo fare a meno di notare il piccolo orto.

A cosa servirà, o meglio a chi? Probabilmente ai bambini, che vedranno l’orto dentro il mercato coperto dove ci sono i prodotti ma non i produttori, le botteghe ma non i bottegai.

Dove la gastronomia, per paradosso, viene allontana dalla strada e dalla campagna. Dalle sue stesse origini.

15 euro per 2 granite e 2 brioche? Al Caffe Sicilia vale la pena

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Paghereste 15,80 euro due granite e due brioche? I siciliani sanno che per due granite e due brioche, benché di ottima qualità, la somma è un po’ gonfiata.

E se si trattasse del Caffè Sicilia di Noto?

Il caffè nella strada principale della città, protetta dall’Unesco, a pochi passi dal Duomo dorato, per giunta proprietà di Corrado Assenza, mostro sacro della pasticceria siciliana?

Ci siamo tornati per verificare con voi se la polemica avviata su Facebook da due turisti che si sono sentiti salassati e hanno molto protestato contro il noto locale dell’isola, abbia ragione d’essere.

Seguiteci.

granita 15 euro

IL POSTO

Non aspettatevi una pasticceria elegante o alla moda. Un po’ angusta, ricorda più un bar di paese con qualche pretesa che le signorili pasticcerie di Catania e Messina.

Caffe Sicilia - Corrado Assenza

Caffe Sicilia - Noto - Corrado Assenza

Caffe Sicilia - Noto - Corrado Assenza

Insomma, non sono le apparenze a rendere manifesta la sacralità del luogo.

La vetrina dei dolci certo non blandisce il barocco che regna al di fuori. Essenziale, espone pochi dolci della tradizione e un’infinità di mono-porzioni singolari, battezzate con nomi curiosi e descritte fino all’ingrediente più insignificante. Aspetto poco siciliano, che è un un giudizio ripetuto ossessivamente dai critici di Corrado Assenza.

Caffe Sicilia - Noto - Corrado Assenza

La ricchezza dell’assortimento, appena percettibile dalla vetrina, si capisce appieno una volta accomodati al tavolo: il menu è un volume di oltre cinquanta pagine.

Caffe Sicilia - Noto - Corrado Assenza

Caffe Sicilia - Noto - Corrado Assenza

Corso Vittorio Emanuele è pieno di turisti che passeggiano naso all’insù assorbiti dalla bellezza delle chiese. La pietra giallo-oro che le ingentilisce sembra una sabbia solida e imperturbabile.

Sono poco appariscenti anche i tavoli allineati all’esterno della pasticceria: piccoli, buoni giusto per gustare una tazza di caffè, spesso popolati di anziani che giocano a carte bevendo una Vecchia Romagna.

Non pensate però che i clienti tipo del Caffè Sicilia siano loro. Si alternano molti turisti, alcuni praticanti del culto di Corrado Assenza (tra questi i lettori di Dissapore), pochi gli abitanti di Noto. E in genere si va ben oltre il caffè.

Il servizio è all’altezza del prestigio che la pasticceria si è guadagnata: camerieri inaspettatamente disponili a spiegare ogni singolo aspetto dei dolci, bravi insomma a farvela cadere dall’alto, come fanno di solito i camerieri nei ristoranti stellati.

Caffe Sicilia - Noto - Corrado Assenza

Spiegazioni competenti e appassionate, capaci di trasmettere il grado di riverenza per il diletto maestro.

GRANITA

A parte il formato tradizionale, potete scegliere la mezza granita o tre porzioni ridotte in gusti diversi servite dentro ciotole di porcellana bianca.

Caffe Sicilia - Corrado Assenza - Tris Granita

E’ fatto divieto, scritto a chiare lettere sul menu, di mischiare i gusti. Una scelta intransigente, provocatoria ma giusta, da padre spirituale del gastrofighettismo. Il cameriere consiglia la sequenza ideale per degustare il tris. Prima di iniziare a mangiare dovete aspettare compuntamente che l’orazione sia conclusa.

Corrado Assenza sottrae il ridondante della pasticceria isolana lasciando spazio al gusto naturale, al sapore di ciò che è: mandorla di Noto, arancia rossa di Sicilia, caffè espresso. Se non vi controllate mangerete di nuovo ciò che avete mangiato, sentendovi comunque freschi e non appesantiti. Cosa che con i dolci non succede praticamente mai.

(I catanesi sono avvisati: abituati come siete a consistenze cremose e sapori decisi potreste trovare le granite un po’ acquose).

La panna, molto buona e preparata con latte di pecora, viene servita a parte. Brioche perfettamente integrata nell’ambiente: dalle forme imperfette, umile, di grande sostanza, sembra fatta in casa.

La granita nel formato tradizionale costa 4 euro, la mezza granita 2 euro.

Caffe Sicilia - Noto - Corrado Assenza - Brioche con gelato

Nello scontrino potreste scoprire che esiste una “granita speciale” dal costo di 5 euro. Come spiega bene il cameriere il prezzo riguarda solo alcuni gusti fatti con ingredienti più costosi degli altri, vedi mandorla di noto o caffè espresso.

Il costo della brioche è di 1,50 euro.

Il servizio al tavolo prevede una maggiorazione del 22%.

CANNOLO

Abbiamo detto che Corrado Assenza non è il classico pasticciere siciliano, il suo quindi non può essere il classico cannolo. Il sapore della ricotta di pecora non è edulcorato: niente aroma di cannella, zero canditi, men che meno il cioccolato.

Caffe Sicilia - Corrado Assenza - Cannolo

E’ un cannolo alleggerito e squisito che sfida apertamente la pompa dei dolci siciliani.

PASTICCERIA

La stile non cambia nella personalissima pasticceria di Corrado Assenza. Ma è questa, in particolare, a renderlo un maestro per cui vale comunque la pena andare al Caffè Sicilia.

Caffe Sicilia - Noto - Corrado Assenza

Elegante, a volte misteriosa, propone anche accostamenti audaci e stupefacenti, commistioni riuscite tra dolce e salato.

Se i tipici dolci siciliani nella sua interpetazione sono delicati, all’insegna del meno è meglio, senza orpelli che appesantiscano il sapore originale degli ingredienti, e molto composti nell’aspetto, quasi anonimi, la pasticceria che pure prevede soltanto ingredienti del posto è singolare: non vedrete idee del genere in nessun altro locale siciliano.

Caffe Sicilia - Noto - Corrado Assenza

Non andate via senza aver provato la crostata di ricotta e canditi o per una volta: mono-porzione di torta con farina di nocciole, mandorle di Noto, cacao, gin, basilico e menta.

Il costo di ogni mono-porzione è di 3 euro.

Adesso che ve l’abbiamo raccontato meglio: andreste al Caffè Sicilia sapendo di pagare 15 euro due granite e due brioche?

Noi sì, perché Noto vale sempre la pena, perché la firma di Corrado Assenza è unica e inimitabile, da grande interprete, forse il migliore, della pasticceria siciliana.

E però, se voi siete di quelli che “in fondo, in Sicilia, le granite sono tutte buone” a pochi passi trovate una piccola gelateria.

Siete sempre nella stessa città, anzi, ancora più vicini al Duomo. Entrate e ordinate due granite e due brioche. Pagherete 8,40 euro.

Il cameriere cadendo dalle nuvole non saprà dirvi se tra gli ingredienti c’è la cannella o se la colorazione insolita è data dalle bucce. Del sapore dopo qualche minuto non ricorderete più nulla.

Ci tornereste?

[CREDIT – PH. ALFIO BONINA]

Sicilia: 5 piatti sconosciuti che non potete non conoscere

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Caponata, pasta alla norma, arancini, cannoli e granita. Cibo siciliano ma ormai globale che il mondo spesso mostrifica: roba da far indignare i puristi.

Le querelle, anche se divertenti, ci porterebbero fuori strada. I sapori che cuciniamo oggi non sono da esportazione ma riflettono il carattere siciliano non meno di quelli universalmente noti.

A base di prodotti semplici, che non hanno bisogno di complesse elaborazioni culinarie, si trovano soltanto in alcuni posti della Sicilia.

Ve li segnaliamo e vi diciamo dove andare per assaporarli al meglio.

SPAGHETTI CON LE PATELLE

Le patelle in dialetto siciliano, padelle in italiano, sono frutti di mare attaccati agli scogli affioranti. Per vivere hanno bisogno del sole caldo e dell’acqua di mare che le bagna in un lento andirivieni.

Patelle

Dal diametro compreso tra 1 e 3 centimetri, si trovano nel litorale etneo, dove grazie alle rocce laviche la carne pur coriacea acquista un sapore unico. Arrivano fino a 10 centimetri di diametro quelle meno pregiate del mare di Pantelleria.

TRATTORIA DON SARO – CAPO MULINI

Trattoria Don Saro - Capomulini

Per assaggiarle vome condimento di uno spaghetto che non dimenticherete facilmente potete andare a Capomulini da Don Saro, trattoria alla buona con una vista da sogno sui faraglioni di Acitrezza.

Lì propongono delle buonissime mascoline alla brace.

Pasta con le patelle

Il piccolo cameriere tutto fare vi servirà più svelto possibile sotto lo sguardo severo di Gaetano, il titolare.

Il conto da Don Saro è alla portata di tutte le tasche tanto che il giornalista e scrittore Pietrangelo Buttafuoco, che se ne professa estimatore, piuttosto che cenare a La Rosetta, un ristorante romano tutto-pesce e tutto-vip, preferisce pagarsi l’aereo Roma-Catania, il taxi fino a Capo Mulini e il conto della verace trattoria.

Spende gli stessi soldi e in più si gode il mare.

OCCHI DI BUE ALLA BRACE

Più pregiati e cari delle patelle sono gli occhi di bue, altra squisitezza del litorale etneo. Sono frutti di mare con la conchiglia madreperlacea dai colori dello scoglio vulcanico, che costano in media 80-100 euro al kilo.

Occhi di bue

Per pescarli bisogna immergersi in fondali profondi anche 5 metri, in apnea, e capovolgere i grossi massi di roccia vulcanica, habitat naturale degli occhi di bue.

LA GROTTA – SANTA MARIA LA SCALA

Callosi e sodi ma non duri, sono i migliori frutti di mare che potete assaggiare. Lo spiccato e squisito sapore minerale suggerisce di mangiarli crudi o fatti alla brace e conditi con olio e limone.

