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Channel: Mara Pettignano, Autore presso Dissapore
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Se Don Ciccio è la trattoria di Bagheria, allora I pupi è l’evoluzione

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I rumori risuonano nel silenzio, un sottofondo insolito per Bagheria, alle porte di Palermo, amplificati dal rivestimento che fodera la strada principale, lunga e larga.

Posate che tintinnano, motori che rombano, girandole colorate che ruotano, i versi ritmati di un venditore ambulante.

Rumori che hanno radici lontane. Nel passato soffocato alla vista, nell’agglomerato di una città in cui il presente ha soppiantato il passato troppo brutalmente.

Bagheria

I PUPI di TONI LO COCO

Trasferiamo la faccenda in campo gastronomico. La convivenza difficile tra tradizione e modernità trova tregua nella cucina di Toni Lo Coco, chef e patron del ristorante ‘I pupi’, locale aperto nel 2009 e premiato due anni fa con la stella dalla guida Michelin.

Tosto, sicuro di sé, al limite del rude, chi come noi se lo immaginava piacione, idolatrato com’è dai giornalisti locali che si occupano di cibo, è decisamente fuori strada.

Accomodati al tavolo, lo s’intravede da una piccola finestra tagliata sulla parete mentre indaffarato affetta e taglia.

Toni Lo Coco - I pupi di Bagheria

Toni Loco - I Pupi di Bagheria

Il servizio, nella piccola sala in bianco e nero di un’eleganza moderna e minimalista, dominata dal grande armadio nero lucido che funge da dispensa, è curato dalla moglie Laura.

I Pupi di Bagheria

I Pupi di Bagheria - Pane

Anche nella piccola sala è un suono continuo: tacchi che camminano, sedie spostate, cassetti che si chiudono, con un servizio che rispetta formalmente le regole dei ristoranti stellati ma senza la grazia che ci si potrebbe attendere.

La carta dei vini è ben organizzata, peccato che il cliente venga lasciato solo nella scelta, niente sommelier, niente consigli.

Tra i menu degustazione ce n’è uno che consente a chiunque abbia interesse di cimentarsi con la cucina de ‘I  pupi’.

I Pupi di Bagheria

Infatti, accanto ai percorsi più impegnativi di sei, sette e nove portate di mare e di terra, figura un menu di tre portate che costa 35 euro, più conveniente di un pasto alla carta.

Ma la scelta migliore resta il percorso di mare da 7 portate, rende evidenti le doti dello chef senza prolungare la permanenza a tavola all’infinito.

MENU DI MARE: UN CRESCENDO DI SENSUALITÀ

Il piatto iniziale è una riuscita antologia del finger food, sapori stuzzicanti che vanno da occidente a oriente, da nord a sud, dal salmone affumicato e salsa allo yogurt al più terragno pane e mortadella.

I Pupi di Bagheria

I Pupi di Bagheria

I Pupi di Bagheria - Maialino dei Nebrodi

Il coronamento è lo spaghetto fritto e intinto in salsa di angiova (acciuga), sapore pungente che preannuncia un percorso sensuale.

Seguono sette crudi, sette oli aromatizzati e sette sali diversi. Sette note che si fanno ricordare: fresco e consistente il gambero, più arcigno per via dell’affumicatura il tonno, fino alla seppia frantumata in listarelle.

I Pupi di Bagheria - Crudi di mare

I Pupi di Bagheria - Crudi di mare

Un piatto bello e convincente che lascia con la voglia, ma non abbiamo più note, non ci sono più tasti.

Arriva in compenso il cannolo di gambero rosso battuto di Mazara al beccafico.

Tony Lo Coco - I Pupi di Bagheria - Cannolo a beccafico con gambero rosso di Mazara

Tony Lo Coco - I Pupi di Bagheria - Cannolo a beccafico con gambero rosso di Mazara

Il ripieno conduce in oriente, la spuma di bufala è accompagnata dallo scricchiolio del carbone vegetale.

Ancora crostacei nel piatto successivo.

Lo scampo stavolta è accostato al tenerume, in salsa e fragrante, e a una mousse di “angiove”, sapida e gelida, dalla forte impronta territoriale.

Ad Aspra, frazione di Bagheria, l’acciuga salata viene inscatolata ed esportata nelle grosse “lanne” rotonde.

I Pupi di Bagheria

Il risotto ai frutti di mare oggi è un’arancina palermitana dalla forma cilindrica che poggia sul brodo.

Non è un piatto particolarmente riuscito, con la sapidità accentuata da cozze e frutti di mare.

I Pupi di Bagheria - Risotto ai frutti di mare

Sapidità sotto controllo invece nei tortelli ripieni alla triglia con zucchina friscarella: i colori tenui cedono il posto alle cromie della terra, a colori più ruvidi e primordiali.

Tony Lo Coco - I Pupi di Bagheria - Ravioli di triglia

Tony Lo Coco - I Pupi di Bagheria - Ravioli di triglia

A marcare la sorprendente spirale di consistenze sono la morbida mollica di pane di carruba e la croccantezza accentuata della sfoglia arrotolata.

Il finale è il piatto più maturo, dalla forte identità.

Non è più tempo di smanceria languide e sensuali. La stigghiola di tonno va oltre. E’ un omaggio alla nota trattoria Don Ciccio di Bagheria, anche all’immancabile street food palermitano a base di pesce.

Qui tutto è perfetto, dall’untuosità non pervenuta al sapore della brace, una specie di bazooka palatale.

Tony Lo Coco - I Pupi di Bagheria - Stigghiola di tonno

Tony Lo Coco - I Pupi di Bagheria - Stigghiola di tonno

Il pane di seppia con olio di cenere che circonda la stigghiola di tonno sembra la cenere di un vulcano che si sta raffreddando, a eruzione conclusa.

I dolci sono piatti più semplici: granita di mojito come pre-dessert, e gelato “Don Gino”, così si chiama la pasticceria di famiglia della moglie di Toni Lo Coco.

Cioccolato e caffè piacevolmente alleggeriti dallo zucchero a velo.

I Pupi di Bagheria - A don Gino

IN CONCLUSIONE

Non capita spesso con i ristoranti di alzarsi e avere voglia di ricominciare. E non perché l’appetito non sia stato saziato, tutt’altro. Capita come con un film che convince ed entusiasma, lo si rivedrebbe con piacere già la sera stessa.

E pensare che prima di entrare a I pupi, condizionati dalla soffocante modernità di Bagheria, paese un tempo splendido, eravamo tentati di ossequiare la tradizione con un pranzo proprio nella trattoria Don Ciccio.

I Pupi di Bagheria

Ma l’ottima tecnica e la fantasia con cui lo chef rielabora le numerose ricette della tradizione isolana, nel rispetto per la purezza dei sapori, confermano la bontà della scelta.

Che ci auguriamo sia presto anche la vostra.

INFORMAZIONI

I Pupi
Via del Cavaliere 59
90011 Bagheria (PA)
Tel 091902579
info@ipupiristorante.it

[CREDIT: FOTO ALFIO BONINA]


Scaccia, pitone, pizzolo e altre pizze: in Sicilia si mangia diverso

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Pizza siciliana. Molti di noi non sono abituati a sentire abbinate queste due parole, essendosi ormai assuefatti al binomio imperante: pizza napoletana.

Solo recentemente, ci siamo abituati al suono della “pizza romana”, in genere seguito dalla specificazione “in teglia”, ma oltre a questi due stili del più gradito piatto nazionale per molti di noi la conoscenza in materia di pizza si interrompe bruscamente.

Ma oggi vi parliamo di un classico, praticamene sconosciuto al di fuori della Sicilia, lontano dal clamore delle pizze imperanti e dall’avidità della masse, quasi come se i siciliani, temperamento guardingo e carattere racchiuso –come la loro isola– avessero voluto difendere e preservare questo tesoro dalla cupidigia delle folle e dalla sua conseguente diffusione e banalizzazione, conservandolo solamente per loro e per i pochi  fortunati degni di tale privilegio.

Ecco dunque a voi, la pizza siciliana.

Scaccia, pitone, focaccia, pizzolo, la pizza siciliana non ha una sola, semplice declinazione.

Il miscuglio di razze, tradizioni, influenze che l’isola raccoglie in sé si è riversato anche sulla preparazione della pizza, che in Sicilia non comprende, come in tutto il resto del mondo, il solito impasto di acqua lievito e farina condito a piacere e infine cotto in forno.

Il risultato si differenzia notevolmente sia come impasto sia come cottura e sia come farcitura (pecorino, piacentino, ragusano, caciocavallo, ricotta e tuma), dando luogo così a tipologie diverse, e tutte squisite, di “pizza siciliana”.