Occhi di bue alla brace

Oppure nell’insalata di mare insieme a polpi, calamari, mazzancolle, così come si trovano dallo “zio Carmelo” de ‘La Grotta” di Santa Maria La Scala.

Gestito da padre e figlio, il locale si trova proprio dentro una piccola grotta lavica, con un numero ridotto di coperti anche fuori, lungo il marciapiede e nella piazzola con vista sul porticciolo del borgo di pescatori.

Occhio alle suggestioni se avete letto ‘I Malavoglia’.

Santa Maria la Scala

Per preparare in casa gli occhi di bue acquistateli da Nitto, nel quartiere Ognina di Catania, anche in questo caso vicino a un porticciolo.

Il pescivendolo non teme rivali in fatto di frutti di mare.

Frutti di mare da Nitto - CataniaFrutti di mare - Da Nitto - Catania

MAURO

Perdonate la franchezza, ma il sapore sembra quello di una rotonda leccata a uno scoglio di mare. Parliamo del “mauro”, alga commestibile che cresce tra gli scogli di Acireale, nei punti di convergenza tra l’acqua salata e quella dolce delle fonti sottomarine.

Mauro

Un tempo si assaggiava nelle bancarelle improvvisate lungo la strada, a crudo, condito solo con olio e limone. Oggi che il mare è meno limpido di un tempo la vendita interdetta, si trova ancora, alla chetichella, nei mercati di Acireale o Catania e in qualche locale che lo usa per condire spaghetti e ricci.

Se siete arditi provate a scovarlo ma prima familiarizzate con il venditore: vi deve dare un “mauro” più che sicuro.

PASTA COL SUGO DI SPARACOGNI

Da un’erba di mare a una di montagna. A Cesarò, paesino arroccato sui monti Nebrodi dove le sere di Agosto non è raro indossare il piumino, a primavera non mancano sulle tavole delle famiglie gli sparacogni, o “sparici i liara”, come sono chiamati nella zona.

Si tratta di una pianta spontanea che cresce nelle campagne incolte tra Etna e Nebrodi. I turioni, sottili e lunghi, simili agli asparagi ma dal sapore più amaro e selvaggio, vengono venduti a mazzetti dagli ambulanti.

A Cesarò si usano per uno tra i piatti più apprezzati della gastronomia locale.

Pasta Fratelli Mazzurco - Cesarò

Per cucinarli basta un soffritto d’aglio sfumato con vino bianco, quindi una salsa di pomodoro (messa a conserva nel mese di settembre) per addolcirne il sapore, oltre all’abbondante ricotta salata tipica dei Nebrodi che dona al piatto uno straordinario equilibrio.

Alcune varianti prevedono il concentrato di pomodoro o l’aggiunta di carne, ma la versione semplice resta la migliore.

FRATELLI MAZZURCO – CESARO’

Pasta Fratelli MazzurcoPasta Sparacogni - Fratelli Mazzurco

Gianluca Barbagallo, proprietario del ristorante Fratelli Mazzurco all’ingresso del paese, proprio sotto la roccia, li propone su una pizza che non ha eguali.

Si possono provare anche con la pasta in bianco, ma per sperimentare la ricetta tradizionale con il sugo e la ricotta salata va chiesta un’eccezione alla Zia Vicenzina, capostipite dei Mazzurco, oppure optare per i suoi maccheroni fatti in casa “alla Riolo”.

Pizza Fratelli MazzurcoPizza Sparacogni - Fratelli MazzurcoPizza Sparacogni - Fratelli Mazzurco

PISCISTOCCU ALLA MESSINESE

Tri cosi non mancunu mai a Missina, ventu, malanova e piscistoccu”.

L’ultimo piatto, il ‘piscistoccu alla messinese’ o ‘ piscistoccu alla ghiotta’, è tipico di Messina. Merita una menzione particolare per il carattere: è il tipico piatto che detesti o ami profondamente.

In questo caso più che arditi dovete essere dei veri avventurieri: dimenticate i sapori eleganti e le consistenze sensuali perché il pesce stocco, essiccato in modo naturale, ha personalità spiccata e un aroma che si riconosce. Anche da chi, appunto, lo detesta.

TRATTORIA DON NINO – MESSINA

Nella città dello stretto c’è una lunga tradizione in materia ma tra tutti i ristoranti lo specialista vero è “Don Nino”, della trattoria omonima in viale Europa, auto-definitosi “il mago dello stocco”.

Don Nino - Messina

L’aspetto solido, anche un po’ arcigno, da vera trattoria di una volta con le pareti in plastica decorate dalla pietra stampata, viene ampiamente compensato dalla cucina e dalla cortesia del proprietario e dei camerieri.

IMG_5074IMG_5080Piscistoccu - Don Nino - Messina

Don Nino propone il “tris di stocco”, tre ricette diverse servite in altrettante abbondanti portate. La prima è il pesce stocco a insalata, cioè a tocchetti crudi, condito con pomodoro e cipolle crude.

Segue la ricetta alla ghiotta: capperi, patate, cipolla, sedano, un’infinità di olive verdi e salsa di pomodoro abbondante. Nella terza versione il pesce stocco si accompagna con pomodoro ciliegino, aglio e tanti aromi.

Visto che siete in Sicilia dopo pranzo una granita è d’obbligo, oltre che necessaria. Magari al limone per rinfrescare il palato, lo stomaco e, dopo tante libagioni, anche le idee.

Nivarata 2016: le migliori granite siciliane del Festival che non spicca il volo

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I cittadini di Acireale, gli acesi per capirsi, conservano due tratti tipici della nobiltà decaduta. Il primo è il senso di superiorità di chi ha posseduto un grande tesoro: è stata una città illustre, bellissima nel suo barocco focoso e tenace.

L’altro è un senso di inadeguatezza per tanta maestà, il timore di non esserne all’altezza.

Il passato inciso in ogni pietra, dalle chiese ai palazzi, vissuto non come risorsa, ma come un peso che impedisce di spiccare il volo.

Proprio l’incapacità di volare alto è la sintesi della Nivarata 2016, il Festival internazionale della granita siciliana.

Nivarata 2016Nivarata 2016 - Barocco Acireale

Una rassegna gradevole che da sei edizioni propone piccoli piaceri in nome di una tradizione antica, senza avere ancora deciso cosa vuol fare da grande. Restare locale o darsi per esempio la dimensione internazionale dello Sherbeth Festival di Palermo dedicato al gelato?

Una rassegna incentrata sulla granita che nella granita non crede fino in fondo, come dimostrano i tanti premi collaterali per il gelato. Ancora riservata a un pubblico modesto nei numeri e con la partecipazione di pochi nivarai (gli artisti della granita).

Nivarata 2016

Pochi, però certamente buoni, questo va detto. Undici protagonisti, alcuni di Acireale, uno di Messina, uno di Catania, nessuno di Palermo (dove pure le granite si fanno), qualche sparuto gelatiere italiano e straniero, si sono impegnati a proporre granite di grande fattura, riempendo di profumi, dal cioccolato al mandarino, le strade del centro cittadino.

LA CLASSIFICA DI DISSAPORE

Nivarata 2016 - Stand degustazione granite

Abbiamo provato tutte le granite accomunate dalla sfida aperta alla tradizione con gusti atipici e commistioni alternative. Senza conoscere la classifica finale del concorso, ancora non ufficializzata, vi proponiamo la nostra.

#1 “Mastrantonia” – Gelateria Musumeci – Randazzo (CT)

Ciliegie dell’Etna Dop varietà Mastrantonio, zucchero, acqua

Nivarata 2016 - Granita Mastrantonia e pane di casaNivarata 2016 - Preparazione granita Mastrantonia

Equilibrata nella dolcezza, fresca, buona per chiunque, da chi ama la granita a colazione a quelli che vogliono farne un pranzo (viene servita con pane di semola).

La capacità di equilibrare l’estrema dolcezza delle ciliegie è il piccolo/grande capolavoro di Giovanna Musumeci, che porta avanti con passione il lavoro del padre Santo, mostro sacro del gelato siciliano.

#2 “Cirasella” di Giancarlo Losacco – Gelateria Mare di Vho – Tortona (AL)

Cacao 10/12, cioccolato fondente gold 38, liquore alla ciliegia, zucchero, acqua

Nivarata 2016 - Granita cioccolato

Decisa all’inizio e ricca di sfumature nel finale, colore netto e sapore marcato. Il riconoscimento qui va, oltre che alla granita, al piemontese Giancarlo Losacco, capace di rispettare la natura della granita siciliana senza rinunciare al gusto del suo territorio, serio ma sorprendente come in un gioco per grandi.

Umile, deciso a imparare da coloro che vivono lì dove la granita nasce, ha confessato le piccole differenze della sua lavorazione.

#3 “Mandarino di Timpazzi” – Giuseppe Arena – Bar Export (Messina)

Mandarino, cime di aneto, zucchero, acqua

Nivarata 2016 - Granita Mandarino e Cime di aneto

Look delicato, acidità dell’agrume mitigata dagli aromi. Una granita emancipata, salutista (è ricca di antiossidanti) e vegana, realizzata aromatizzando il mandarino con le cime di aneto.

Una menzione a parte merita la granita al limone di Luigi Romana che ha il merito di aver riprodotto facendolo conoscere l’autentico metodo di lavorazione della nivarata.

Nivarata 2016 - Preparazione manualeNivarata 2016 - Granita preparata manualmente

Una fattura totalmente manuale: il pozzetto della granita viene immerso in una tinozza colma di ghiaccio e sale, come agli inizi del Novecento, con le movenze sapienti e ipnotiche dei nivaroli, che utilizzavano la neve.

Una storia lunga che merita di essere raccontata in un Festival dal respiro internazionale, proprio qui, ad Acireale, dove la tradizione della vera granita affonda le radici.

E dove la Sicilia esibisce un passato indimenticabile, che il presente zoppicante non deve nascondere lasciando la ribalta alle sole immagini patinate di Taormina o Cefalù.

Nivarata 2016 - Duomo Acireale

[CREDITI – Foto Alfio Bonina]

Km.0 a Catania: ristorante giusto, nome sbagliato

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Può un ristorante che si chiama Km.0 nato con l’obiettivo di “valorizzare attraverso una cucina innovativa i prodotti del territorio”, presentare come prima proposta un piatto di paleta iberica?

Cioè il rinomato e celebrato prosciutto spagnolo?

La risposta è no.

A meno che vi troviate in Spagna.

Ma a Catania, complice la spensierata giovinezza dello chef, succede.

DA FUCINA DEL FUOCO A FUCINA DEI SAPORI

Il locale, l’ex bottega di un fabbro trasformata in un ristorante moderno, è nel suo momento di gloria.

Km0 - Catania

Km0 - Catania - Interni

Lo chef è Marco Cannizzaro, 28 anni, ad appena 26 apre il suo ristorante insieme a Fabio, il fratello di due anni più giovane.

Scelta coraggiosa di una coppia che vorresti abbracciare solo per questo: aiutati che Dio t’aiuta si dice, e la buona sorte sotto forma di fortunato programma tivù vinto dai fratelli (“4 ristoranti” con Alessandro Borghese) ha reso Km.0 il ristorante del momento.

In sala si fa apprezzare il garbo di Fabio, dotato di naturale gentilezza, ma all’atmosfera manca il calore che rende le serate indimenticabili, complice un arredamento lineare ma con poca personalità.

Km0 - Catania

Km0 - Catania

Ambizioso, emotivo, con una discreta dose di presunzione, lo chef ha scommesso tutto su di sé, sulla propria bravura.

La scelta rivela un potenziale non comune a soli 28 anni, ma anche qualche limite.

I PIATTI

Km0 - Catania - Vini

Km0 - Catania

Dal servizio ai piatti, che vantano un’impronta unica, spuntano vitalità, freschezza e un pizzico di sana incoscienza.

Incuriositi dalla varietà delle proposte abbiamo provato di tutto, dal menu degustazione di carne a quello di pesce, entrambi proposti al costo di 45 €.

Ma, come dicevamo, non aspettatevi il Km0. Un’espressione abusata, modaiola, secondo qualche chef una scusa per alzare i prezzi, limitante per Carlo Cracco, doverosa secondo il sindaco di Firenze.

A Marco Cannizzaro sembra stare stretta e comunque non se ne fa un problema. Lo chef irride allegramente il nome del locale a partire dalla già ricordata paleta iberica.

Km0 - Catania - Palete

L’effetto nostalgia riconducibile alla passione dello chef per i sapori autentici di questa parte della Sicilia, si ritrova in qualche piatto, come per esempio nella crema di peperoni e menta con burrata e scorza di limone.

O nell’impiego di aromi decisi, un richiamo irresistibile ai profumi dell’estate.

Km0 - Catania

A volte la magia riesce anche nei piatti che dal chilometro zero non potrebbero essere più distanti, vedi la tartara di gambero rosso con salsa di kiwi e sedano croccante.

Gamberi - Kiwi - Sedano - Km.0

Da provare tra gli antipasti di pesce i calamari alla plancia e julienne di zucchine: calamari deliziosamente ammorbiditi e abbinamento riuscito tra sapori in apparenza poco conciliabili, vale a dire la mousse di ricotta e limone.

Km0 - Catania - Calamaro

Non va sempre così bene, intendiamoci, il remake di un classico siciliano come le caserecce alla norma mostra i limiti attuali del giovane chef.

Km0 - Catania - Norma rivisitata

L’aspetto è affascinante, ma la salsa di melanzane non ha niente della sublime untuosità di una buona fetta di melanzana fritta, tanto meno il gusto.

Il tentativo di innovare la pasta alla Norma poggia su una crema di melanzane, mentre sopra le caserecce compaiono le scorze sfilettate, con un sentore di affumicato (come di qualcosa cotto alla brace). Un’idea interessante ma nulla più.

Va molto meglio con gli spaghettoni ai ricci. La cremosità dell’intingolo, coronato da un ciuffo di ricotta di bufala, non distoglie dal sapore vigoroso della polpa rossa.

Km0 - Catania - Spaghettone con i ricci e ricotta di bufala

Sapidi ma meno audaci gli spaghetti con ragù di polpo.

Nei secondi di pesce e di carne le consistenze sono rispettate e le cotture mai meno che perfette.

Km0 - Catania - Tonno

Km.0

Il dolce consiste in quattro mini portate dove primeggiano creme e gelati ma si insinua, come una zitella fastidiosamente in cerca di marito, la solita scomposizione del cannolo siciliano,  camuffata in modo intelligente dal nome: millefoglie di cannolo.

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Millefoglie cannolo - Km.0

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I vini

La scelta è varia, anche qui si va oltre il territorio siciliano con originalità e attenzione per il buono.

Se scegliete i menu degustazione optate per la bottiglia intera e non per una degustazione di vini se non volete che i calici vengano riempiti a stento, alla ricerca di una vistosa parsimonia.

GIUDIZIO FINALE

Solo raramente i 28 anni dello chef sono un limite per i piatti del Km0, nelle rivisitazioni in particolare. Altrimenti portano la sua impronta, semplice ma decisa.

Colori tenui e sapori aggraziati vengono spesso esaltati dalla scelta degli ingredienti come ricotta o burrata di bufala. Altrove, per converso, sorprende in modo piacevole la forza degli aromi.

La speranza che un ristorante alla moda non sia una meteora ma diventi nel tempo un rifugio sicuro è giustificata.

Finale dedicato alla scelta del nome:

«Con questa storia del chilometro zero i ristoratori hanno abbattuto i costi di acquisto delle materie prime e hanno alzato i prezzi dei menu. Riescono a farti pagare più di 40 euro un’insalata solo perché è stata raccolta nell’orto del ristoranteCose da pazzi. I prodotti a chilometro zero dovrebbero costare meno, non di più. Ma ormai molti chef vendono loro stessi, la griffe. Non quello che ti fanno mangiare. È assurdo»

Questo ha detto Matteo Metullio, lo chef del ristorante “La Siriola” di San Cassiano, in provincia di Bolzano, il più giovane cuoco stellato d’Italia. 26 anni, due in meno di Marco Cannizzaro.

Ma per l’ambizioso ristorante catanese non si poteva scegliere un nome che ponesse meno limiti?

INFORMAZIONI

Km.0
Via Antonino Longo, 26,
95125 Catania CT
Telefono: 347 732 7788
[CREDIT: FOTO ALFIO BONINA]

Le migliori granite di Catania: non avrai altra guida al di fuori di questa

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Ci scusino i catanesi se siamo in ritardo. Sappiamo della loro abitudine di rimpiazzare la maglia della salute con bermuda e t-shirt al primo raggio di sole marzolino, e via al mare. Finalmente.

Per gli abitanti della città etnea il “fiorir di primavera” che tanti versi ispirati ha indotto nei cuori sensibili proprio non esiste. Si passa dall’inverno alla calda estate.

Che poi fuori ci siano ancora 10 gradi e le tempeste di stagione poco importa. Non lo ammetteranno mai, per loro è già estate. Cioè tempo di granite.

Ecco allora la nostra guida alle 10 migliori granite di Catania, provincia compresa. Ce ne sono per tutti i gusti, di tutti i tipi.

1) BAR LA TIMPA – SANTA MARIA LA SCALA

Spremitura a mano

Chi è stato il primo a scoprire la granita della zia Tanina, insomma il bar della Timpa di Santa Maria la Scala? Su questo posto, su questa donna splendida, si dovrebbe scrivere un libro, e in fretta.

Bar La Timpa - Santa Maria la Scala

Un semplice bar che più anonimo non si potrebbe, in una microscopica frazione sotto la “timpa”, costone lavico dalla natura selvaggia, incantevole e silenziosa.

Quando si parla di sostanza, di un posto dove l’apparenza non entra ma neanche di striscio, il bar La Timpa non lo batte nessuno. Proviamo a spiegare qualcosa di più.

Capelli grigi un po’ trasandati e legati alla buona, con l’immancabile fadale. Sempre affaccendata, con le mani che non si stancano mai di impastare la frutta delle granite. E ricominciare da capo.

Zia Tanina - Bar La Timpa - Santa Maria la Scala

Lei, in apparenza più anziana di quel che davvero è, potrebbe anche non darvi la granita, per lo meno non in tutti i gusti disponibili.

Alcuni li tiene nascosti dagli sguardi indiscreti coprendo i pozzetti del banco frigo con la carta stagnola.

Bar La Timpa - Santa Maria la Scala

Doppioni sono!”, è la sbrigativa risposta per il malcapitato che ha la ventura di chiedere cosa si nasconde sotto. Il messaggio è scritto a chiare lettere. Non fare domande. Stop.

Ma attenzione, non è una macchietta. Chi pensa di deridere questa donna siciliana d’altri tempi, di grande intelligenza, dalla battuta salace e pronta, verrà fulminato all’istante.

Se invece, per qualche fortunata congiunzione astrale entrate nelle sue grazie, vi farà sentire coccolati, chiamandovi ‘gioia’, e concedervi le sue migliori specialità come farebbe la nonna che vi ha cresciuti.

Sedendo ai tavoli non chiedetevi chi vi servirà, potrebbe essere un vicino di casa, un abitante del luogo, un parente della numerosa famiglia, o un po’ uno e un po’ l’altro.

Solo bicchieri di carta, raramente di vetro, come se il sapore vero non avesse bisogno di materiali importanti. Quello piccolo, da caffè, dal costo di un euro, potrà pure bastarvi, colmo com’è.

Granita pesca - Bar La Timpa - Santa Maria la ScalaGrnaita mandorla - Bar La Timpa - Santa Maria la Scala

Gusti: quelli che la sorte e la benevolenza della zia Tanina vorranno farvi scoprire. Strepitosi pesca, banana, arancia rossa, mandorla e lampone (che proviene da una coltivazione del marito “quannu non c’è troppu cauru”).

Tutti preparati a mano senza nessun macchinario, neanche lo spremiagrumi per il limone.

La sera passando da Santa Maria La Scala, quando i pochi abitanti del borgo marinaro vanno a dormire, la troverete seduta davanti al tavolo del suo bar, con la granita appena consumata, a fissare il vuoto, mentre si sostiene il volto stanco con la mano, in una delle cartoline siciliane più affascinanti.

2) BAR MUSUMECI – RANDAZZO

La ricerca della granita perfetta

Randazzo possiede tre doni: l’eleganza austera della città normanna, una sovrannaturale frescura estiva e la granita di Giovanna Musumeci.