Ve ne elenchiamo alcuni, di questi tipi di “pizza siciliana”, certi che comunque, per le loro  strade assolate i siciliani custodiranno gelosamente altre deliziose ricette, altre bontà, altri gioielli di cui, probabilmente, non conosceremo mai la ricetta o forse nemmeno l’esistenza.

Intanto però iniziamo ad abbattere il muro difensivo e diffondiamo il nome della pizza siciliana, anzi, “delle” pizze siciliane.

PIZZA SICILIANA

GRAN CAFFE’ URNA – VIAGRANDE

006-1Pizza Siciliana - Urna

La “pizza siciliana” tout court ha poco a che vedere con l’immagine di pizza a cui tutti siamo abituati.

Gustosa, fragrante, dalla gradevole consistenza croccante, la pizza siciliana non è né lievitata né cotta in forno, né tantomeno di forma circolare e con il solito condimento a base di pomodoro in superficie.

L’impasto, fatto con farina di grano tenero, strutto e sale, viene fritto in forma di mezzaluna dopo essere stato copiosamente riempito –nella versione più tradizionale — di sapida tuma e sfiziose acciughine.

Potremmo dire che si avvicina maggiormente, piuttosto che alla pizza, a ciò noi chiamiamo “calzone” o “panzarotto”, ma il gusto tutto siciliano, racchiude in sé la lunga e importante storia dell’aristocrazia etnea.

Fra le più ricche di storia ricordiamo senz’altro quella preparata sin dal 1885 al  Gran Caffè Urna di Viagrande.

Qui la potremo gustare, col suo profumo caldo e avvolgente, nella versione tradizionale, con tuma e acciughe, e con l’accortezza da parte del pizzaiolo di utilizzare una tuma leggermente più stagionata, per evitare che il calore della frittura disciolga completamente il morbido formaggio.

Il tutto a vantaggio di gusto, consistenza e per il nostro piacere.

Pizza Siciliana - Urna

Nelle calde  serate estive, la magica atmosfera del cortile del Gran Caffè è ancora ammantata di quell’aura di aristocrazia che ci riporta  agli inizi del secolo scorso.

Allora,  i nobili locali quali  il principe Manganelli, il marchese di Raddusa, i Paternò Castello e tutti gli  altri aristocratici di Catania che a Viagrande avevano le proprie residenza principesche –qui denominate semplicemente “ville”–  consumavano le pizze siciliane e terminavano immancabilmente il pasto con i soavi “schiumoni”.

Gli schiumoni erano (e sono) impareggiabili dessert alla gianduia composti da gelato fuori e morbido semifreddo  all’interno.

Schiumone - Urna

Ancora oggi, il locale  è tipicamente frequentato da una gran moltitudine di signore eleganti, coi loro  fili di perle al collo, che tra una pizza siciliana e l’altra commentano l’ultimo spettacolo teatrale cui hanno assistito o fanno a gara nel magnificare i risultati e le brillanti carriere di figli e nipoti.

Sarà per questa frequentazione alto-borghese che il Gran Caffè di Urna riesce a presentarsi comunque come locale esclusivo e raffinato, nonostante alcune sbavature come i tavoli e le sedie in plastica o  la minor attenzione verso alcuni, piccoli particolari.

Gran Caffe Urna - Viagrande

Qui, i Mastri della pizza siciliana sono ancora, dopo tanti anni,  il signor D’Agata e il signor Russo, depositari delle ricette oralmente apprese dalla leggendaria signora Ciccina, venuta a lavorare a soli 7 anni al Gran Caffè , e che per ben 81 anni ha continuato a tramandare fedelmente e con amore le ricette della tradizione.

Anche al di fuori dei confini di Viagrande la pizza  siciliana si è ormai diffusa in tutta la zona etnea, ma difficilmente troverete la stessa leggerezza della sfoglia appena fritta.

Unica eccezione le pizze siciliane di Donna Peppina, che potrete gustare, fedeli alla preparazione originale, nella bella piazza di Zafferana, e che dal lontano 1925 è meta di catanesi in cerca del riparo dalla calura estiva e di ristoro.

IL PIZZOLO

I QUATTRO CANTI – SORTINO (SR)

Origini più umili invece per il  “pizzolo”, nato quasi per caso a Sortino, città del siracusano nota per l’ottimo miele di timo e dove ancora  i ragazzini danno vita a frequenti scorribande per rubare le  immancabili carrube.