Per equilibrio è superiore a qualunque altra in Sicilia. Equilibrio tra gli ingredienti, calcolato di giustezza in ogni gusto. Equilibrio ancora più millimetrico tra la freschezza originale della granita e quel pizzico di cremosità in più che conferisce la polpa della frutta.

Un vero miracolo.

Granita Musumeci - Bar Musumeci - Randazzo

Giovanna Musumeci, figlia di Santo, maestro gelatiere presente nella classifica di Dissapore fin dalla prima edizione, conduce una ricerca personale sulla granita perfetta.

Laureata in economia e commercio, con la giusta dose di umiltà e una naturale affezione per i suoi luoghi, e per i prodotti locali, è instancabile. Un vulcano vero.

Bar Musumeci - RandazzoBar Musumeci - Randazzo

Gusterete la granita nella piccola piazza Santa Maria, davanti alla Basilica del XIII secolo di stile normanno-svevo.

Gusti consigliati: fragola, fatta con fragole e fragoline di bosco, dal colore vivo e sapore inequivocabile. La “mastrantonia” fatta solo nel mese di giugno con le omonime ciliegie di S.Alfio, piccolo paesino etneo, e la granita alle pesche.

Granita Pesca - Bar Musumeci - Randazzo

Da  elogiare anche la granita al pistacchio, nemmeno quella della vicina Bronte, la granita della “Caffetteria Luca“, ritenuta tra le migliori, può reggere il confronto.

Granita Limone - Bar Musumeci - Randazzo

Infine la granita al limone: così, come non l’avete mai mangiata. Il gusto alterna l’aspro dell’agrume, la dolcezza e un superlativo tocco di amarognolo che proviene dall’infusione delle bucce dei limoni.

3) BAR ALECCI – GRAVINA DI CATANIA

La sveglia a colazione

Trovate il bar Alecci in una via trafficata di Gravina, piccolo paese un tempo terra di agrumi, ormai inglobato nella città etnea come un normale quartiere.

Il titolare, il signor Alecci, così come l’eterna Cinquecento posteggiata fuori, vi accolgono dalle prime ore del mattino con uno squillante saluto, assegnando titoli a caso (Avvocato! Dottoressa! Direttore! a seconda del momento o delle situazioni).

Bar Alecci - Gravina di Catania

Nel primo pomeriggio invece, quando la situazione è più calma, il tono squillante si adatta diventando uno suadente ‘Buon pomeriggio signori‘.

Affollato durante la stagione estiva a causa delle, va da sé, meravigliose granite, invade la via intera con il profumo delle briosce sempre calde. Inutile resistere.

Granita pistacchio - Bar Alecci - Gravina di CataniaGranita Gelsi - Bar Alecci - Gravina di Catania

Gusti consigliati: gelsi, pistacchio, mandorla e cioccolato.

4) ZZU ORAZIO E LA LAPA – ACI TREZZA

La granita nel cuore della notte

Una menzione a parte merita questa “lapa” che esiste da 60 anni, e che da 27 appartiene allo “Zzu Orazio”, sempre in giro per vendere le sue granite, in sosta durante la notte di fronte al mercato ittico di Acitrezza.

Mercato Ittico Acitrezza

Nella piccola piazzola il silenzio notturno è interrotto dallo scarico del pesce e dalle grida dei venditori, un via vai di uomini che sollevano tonni e pesci spada dai dieci ai cinquanta chili, e le cassette colme di sarde o di masculine.

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Ma siamo anche nella zona dove sosta la movida catanese.

Per questo i clienti dello zzu Orazio si dividono in una bizzarra mescolanza: giovanotti impomatati che terminano con una granita la notte in discoteca, a volte un po’ ubriachi, e rudi uomini sporchi di sangue del pesce che hanno appena spezzettato in tranci.

Zzu Orazio - Mercato Ittico Acitrezza

La granita ha il sapore di quella che i siciliani, oggi quarantenni, gustavano da bambini. La granita delle “lape“, che giravano e girano ancora suonando il fischietto per annunciarsi, e riponendo le granite nei “panari” calati dai balconi.

I gusti migliori sono i gelsi e il limone, l’orario preferibile è alle 3:00 del mattino, quando al mercato arriva il pesce migliore e le briosce servite dallo Zu Orazio sono ancora calde.

5) CAFE SOLAIRE – ACITREZZA

Ancora Acitrezza nella nostra classifica, per una gelateria che ha conquistato il cuore di molti catanesi.

Cafè Solaire - Acitrezza

Esattamente di fronte l’isola Lachea, di cui si apprezza la vista piacevole, la gelateria Caffè Solaire è un locale piccolo e semplice.

Ottima la broscia con il tuppo, sfornata sempre calda.

Brioscia Cafè Solaire - Acitrezza

Tra i gusti consigliati la granita ai fichi (ma solo ad agosto, nel periodo di raccolta del frutto), la granita al melone cantalupo, per chi ne ama il sapore dolce, e la granita al caffè.

Granita Pesca - Cafè Solaire - AcitrezzaGranita Cantalupo - Cafè Solaire - Acitrezza

6) GIARRE – CHIOSCO LITTLE ROBERT

A Giarre il livello medio delle granite è elevato. Nel posto migliore, un grande chiosco in legno nel quartiere “Funnacu Baruni” (il fondo agricolo del barone) alla fine della via principale, si fa una granita al limone verdello eccezionale.

Bar Little Robert - GiarreBar Little Robert - Giarre

Il limone verdello è un frutto molto dissetante raccolto da maggio a settembre nelle zone che vanno da Acireale a Fiumefreddo: Giarre sta nel mezzo.

La buccia è di colore verde chiaro, la polpa è meno succosa del normale e assai aspra.

Caratteristica che resta intatta nella granita per la presenza delle piccole scorzette che la colorano, e che grazie al retrogusto amarognolo ne bilanciano la dolcezza. Una granita che ricorda una rinfrescante limonata, e che viene fatta con la stessa ricetta da due generazioni.

Granita Limone Verdello - Bar Little Robert - Giarre

Se ci andate portate delle banconote da cinque o dieci euro, il titolare non accetta altro. “A causa dei falsari” spiega, ma senza troppo astio: “anche loro devono lavorare”.

7) C&G – GRANITA AL CIOCCOLATO

Cioccolato, gelato, e pure granita. A Catania l’apertura del locale, avvenuta qualche anno fa, ha rappresentato una piccola svolta. C&G ha portato in città una conoscenza maggiore e tutta la delizia del cioccolato.

C&G - CataniaC&G - CataniaC&G - Catania

Ambiente moderno, bianco e nero che dominano, marchio riconoscibile, scenografica presentazione della granita dal gusto deciso del cioccolato.

Granita al cioccolato - C&G - Catania

8) SAVIA – CATANIA

Un classico che non tramonta. Al centro di Catania, tra via Etnea e via Umberto nel salotto buono della città Savia è un brulicare continuo di persone.

Una volta faceva la migliore granita di Catania. Un punto di riferimento. Oggi, detta ancora legge in centro, specie per la granita alla fragola, con qualche rimpianto dei catanesi a causa della chiusura per ferie a giugno/luglio.

9) CAFE CIPRIANI – ACIREALE

Nelle gelaterie di Acireale potrebbero capitarvi gusti stravaganti per via della Nivarata, manifestazione che ogni anno premia la migliore granita “originale”. Consentiteci, saranno anche più o meno condivisibili, ma rischiano di snaturare l’essenza della granita, ovvero la semplicità.

L’elegante e rinomato Cafè Cipriani, di fronte alla bellissima chiesa di San Sebastiano, oltre ai classici gusti serve la granita “Regno delle due Sicilie”, un vero babà trasformato in granita.

Cafe Cipriani - Acireale

Un’idea per golosi, con la sua bella consistenza, di certo né leggera né rinfrescante.

10) BAR KENNEDY – ACIREALE

In una zona di Acireale meno barocca e centrale di altre trovate il Bar Kennedy, attrezzato con una grande veranda e frequentato a ogni ora.

Lasciate perdere la granita “pan di stelle”, specialità del posto, e optate per i gusti freschi e naturali.

Bar Kennedy - AcirealeBar Kennedy - Acireale

Da provare: granita al caffè, che nell’opinione dei gelatieri esperti resta tra le meno semplici da preparare, al pistacchio e ai gelsi

A pochi metri di distanza c’è la gelateria “Nevaroli Condorelli”, aperta dal figlio del proprietario dello storico bar acese.

I Nevaroli - AcirealeI Nevaroli - Acireale

Marchio a suo modo storico ma ambientazione moderna per l’amata granita, rivisitata anche nei gusti, non sempre riusciti.

Se proprio vogliamo segnalare un gusto originale, meglio allora la “mandorla araba” del bar San Domenico.

Granita Mandorla araba - Bar San Domenico - Acireale

L’aggiunta alla mandorla dell’anice stellato rende la granita più fresca, la spolverata di cannella richiama un binomio sempre presente nella pasticceria siciliana.

[CREDIT – PH. ALFIO BONINA – ORAZIO ESPOSITO]


Pino Cuttaia trasforma La Madia “per colpa di Dissapore”

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Chi l’ha detto che i critici gastronomici non servono a nulla? O per lo meno, che una recensione, per quanto spigolosa (“Licata è una specie di ernia in fondo alla Sicilia. Se non fosse per La Madia, il ristorante di Pino Cuttaia“), dove si scrive apertamente ciò che tutti pensano ma omettono per timore di non compiacere lo chef, debba essere per forza deleteria per il recensito?

Accade, purtroppo raramente, che qualche persona di buon senso faccia tesoro di una critica che coglie nel segno, se ne appropri (magari perché la condivide) e colga l’occasione per raccogliere la sfida a lungo rinviata. Può accadere, in altre parole, che il re si scopra nudo, e decida allora di vestirsi, o meglio, di cambiare vestito.

E’ il caso di Pino Cuttaia, che ha ristrutturato La Madia “per colpa di Dissapore”.

O meglio, anche per una recensione pubblicata giusto un anno fa, estasiata dalla cucina “misuratamente diversa, piena di intuizioni, calore, saggezza e simpatia” dello chef siciliano, ma ruvida nei confronti degli interni: ‘una camerata da caserma, che a stento potrebbe accogliere una trattoria, con tinte allucinate su pareti e muretti a imbruttirne l’aspetto, o le decorazioni siculo trash’.

Alla fine l’architetto, di cui Dissapore aveva implorato l’intervento, è arrivato sul serio. Ragione per cui siamo tornati a La Madia cercando di capire da vicino com’è cambiato.

LA NUOVA MADIA

La Madia - Pino Cuttaia

Il benvenuto è affidato al consueto corridoio, però oggi vivacizzato dal legno di rovere chiaro, a terra e nella parete di destra.

Un percorso abbastanza lungo da consentire agli avventori di dimenticare il viaggio comunque estenuante che li ha condotti a Licata.

La Madia - Pino Cuttaia

Nella sala il cambiamento lascia di sasso: nessuna traccia delle famose “tinte allucinate su pareti e muretti“, e tantomeno delle “decorazioni siculo trash.

Non sembra nemmeno di essere nella stessa sala.

La Madia - Pino Cuttaia

Tavoli eleganti ricoperti da lunghe tovaglie bianche, poltrone imbottite e rivestite di pelle scura, un intervento che con il minimo quantitativo di demolizioni ha ottenuto una vera metamorfosi. La distribuzione razionale degli spazi, il cielo stellato che illumina l’ambiente e il sottofondo di musica classica concorrono a disegnare un’atmosfera signorile.

Il progetto, firmato da Architrend Studio e seguito da Gaetano Manganello e Carmelo Tumino, dedica alla Sicilia due soli spazi dalle linee squadrate, senza caricature.

Una grande foto di Davide Dutto (scelta perché, precisiamolo per i fan, è l’immagine del profilo WhatsApp di Cuttaia).

La Madia - Pino Cuttaia

E un’ampia finestra, unico punto da cui arriva la luce naturale, che affaccia su un giardino arredato con piante di limoni e gerani dal disordine organizzato, voluto.

La Madia - Pino Cuttaia

UN POSTO CHE NON FACCIA PENSARE

La prima impressione potrebbe deludere: Cuttaia si è fatto prendere la mano e ha spogliato l’ambiente razionalizzandolo fin troppo.

Ma progressivamente, mentre si alternano le portate, realizzi che la scena è quella giusta per lo chef, abbastanza neutra per trasferire l’attenzione sui piatti.

La Madia - Pino Cuttaia

La nuova La Madia è studiata per non distrarre l’ospite, per farlo concentrare soltanto sul cibo, sui suoi piatti già rimodellati.

Soltanto in quelli adesso si trovano i suoi ricordi, i luoghi, le persone.

La Madia - Pino Cuttaia - Sale

Eccolo il grande Pino Cuttaia che ci tratta come bambini da meravigliare con un continuo invito al gioco, con un menu bilanciato sempre meglio con le storie raccontate con grande tecnica e carisma naturale.

Come nel Sole vento, rivisitazione scomposta del pane cunzatu, cioè conciato con olio, salsa al profumo di concentrato, un’alice e un quarto di pane, il cosiddetto quartino acquistato giornalmente da chi viveva da solo.

La Madia - Pino Cuttaia - Pani cunzatu

La Madia - Pino Cuttaia

Il desiderio della scarpetta, costante tentazione del pranzo, vince sul bon ton e qui è addirittura legittimata, anzi, imposta.

Nella Pizzaiola di merluzzo all’affumicatura di pigna o nel Raviolo di calamaro ripieno di tinnirume di cocuzza prevale la ricca cucina siciliana, i gusti diventano sapidi e diretti, anzi, se possibile esasperati.

La Madia - Pino Cuttaia -La Madia - Pino Cuttaia - Pizzaiola01670166

A volte i profumi prevalgono sui sapori. Gli spaghetti sminuzzati, scelta prettamente indigena, sono protagonisti della Pasta e minestra di crostacei e granella di mandorle.

La Madia - Pino Cuttaia - Zuppa di crostacei

Come avviene nelle tavole domestiche dell’Isola un pentolino resta sul tavolo per il bis, in un adattamento “stellato” del classico pentolone.

La Madia - Pino Cuttaia - Pentolino per il bis

Nel Quadro di alici, uno dei piatti più noti di Cuttaia, all’illusione si sostituisce l’ipnosi

La Madia - Pino Cuttaia - Quadro di alici

Lo chef racconta, il cliente ascolta e ricorda.

Nella ricciola cotta in olio di cenere, presentata con accanto una ciotolina con i gusci di mandorla accesi (le scorce di mennula) per ricordare il profumo della carbonella, il ricordo va alle scampagnate, ai momenti spensierati, alle competizioni familiari sul modo migliore di accendere il ‘fucuni”.

Un paradiso di fuoco, invece per lo chef, il ricordo del profumo dei vestiti stirati della domenica.

La granita con brioscia col tuppo e la cassata di gelato vengono serviti nelle guantiere di porcellana bianca, le stesse, però in cartone, utilizzate nei bar di paese

La Madia - Pino Cuttaia - Brioscia con granitaLa Madia - Pino Cuttaia - Cassata gelata

Alla fine capisci ancora meglio il perché di un’ambientazione tanto minimalista. Per tutto il pranzo niente ha distratto l’attenzione dalla successione entusiasmante delle portate.

COSA CI FA QUI CUTTAIA?

E poi ci siamo ricordati di essere a Licata, paese il cui fascino continua a sfuggire ai non residenti.

Volenti o nolenti la solita domanda è tornata fuori. Cosa ci fa uno come Pino Cuttaia qui?

Alcune voci raccontavano di un locale in apertura a Taormina, progetto finito prima ancora di iniziare.

Fortunatamente. Per Licata, che senza Cuttaia sarebbe un posto ancora più insignificante, per Cuttaia che senza Licata, probabilmente, non sarebbe lo stesso.

Uovodiseppia - Licata - gioco della campana

Senza la sua strada e le granite del caffè Florio. Senza la possibilità di entrare e uscire dal locale, quasi fosse in una piacevole trappola, prendere una boccata d’aria e andare nella bottega di fronte.

“Uovo di seppia”, la sua bottega.

Dove anche voi dovete passare dopo aver cenato a La Madia.

La Madia - Pino Cuttaia

Fuori sede, in trasferta, in contesti diversi, nelle varie cene a quattro mani, i piatti di Cuttaia rimangono un racconto fine a sé stesso, lui ne esce come una timida stella.

La Madia - Pino Cuttaia

A Licata invece, incredibile a dirsi, è un’altra storia.

[CREDIT – FOTO ALFIO BONINA]

Messina: 10 granite senza rivali

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Dove mangiare la granita migliore in Sicilia? A Catania (cliccando il link trovate la classifica) segue alla domanda una lunga pausa di riflessione, poi il sorriso ammiccante di chi pregusta l’effetto finale. Infine ecco i nomi delle gelaterie, i metodi, le particolarità.

A Messina vi risponderanno semplicemente: “Ovunque. Purché a Messina”. Così, senza enfasi, come fa chi è sicuro dei fatti suoi.

In effetti nella città dello Stretto le differenze tra granita e granita sono sottili, soprattutto nella granita al caffè con panna, la più tradizionale delle granite locali, per i messinesi da sempre ‘la mezza con panna’.

Caffe con panna è na condanna - Irrera - Messina

La panna, a Catania considerata un ornamento e fatta pagare a parte, diventa protagonista Messina, a volte prendendosi la maggior parte del contenitore.

Proprio dalla granita al caffè, fatta ancora con il vecchio mantecatore verticale altrimenti non è la vera granita scura, siamo partiti per stilare la classifica di Dissapore delle migliori granite di Messina e provincia. Isole escluse.

1# BAR EDEN – PUNTA FARO – MESSINA

LE ENORMI BRIOSCE CONTINUAMENTE SFORNATE

Meraviglia insospettabile, il bar Eden è una piccola gelateria dall’arredamento spartano, nel punto della Sicilia più vicino all’Italia: punta Faro. Lungo il mare c’è sempre qualche curioso che osserva la pesca, le spadare, la raccolte delle cozze.

All’esterno un cortiletto con pochi tavoli occupati da giovanotti in costume al rientro dal mare. All’interno l’odore inconfondibile delle enormi briosce calde create senza sosta con il movimento circolare delle mani, per modellare il “tuppo”, e sfornate continuamente.

Bar Eden - Messina - lavorazione briosce

Bar Eden - Messina - lavorazione briosce

Bar Eden - Messina - lavorazione briosce

Per lavorare la granita, sulla base delle antiche ricette si usano vecchie macchine Carpigiani lascito dei vecchi proprietari.

Bar Eden - Messina - lavorazione granite

Il risultato è indiscutibilmente la migliore granita di Messina, sia a base di frutta (da provare pesca, anguria, fichi) sia nella versione caffè con panna.

Bar Eden - Messina - Granita pesca

Accoglienza e servizio un po’ timidi ma semplici, il vero problema è l’apertura soltanto nella stagione estiva, decisione che ostacola la rinomanza di questa icona della granita siciliana.

2# BAR DE LUCA – BRIGA MARINA

TANTI GUSTI DA PORTAR VIA

A pochi chilometri da Messina, nelle zone colpite dall’alluvione del 2009, dove si alternano squallore, decadenza e posti di mare di indiscutibile bellezza, si trova il Bar De Luca, in un quartiere residenziale, proprio sul ciglio della strada. Gli unici tavolini sono posti dall’altro lato su una piccola piazzola, ma chi abita in zona preferisce portarsi le granite a casa.

Bar De Luca - Briga Marina

Un locale piccolo, per metà occupato da un lungo bancone pieno di pozzetti per i diversi gusti di granita, con una parete tappezzata di trofei e articoli di giornale dedicati alla gelateria.

Bar De Luca - Briga Marina - Granita caffè Panna

Qui si trova la migliore granita alla fragola con panna della provincia di Messina, preparata con fragole e fragoline di bosco, scelte accuratamente dalla titolare.

3# DODDIS – MESSINA

LA GRANITA COME MOMENTO DI PAUSA

Contrariamente ad altre pasticcerie, Doddis –salotto buono della borghesia messinese– punta sul consumo della granita come momento pausa conviviale.

Doddis - Messina

L’odore penetrante dei mobili in noce riporta ad atmosfere inizio novecento. Costi più alti della media ma giustificati dal livello delle granite e dal servizio professionale.

Granita fragola e panna - Doddis - Messina

I gusti migliori sono fragola con panna e pistacchio.