Gli abitanti  di Sortino sono famosi per la calda accoglienza riservata ad ogni ospite, e per essere grandi bevitori dello “spiritu re fasciddari”, potente distillato ricavato dal miele e dalla cera rimasti nelle arnie, “cuneato”, cioè condito, con miele e poi cotto a fuoco lento.

La storia del pizzolo, dicevamo, è semplice e umile: nasce dall’impasto avanzato del pane fatto in casa, diviso poi in due panetti e steso quindi  in altrettante sfoglie, che verrano poi messe una sopra all’altra, alla buona, in modo semplice ma invitante.

Pizzolo - La Pizzoleria

Una pizza semplice, genuina, originariamente cotta nel forno a legna e sopra una pietra piatta e ovoidale chiamata proprio “pizzola”, da cui il nome.

Si può farcire con tutto quanto di nostro gradimento, proprio come nell’antica tradizione contadina, ineguagliata nel riutilizzo magistrale dei cosiddetti “avanzi”.

Pizzolo - La Pizzoleria

Fedele alle umili origini, un tempo veniva preparato solo in casa e farcito con gli avanzi del pranzo, quali  peperoni, segale, salsiccia o quant’altro fosse disponibile, e condito poi sulla superficie con sale, olio e pecorino grattuggiato.

Oppure, nella versione dolce,  con miele ibleo e ricotta.

Oggi, a Sortino, il pizzolo non è più solo una squisita preparazione casalinga, ma viene servito in numerosi locali, detti  ovviamente “pizzolerie”.

Fra le migliori, quella de I quattro canti, locale gestito dall’ingegnoso Angelo Pappalardo, che fu tra i primi ad avere l’intuizione di far conoscere il pizzolo fuori dalla provincia di origine, e che per primo aprì a Catania ‘La pizzoleria’ di piazza Mazzini.

Qui, il pizzolo è rigorosamente preparato con lievito madre nelle più disparate versioni,  da quelle più tradizionali a base di biete e salsiccia, a quelle stagionali con crema di zucca gialla e scamorza.

Da provare sicuramente la  ghiotta versione dolce del pizzolo, con ricotta, miele di Sortino e gocce di cioccolato.

Pizzolo ricotta e miele

FOCACCIA CON LA SCAROLA

FOCACCERIA SANTORO (MESSINA)

Se solo i messinesi avessero un po’ più di passione ed entusiasmo nel raccontare la loro focaccia, questa, ne siamo certi, avrebbe ben  pochi eguali in tutta Italia, e non troverebbe rivali nemmeno nella celeberrima focaccia genovese.

Purtroppo, o per fortuna, i cittadini dello Stretto sono così, e questa è la loro natura: un atteggiamento pacato e distante, accompagnato da una parlata lenta e a tratti annoiata, che finisce con il non tributare alle loro eccellenze la popolarità che si meritano.

O, magari, il fine è in realtà proprio quello: rimanere sottotraccia, e custodire gelosamente solo per sé questi gustosi tesori.

Focaccia messinese

La focaccia messinese  è composta da un impasto di farina, zucchero, strutto, sale e lievito, e viene condito tradizionalmente con acciughe, tuma, scarola e pomodoro.

L’impasto arricchito dallo strutto dà luogo a una focaccia molto morbida, servita in apposite teglie in piccoli tranci, volutamente spessi e guarniti con abbondantissimo e ghiotto condimento.

Non troverete mai, nella focaccia messinese, bordi croccanti o parti poco condite: morbidezza e ricchezza sono le sue caratteristiche.

Focacceria Santoro - MEssina

La focaccia messinese viene  in genere  acquistata  e poi degustata altrove, in giro per la città o comodamente a casa propria, ma in alcuni panifici nella città è possibile accomodarsi e consumarla sul posto.

Nella via che conduce al Duomo, da più di cinquant’anni la focacceria Santoro serve questa meraviglia messinese ai tavoli, da cui si gode inoltre anche di una suggestiva ed incantevole vista.

Focacceria Santoro - MEssina

PITONE

ANTICA FOCACCERIA DAZIO (MESSINA)

Nell’antica focacceria “Dazio”, di via Palermo, così come in parecchi altri panifici e focaccerie della città dello Stretto, potrete provare anche un’altra tipica specialità messinese: il pitone.

Pitone messinese

Fragrante, morbido e croccante nello stesso tempo, il pitone  è una sorta di calzone fritto, riempito generalmente con lo stesso condimento della focaccia, vale a dire scarola e formaggio.