4# BAR FIUMARA GIOVANNI – VILLAFRANCA TIRRENA

LA GRANITA MALINCONICA

Il nome è da mitizzare smisuratamente: bar Fiumara Giovanni. Il posto, improbabile, merita la deviazione verso un paese desolato, a cui l’ingegnosa opera dell’uomo ha sottratto spiaggia e dune sabbiose.

Ma il titolare, Sebastiano Fiumara, continua con la perseveranza e l’impegno che furono del padre Giovanni, rimpiangendo il tempo in cui padre e nonno erano dipendenti di Renato Irrera, nell’omonima e smisurata pasticceria di Piazza Cairoli, quando i marinai inglesi affollavano la principale pasticceria di Messina e ‘le mance si portavano a casa coi sacchi’.

Bar Fiumara - Villafranca - macchina Carpigiani

Quando non esisteva l’autostrada i clienti erano più numerosi ma la granita è sempre lei.

Si lavora duro per mantenere le stesse ricette e lavorazioni, continuando a produrre le vere specialità della casa, come “la mattonella” da mangiare con la paletta: fuori gelato gianduia dentro semifreddo.

Bar Fiumara - Villafranca - mattonella

Tra le granite ricordate di provare quella al cioccolato con la panna, e poi granita alla fragola e al caffè.

Bar Fiumara - Villafranca - granita cioccolato

Bar Fiumara - Villafranca - granita fragola

5# BAM BAR – TAORMINA

GRANITA COLORATA DELLA SICILIA BEDDA

I locali potrebbero trovare eccessiva la rappresentazione della Sicilia inscenata dal Bam Bar di Taormina, dove tutto è carico come in un grande e variopinto carretto siciliano. Ma i turisti lo amano smodatamente, e di riflesso la stessa fortunata sorte tocca al titolare Rosario Bambara, che fa più colore delle le sue granite.

Bambar Taormina

Una molla più che un uomo: serve ai tavoli mentre rimprovera teatralmente un dipendente che non tiene il passo, poi snocciola le 24 diverse granite passando dall’idioma cinese, a quello turco o al giapponese. Ricava grande soddisfazione dai ricchi e famosi frequentatori del suo bar, che dice di conoscere personalmente.

Ma al netto di tutto, al netto del personaggio e di Taormina, le granite qui sono piccoli capolavori specie nelle versioni extraterritoriali: ananas, l’accoppiata kiwi e lampone, banana, pesca.

Bambar Taormina - Granita Lamponi Kiwi

Sorpresa! Il locale non ha un vero laboratorio, viene spontaneo chiedersi come faccia il personale a preparare granite a getto continuo dietro il bancone, in uno spazio ridottissimo.

Bambar Taormina

6# PASTICCERIA IRRERA 1910 – MESSINA

IL CLASSICO INTRAMONTABILE

Dal 1910 nella centralissima piazza Cairoli la pasticceria Irrera continua a rendere le estati messinesi più dolci con le sue granite, sebbene da salotto buono di Messina che era, sembra trasformato in una specie di fast food della pasticceria siciliana.

Irrera 1910 - Messina

A tenere alto il nome glorioso sono soprattutto le briosce, ancora oggi le migliori in città.

Della dimensione giusta, soffici, di gusto delicato, sono la perfetta integrazione della mezza con panna, l’inzuppo regala grande soddisfazione.

Granita caffe e panna - Irrera - Messina

7# U TEDESCO

MOMENTO SICILIANO

A sentir lui la prima granita l’avrebbe inventata il nonno, “lì lì su quella montagna lì sopra”.

Vero o non vero che sia, a dispetto di alcuni che lo snobbano, il nostro può annoverare un seguito fedele che ritiene la sua granita autenticamente messinese.

Il tedesco - Messina

U Tedesco - Messina

Sono gli habitué che esorcizzano il caldo passando le interminabili giornate estive tra i tavolini posti all’ombra del camioncino, gli stessi che rispondono sarcastici alle mille domande sulle origini di quel soprannome.

Risposta semplice: l’incarnato è chiaro, gli occhi azzurri e capelli biondi, le parole sono poche ma decise, è un tipo fiero, forse anche vanitoso.

U Tedesco - Messina

La morbida mezza con panna ha il difetto di somigliare troppo a un frappé, ma la golosità garantita, e il rapporto qualità prezzo è assolutamente imbattibile: granita con panna e brioscia solo 1 euro e cinquanta centesimi.

Sul viale confinante c’è il bar ‘Il tedesco’, granita simile ma attenzione: non è l’originale, o meglio sono i figli che si godono la fama conquistata dal padre.

8# BAR IL PLATANO – MESSINA

UNA CHICCA DAI GUSTI CURIOSI

Ah, se solo queste granite fossero meno dolci. Sarebbero molto più in alto, altroché ottavo posto.

Bar Platano - Messina

L’originalità dei gusti profondamente siciliani rende il bar diverso da tutti gli altri esaltando la freschezza della granita. Che in certi casi poterebbe anche essere un digestivo, vedi la splendida granita al finocchietto selvatico.

Bar Platano - Messina - granita finocchietto selvatico

Squisita quella al gelsomino, che riproduce il gusto della goccia succhiata dal fiore, esperienza immancabile dei bambini siciliani per la presenza costante della pianta nei cortili dell’Isola.

Altri suggerimenti: granita al cetriolo, ai fichi d’india, al mandarino, in tutti i casi provenienti dall’orto del proprietario.

Bar Platano - Messina - Granita cetriolo

Bar Platano - Messina - Granita fichi d'india

#9 BAR GIULIO – CAPO D’ORLANDO

#10 BAR CAMPIDOGLIO – S.AGATA DI MILITELLO

Insinuano perfidi i messinesi che spostandosi verso Palermo la granita perda di consistenza finendo per somigliare al famigerato ghiaccio tritato.

Gli ultimi baluardi della seria granita messinese si trovano in zona Capo d’Orlando e S.Agata di Militello. Nel primo caso le granite migliori si trovano da Giulio, posto sempre affollato in estate. Non andate via senza aver provato la granita ai gelsi, ottime anche le briosce.

Infine, in centro a S.Agata, la tappa obbligatoria per una colazione sontuosa è il Bar Campidoglio, nella omonima via. Un posto piccolo specializzato nelle granite al caffè e alla fragola, sempre con doppia razione di panna, sotto e sopra.

[CREDIT: FOTO ALFIO BONINA]

Taormina: dove mangiare e gli errori da evitare

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A Taormina si concentra tutta la bellezza della Sicilia, come una riduzione che ne esalta il gusto. Mare, Etna, Teatro Greco, panorami emozionanti, arte araba e normanna, piazzole perfettamente incastonate tra i vicoli, gerani e oleandri.

Peccato che a questa idilliaca idea di bellezza corrisponda una malagastronomia diffusa.

In questi giorni Taormina si arrende, si lascia conquistare dal turismo, non oppone resistenza: l’invasione è cominciata. E l’inganno del tradizionale è dietro l’angolo, complici i menu turistici all’ingresso dei locali presidiati da camerieri buttadentro sudacchiati e caciaroni.

La paura della sòla agita i villeggianti che spesso ci mettono del loro, il risultato è una mesta infilata di trattorie fotocopia e tavolini di turisti che si abboffano di pizza sotto il sole cocente, o di spaghetti alle vongole serviti negli immancabili servizi di ceramica multicolore con caraffe a forma di gallina.

Allora come ci si orienta nel brulicare di posti che all’ora di pranzo impregnano l’aria dell’odore di aglio fritto e bruciato?Come si arriva a dire confidenzialmente al cameriere “questo è il miglior Paese del mondo” (sentito con le mie orecchie) convinti non solo dalla bellezza del posto ma anche dai suoi ristoranti?

Abbiamo cercato le soluzioni migliori, degne, diciamo, di una “riviera di censo” come quella di Taormina, e vi segnaliamo 9 locali nell’attesa di scoprirne altri dai vostri suggerimenti.

LA CAPINERA

L’ALTA CUCINA DEI COLORI 

Sarà per quanto vi abbiamo detto che lo chef Pietro D’Agostino, una stella Michelin, ha scelto di aprire il ristorante lontano dal centro storico, con l’obiettivo di dare da mangiare bene facendo pagare il giusto.

La capinera, incredibilmente, il rapporto qualità prezzo è il migliore di Taormina. I prezzi sono quelli di un ‘normale’ ristorante stellato, al netto della famigerata ‘tassa Taormina’. Cosa che fa del locale, in molti casi, il primo approccio dei siciliani con una cucina stellata.

A completare la terrazza sul mare, semplice, dove ognuno può restare quello che è, quasi conservatrice, c’è una sala bianchissima senza sbavature.

Consiglio: per godere appieno della terrazza chiudete un occhio sui fili della ferrovia, e anche un orecchio (anche due) al passaggio del treno che taglia in due la spiaggia in tutta Taormina.

La Capinera - TaorminaLa Capinera - TaorminaLa Capinera - Taormina

Uno chef difficile da comprendere a fondo, in cui manca quell’immediato e facile parallelismo fra piatto e autore.

La Capinera - Taormina - Pietro D'Agostino

Allo sguardo timido di Pietro D’Agostino si contrappongono i piatti dai colori vivaci, ma non manca mai un tocco di nero, in un contrasto che sembra svelare un dissidio.

La conclusione è che nessuno, neanche i più indifferenti, restano insensibili a piatti come i tagliolini al nero con tagliatelle di seppioline e mentuccia peperita, passatine di pomodoro siccagno e cipollotta di Giarratana.

La Capinera - TaorminaLa Capinera - TaorminaLa Capinera - Taormina

I crudi di mare, i crostacei in particolare, dai colori vivaci e dalla freschezza verace, sono l’essenza della sua cucina.

Insieme alle salse che accompagnano praticamente ogni piatto del menu degustazione come personale marchio di fabbrica del giovane chef.

La Capinera - TaorminaLa Capinera - Taormina

VINERIA MODI’

IL BISTROT RIFUGIO

Bel rifugio nel caos agostano di Taormina, un piccolo locale centralissimo ma internato e silenzioso.

Vineria Modì - Taormina

Pochi tavoli nel dehors, logo stilizzato, arredamento moderno senza esagerazioni, siamo ad agosto ma vi sembrerà il dolce e sentimentale settembre.

Vineria Modì è un bistrot interessante anche nel periodo invernale, merito in particolare della coppia di chef catanesi che hanno in mano la cucina.

VIneria Modì - Taormina

Intraprendente lui, accogliente e pacata lei, sono gli interpreti della cucina tradizionale del locale, che promette di crescere ancora, con una predilezione per i prodotti locali.

Vineria Modì - TaorminaVIneria Modì - TaorminaVIneria Modì - Taormina - Paccheri

Emblematica la parmigiana fatta come Sicilia comanda, con l’aggiunta di una colatura di provola.

VIneria Modì - Taormina - Parmigiana

OSTERIA ROSSO DI VINO

RIGORE NELLA LEGGERREZZA

Molto diversa è l’osteria RossoDivino. Due sorelle, giovani e briose, zazzera bionda tagliata corta, si prendono cura di voi senza lasciarvi un attimo.

Presentano i piatti quasi fossero diamanti, mimando persino le forme del pesce appena accarezzato.

Osteria Rossodivino - TaorminaOsteria Rossodivino - Taormina

Se nell’aspetto le proprietarie rimandano al freddo Nord, il menu che hanno orchestrato parla chiaro: siamo inequivocabilmente in Sicilia.

Buoni esempi sono la tempura di acciughe con maionese al limone o la neonata fritta con crema di mele verdi.

Osteria Rossodivino - Taormina - Polpette di neonataOsteria Rossodivino - Taormina - Polpette di neonataOsteria Rossodivino - Taormina - Alici

Sono ricette tradizionali siciliane alleggerite con ferreo rigore, l’uovo, per esempio, è completamente eliminato. E un po’ le polpette di neonata di acciuga ne risentono.

Consigliati gli spaghetti con bottarga di tonno pomodorini e menta.

Osteria Rossodivino - Taormina -

Tutto è buono, generalizzando, specie il pesce, alla brace o al sale, ma qui la ‘tassa Tormina’ si fa un po’ sentire, i prezzi non sono proprio popolari.

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Siamo pur sempre nell’angolo che chiude la via De Spuches, accanto al capolavoro dell’arte gotica siciliana, il trecentesco palazzo Duchi di Santo Stefano.

METROPOLE

NEGRONI CON VISTA

Visto che iniziamo a non badare troppo alle spese ormai viziati e rammolliti da tanta bellezza, ecco uno degli ambienti più esclusivi per godere dei famosi panorami di Taormina.

Sottofondo jazz, abiti scuri, strisciare le carte di credito per un cocktail dell’Hotel Metropole, preparato tra l’altro da un barman impeccabile come Gaetano Saccà, sarà meno doloroso che altrove.

Hotel Metropole - TaorminaHotel Metropole - Taormina - Negroni

DAIQUIRI

HIGH LIFE A TAORMINA

Altri cocktail, stavolta più abbordabili, al Daiquiri, indirizzo consigliato se siete stanchi di nascondervi, se vie è venuta voglia di ‘high life’.

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Qui seduti sui gradini della scalinata che fronteggia piazza Duomo, dove i camerieri volano con i vassoi pieni di aperitivi e cocktail, la notte è sempre giovane.

PIZZERIA VILLA ZUCCARO

Continuando a salire per la stessa scalinata del Daiquirisi arriva a Villa Zuccaro, nella migliore pizzeria di Taormina, famigliare e molto frequentata con perenne affollamento della grande veranda.

071xPizzeria Villa Zuccaro - Taormina

Splendore intorno a voi e prezzi moderati, cosa volere di più? Prenotate o rassegnatevi a lunghe attese.

BAM BAR

LA MIGLIORE GRANITA DI TAORMINA

Del pittoresco titolare e delle sue dense, meravigliose granite abbiamo già parlato: Bam Bar è al quinto posto della classifica di Messina e provincia sulle granite migliori. E di gran lunga al primo posto tra quelle di Taormina.

Bambar Taormina - Granita Lamponi KiwiBambar Taormina

Al punto che Rosario Bambara, per gli indigeni semplicemente “Saretto”, è un vero totem di Taormina, e come sussurrano con una punta di perfidia i suoi concittadini ‘gli manca solo di fare il pastorello a Natale’.

GELATOMANIA

Il posto non convince, il nome poi, non ne parliamo proprio. Sembra più una catena di franchising fanfarone, con le megacoppe colorate.

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Invece. Invece da Gelatomania, micro gelateria quasi all’ingresso di Porta Messina, si mangia un buon gelato scegliendo tra una varietà di gusti quasi imbarazzante.

Infine, se avete bisogno di fare la spesa, il mercato cittadino è quanto di meglio per la qualità dei prodotti, ma rassegnatevi a spendere di più, ragione per cui raramente incontrerete i taorminesi.

Piccola perla finale, tra le tante vetrine del centro cercate quella del trentennale fruttivendolo “Interfrutta” di via Naumachia, le sue scenografie, come anche i cedri, sono famose in tutta Taormina.

Taormina

[CREDIT: FOTO ALFIO BONINA]

Le migliori granite siciliane fuori da Messina e Catania

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Non prendiamo sotto gamba il punto di partenza di questa faccenda così evitiamo malintesi: da questa tortuosa lista sono escluse le granite di Catania e Messina (province comprese), perché di Catania abbiamo già parlato e di Messina pure.

Meritavano classifiche dedicate per il culto che le due città riservano alla granita e per l’innegabile maestria degli artefici, meno frequente in altre zone della Sicilia.

Detto ciò sarebbe un mezzo crimine sottovalutare il resto dell’Isola, ragione per cui ci siamo messi in marcia alla ricerca dei posti migliori. Il risultato è quest’ultima, atipica classifica.

1# CAFFE’ SICILIA – NOTO (SR)

Iniziamo da lui, e non poteva che essere così: Corrado Assenza. In realtà la granita del Caffè Sicilia andrebbe considerata a parte perché poco imparentata con la granita siciliana della tradizione.

Anzi, diciamo meglio, non è proprio paragonabile alle altre granite, e non perché sia migliore o peggiore, il punto è che fa categoria a sé. Diversa, delicata, vaporosa e digeribile come tutta la sua pasticceria, è la granita di Corrado Assenza. Semplicemente.

Corrado Assenza - Caffe Sicilia - Tris graniteCaffe Sicilia - Corrado Assenza - Tris Granita

La stessa granita che ha acceso polemiche a causa del prezzo considerato eccessivo, e di cui abbiamo già parlato.

Alleggerita della proverbiale polposità in ognuno dei gusti, trova la sua forza prorompente nella scelta degli ingredienti: impossibile dubitare su provenienza, della ricerca, della cura nella lavorazione.

Caffe Sicilia - Noto - Corrado Assenza

E fuori dal laboratorio di Corrado Assenza il personale si distingue per le spiegazioni dettagliate su ogni voce del menu, consone più a una scuola di cucina che a una pasticceria, ma comunque utili.

Varcata la soglia poi, eccovi immersi nella magia di Noto.

2# IL TUO GELATO 2 – MARZAMEMI (SR)

Qualcuno dovrebbe fare una classifica delle piazze siciliane. Di sicuro un premio andrebbe alla piazza di Marzamemi, piccolo borgo marinaro della provincia di Siracusa a pochi chilometri da Noto.

Nella piazza Regina Margherita trovate le due chiese del borgo dedicate entrambe al patrono, San Francesco di Paola, il Palazzo di Villadorata e, tutt’attorno le case dei pescatori risalenti al 1600. Oltre a una ricercata semplicità che lo rende un posto speciale.

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Al contesto bisogna aggiungere la granita de Il tuo gelato 2 in via Letizia, uno dei vicoli che conduce alla piazza principale.

Minuto ma accogliente il locale, e minuta anche la coppia che lo gestisce, fratello e sorella di Pachino che in estate lavorano senza sosta per produrre in proprio, oltre alle granite, pure le briosce, che è possibile gustare anche di notte, appena sfornate.

Il mio gelato 2 - Marzamemi

La granita servita dentro bicchieri di ceramica poggiati su vassoi vintage nei pochi tavolini posti al ridosso del muro è così bella che sembra intonarsi allo scenario. Ottima alla mandorla tostata, oltremodo lieve specie rispetto alla stessa granita fatta nella zona di Acireale, e al cioccolato, per il sapore deciso.

Il mio gelato 2 - Marzamemi Il mio gelato 2 - Marzamemi

3# SUD CAFE’ – BRUCOLI (SR)

Mica facile raggiungere Brucoli, però una volta arrivati nella frazione marinara di Augusta perdersi è impossibile.

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Un’unica via si snoda lunga tra le case singole con affreschi e murales a raffigurare le diverse fasi della pesca, che termina con una prepotente e improvvisa vista dell’Etna a sovrastare il mare.

Davanti, il castello sembra proteggere dal sole Sud Cafè, locale dall’intensa frequentazione notturna.

Sud Cafe - Brucoli

Il legno chiaro, quasi sbiancato, utilizzato anche da altri locali della zona, si amalgama con la pietra presente in buona parte della città aretusea, anche se tra sedie e accessori qui non mancano le macchie di colore.

Tuttavia il Sud Caffè non è soltanto un locale sulla spiaggia, dove sedendovi sugli sgabelli mimetizzati tra gli scogli potete accarezzare il mare.

Serve anche una granita squisita dentro barattoli di vetro, e credeteci, quella ai gelsi è in assoluto tra le migliori che si possano assaggiare in Sicilia.

granitaSud Cafe - Brucoli - granita limoneSud Cafe - Brucoli - granita gelsi e limone

Buona anche la brioscia qui priva di tuppo, cioè del caratteristico cappello, come in gran parte dei bar della provincia di Siracusa. La domenica quando il golfo antistante si affolla di imbarcazioni, il Sud Caffè porta le sue famose granite sulle barche.

4# PLAZA DE SOL – PORTOPALO (SR)

Plaza del Sol - Portopalo

Eccovi nel bar più a sud della Sicilia, dove il mare e l’antistante isola di Capo Passero, che le ragazze attraversano con la gonna alzata quando c’è l’alta marea, formano un piccolo golfo.

Ma neanche il vento perenne che agita l’acqua può nulla contro il caldo afoso di certe giornate di agosto.

Plaza del sol - Portopalo

A questa latitudine il sollievo dal caldo si chiama granita, per questo nei vari bar del paese, dal K2 in via Roma al Moro vicino al porto, se ne trovano di ottime.

La migliore è quella di Plaza del Sol, un locale in riva al mare che i titolari gestiscono da oltre quindici anni.

Plaza del sol - PortopaloPlaza del Sol - Portopalo

Scegliete senza indugio la granita alla pesca preparata con le pesche bianche, o quella ai fichi, fatta con i fichi verdi e neri, la mescolanza forma un colore rosa sfumato di verde quasi irreale.

Plaza del Sol - Portopalo - granitePlaza del Sol - Portopalo - Granita mandarino

Plaza del Sol - Portopalo - Granita fichi

5# BAR ROMA – SCIACCA (AG)

Lo zio Aurelio Licata prepara granita al limone e solo quella da cinquant’anni, da quando ancora doveva trovare una brava ragazza da sposare, la stessa ragazza che oggi –diventata sua moglie– ne condivide ricordi e aneddoti, come quello sulle granite servite per nove mesi a donne incinte.

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Nel suo bar, in stile Vecchia Sicilia, i nasi degli avventori impregnati dall’odore del pesce diffuso dal porto di Sciacca, si prendono la dovuta pausa.

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La granita al limone fatta ancora con i verdelli di Menfi avrebbe meritato un posto in più se fosse stata meno avara di zucchero.

6# BAR FLORIO – LICATA (AG)

Testimonial eccellente della granita di questo piccolo bar di Licata è Pino Cuttaia, chef de La Madia, che proprio al Bar Florio, posto di fronte al ristorante due stelle Michelin appena ristrutturato, fa colazione ogni mattina con granita al limone e brioscia.

Caffe Florio - Licata

Gli ingredienti naturali e il delizioso garbo dei titolari ne fanno una tappa imperdibile per chi dovesse passare da Licata. Consigliata la granita di limone, specialità della casa dal 1952, e quella ai gelsi.

7 CAFFE CONCORDIA – AGRIGENTO (AG)

In piazza Pirandello, in un localino elegante accanto alla struttura meravigliosa composta da Municipio e chiesa del Rosario, proprio di fronte al museo archeologico, si trova la granita che –vox populi– è la migliore di Agrigento.

Caffe concordia - Agrigento

Corposa e ossequiosa dello stile siculo, spicca nella versione al pistacchio e alla mandorla. Buone anche le briosce, forma rivedibile.

Biosce - Caffe Concordia - Agrigento

8# CAFE DELLE ROSE – MARINA DI RAGUSA (RG)

A beneficio dei tanti vacanzieri che affollano l’estate di Marina di Ragusa, in zona Montalbano, fiore all’occhiello dell’accoglienza turistica siciliana per la qualità dei servizi offerti, segnaliamo la granita del Caffe delle Rose, nella piazza principale della frazione, poco distante dal mare di cui si gode la bella vista.

Buone le granite a base di frutta e le briosce, anche in questo caso prive del tuppo.

9# – 10# NON ASSEGNATI

Sì, avete letto bene: non assegnati. Avevamo stipato un paio di posti per segnalare le granite di Palermo, capoluogo siciliano con una storia millenaria nella buona gastronomia.

Eppure, con tutta la buona volontà e l’impegno non le abbiamo trovate.

Raccolte alcune segnalazioni ci siamo messi a girare per le pasticcerie più rinomate e i locali meno battuti (a volte sporchi e senza storia) senza trovare né passione per la granita né la necessaria attenzione.

Molta invece la frutta congelata, i coloranti, i sapori che preferiamo cancellare.

[CREDIT: FOTO ALFIO BONINA]

Come riconoscere il pistacchio di Bronte senza passare per fessi

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E’ o non è? Magari è capitato anche a voi di essere assaliti dal dubbio, ma quanti pistacchi potranno mai esserci a Bronte? 

Il fatto è che, se parliamo di pistacchio, tutto in Italia dai gelati ai dolci, dai pesti alle creme, sembra fatto con il frutto pregiato del piccolo comune siciliano alle pendici dell’Etna.

Possibile?

Per scoprirlo a Bronte ci siamo stati, proprio lì dove il pistacchio nasce, si coltiva, cresce, viene raccolto, lavorato e spedito. L’obiettivo è spiegarvi come riconoscere il vero pistacchio, come distinguerlo da quello che pistacchio non è, tanto meno di Bronte.

BENVENUTI A BRONTE: TERRA DEL PISTACCHIO

Pistacchieti - Bronte

Oggi il territorio di Bronte è saturo di pistacchieti: alberelli dai rami fragili e collosi a causa della resina si diramano come radici al contrario e, miracolosamente, fuoriescono dalle rocce laviche, nere e ruvide come una grattugia.

Albero Pistacchio - BronteCorteccia albero pistacchioResina albero di pistacchio

Appezzamenti tortuosi di terra lavica rivolti sempre a ovest con alle spalle l’Etna, sui quali bisogna inerpicarsi durante la raccolta, rischiando, se va bene, di prendere una storta a ogni passo.

Ci si deve anche districare tra gli alberi femmine, che, come odalische, corteggiano i pochissimi alberi maschi dai tronchi più robusti e virili per farsi impollinare.

Pistacchi BrontePistacchi di Bronte

Durante la raccolta che avviene in questo periodo, tra agosto e settembre, i frutti vengono solleticati e fatti cadere nelle sacche legate al collo dei raccoglitori, o, dove possibile, sui teli sotto gli alberi.

Ma solo una volta ogni due anni, perché nell’anno che segue vengono levati dagli alberi “gli occhi” per consentire alla pianta di riposarsi e resistere maggiormente alle avversità.

Guai a mangiarli durante: “La febbre ti viene, la febbre!” è l’avvertimento che rende esplicito l’attaccamento dei parsimoniosi brontesi a ogni singolo pistacchio.

Pistacchio di Bronte

Sparse tra i pistacchieti si trovano alcune case, poco bucoliche in realtà, con grandi terrazzi dove i pistacchi vengono esposti al sole per essere essiccati nella fase finale della raccolta. E se il tempo minaccia pioggia i teli si chiudono subito a sacco per proteggere i frutti preziosi.

RICONOSCERE IL PISTACCHIO DI BRONTE

Il pistacchio a Bronte c’è sempre stato, ma la notorietà attuale risale agli ultimi 10 anni. Uno dei migliori frutti dell’Etna, che oggi parte da un costo di 40 euro al kg. a Bronte fino al prezzo di 96 euro al kg. da Eataly, molto elevato. Specie considerando che un tempo costava quanto il frumento.

Poi l’evoluzione: da ciliegina sulla torta nei pranzi importanti a guarnizione di pochi dolci, quindi ingrediente principale perfino nelle pietanze meno appropriate.

Proprio questo smodato, esorbitante successo, rischia di trasformarsi in un boomerang.

Come può un territorio tutto sommato piccolo soddisfare una richiesta enorme, visto che ormai tutto il pistacchio italiano è diventato “di Bronte”?

Non fatevi ingannare, dissipate i dubbi, vi diamo quattro semplici indizi per riconoscere il pistacchio che proviene da Bronte, quello di prima scelta, buonissimo, per cui nutriamo un debole.

1# FORMA ALLUNGATA

Se dovete acquistare i pistacchi sgusciati fate anzitutto attenzione alla forma.

Se tondeggianti non sono di sicuro pistacchi brontesi. La forma si sviluppa soprattutto in lunghezza con un rapporto di due a uno, come chicchi quasi appuntiti.

Pistacchio verde di Bronte DOP

Se invece acquistate i pistacchi col guscio fate caso alle estremità del frutto, quasi mai molto pronunciate e rivolte all’insù. La forma sarà invece concava, a protezione del frutto.

2# COLORE VERDE INTENSO

Attenzione, la forma da sola non basta a distinguere il pistacchio di Bronte dagli altri, ad esempio da quello greco simile nell’aspetto.

Ci viene in aiuto il colore. La pellicina della buccia ha un colore che tende al violaceo, o meglio, al melanzana, con riflessi verde chiaro.

Spaccato in due parti, il pistacchio mostrerà il tipico colore verde smeraldo causato dall’elevata concentrazione di clorofilla, alle volte acceso, altre più tenue, mai giallo.

pistacchio-D0173

Se volete il vero pistacchio di Bronte diffidate da colori giallicci, più giallo c’è meno sono le possibilità che provenga da Bronte. Se acquistate la granella, noterete meno il colore viola, ma il verde sarà ben evidente, e al solito mancherà il giallo.

3# GUSTO TENDENTE AL DOLCE

Se siete ancora incerti, assaggiatelo. Il gusto tende molto al dolce sia al palato che subito dopo nelle vie retronasali.

Ecco perché non troverete mai in commercio il pistacchio di Bronte dop salato. La componente aromatica è così spiccata e persistente da non necessitare di salature.

A questo punto siete pronti per il test?

Attenzione: quale di queste due confezioni contiene sicuramente il pistacchio verde di Bronte dop?

Confronto tra pistacchio verde di Bronte DOP e altro

Se avete subito pensato al barattolo di sinistra avete indovinato. Se non avete saputo scegliere, o peggio, avete indicato il barattolo di destra, non demordete, vi resta un ultimo suggerimento.

4# DENOMINAZIONE: “PISTACCHIO VERDE DI BRONTE DOP”

Se i sensi non vi aiutano basta leggere le etichette e farlo bene. Sì, con grande attenzione, perché in commercio si trovano molte diciture generiche tipo “Pistacchio siciliano” o “Pistacchio di Bronte”. Peccato che nessuna delle due vi darà garanzie e certezze.

pistacchio siciliano

Meno di tutte la prima perché potrebbe riferirsi ai pistacchi di Agrigento o Raffadali, dove pure si coltiva l’oro verde.

Altre volte, in modo più subdolo, leggerete “Bronte” da qualche parte, magari nella sede dell’azienda che lo commercia, il che è ovviamente legittimo ma non vi assicura che il frutto provenga dalla città etnea.

Denominazione Pistacchio Verde di Bronte DOP

Se volete essere certi oltre ogni ragionevole dubbio cercate l’unica denominazione che garantisce non solo la provenienza, ma anche qualità del prodotto: “Pistacchio verde di Bronte DOP”.

Tutto il resto potrà pure essere oro verde, ma non è detto che luccichi.

[CREDITI: FOTO ALFIO BONINA]

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