Pitone messinese

Oltre al condimento tradizionale, rimasto ancora oggi  insuperabile, potrete trovare il pitone anche farcito con formaggio e prosciutto, oppure, in una gustosa variante, “alla Norma”, con melanzane fritte, pomodoro e tuma.

SCACCIA

PANIFICIO GIUMMARRA – RAGUSA

La paternità della “scaccia”, altra tipica specialità siciliana, è rivendicata da Ragusa e Modica, anche se la si può trovare agevolmente anche nella zona del siracusano. Si tratta di sfoglie sottilissime arrotolate assieme al condimento, il tutto cotto infine nel forno a legna.

La forma è rettangolare e, nella sua versione tradizionale, la scaccia è condita con ricotta e cipolla,  oppure con patate e verdure del luogo.

Il  ripieno in realtà è variabile a seconda del gusto e delle stagioni, ma in genere sono previsti comunque ortaggi e formaggi locali, quali il ragusano e il caciocavallo dop, mentre le cosiddette “impanate”, preparazioni simili alla scaccia, possono presentare al loro interno ripieni di carne o anche pesce.

Scaccia ragusana

E  con l’impasto avanzato dalla preparazione delle scacce, al panificio “Giummarra” di Ragusa –dove ogni giorno si lavorano ben 350 chili di impasto–  si prepara anche l’ottima  ‘campagnola’, una sorta di grande focaccia con abbondanti strati di pomodoro, basilico e generose fette di ragusano.

[CREDIT: FOTO ALFIO BONINA]

Fud Off: Andrea Graziano ha aperto un altro locale a Catania

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Certo che è una bella sfida aprire un locale proprio di fronte a Fud, asso pigliatutto della ristorazione di Catania, che sforna enormi ors burger a getto continuo, sbranati da una folla affamata che attende paziente il suo turno, inaugurando nientemeno che un “cocktail and tapas bar”.

Anche se il proprietario dei due locali è lo stesso. Andrea Graziano.

Seguiteci, oggi, con la scusa di parlare di cocktail e tapas, vi raccontiamo una storia imprenditoriale costellata di successi che sta cambiando la ristorazione siciliana (più o meno).

ANDREA GRAZIANO

Ricci al vento, barba incolta appena accennata, metà scienziato pazzo, metà ragazzo da sposare, egocentrico, amato da molti ma con più di un’invidia, l’ex foodblogger, ex gastronauta, riconvertito in fortunato imprenditore della ristorazione siciliana.

E’ una specie di cavaliere senza macchia, niente sembra spaventarlo, figuriamoci la critica.

FudOff - Andrea Graziano

Ha bruciato le tappe del successo imprenditoriale.

Nel 2006 lancia il Sale Art Cafè, portando in Via Filomena, strada centrale fino ad allora poco significativa e deserte, una cucina elaborata che cattura l’attenzione dei palati più raffinati.

Nel 2010 crea il mostro di cui parlavamo, FUD bottega sicula, una panineria siculo-americana, ibrido nello stile e nel linguaggio, dal marchio forte e subito riconoscibile.

Il successo del locale, perfino esagerato, trasforma Graziano nell’ icona del cibo siciliano che è oggi.

Fud - Catania

Poco dopo, nel settembre 2015, arriva il bis a Palermo, che al panino local con carne di cavallo aggiunge quello con la meusa (milza) e il “Panel Bred” con panelle (frittelle fatte con farina di ceci) e mortadella, mandando letteralmente in tilt tradizionalisti e modernizzatori della cucina isolana.

Nel 2016 si libera una bottega proprio di fronte al Fud di via Santa Filomena, nel frattempo diventata la pullulante via del gusto etneo.

Graziano potrebbe raddoppiare i coperti e smaltire la fila in perenne attesa, invece no, invece di allargare Fud apre un cocktail and tapas bar, in una città che conosce poco l’arte di miscelare gli alcolici, dove i più credono che il Bellini sia un omaggio al concittadino Vincenzo, come la pasta alla norma.

Nasce così il FudOff.

FUD-OFF – ATMOSFERA

Il locale è piccolissimo, lo stile industriale, praticamente un corridoio (non) illuminato ad arte. Sulla destra il bancone laterale, talmente alto da passare inosservato. Ai due lati i tavolini in metallo sono inaciditi da schegge color ruggine.

FudOff

Le luci, tattiche, puntano tutto sui tavoli creando intorno un’atmosfera notturna a tratti trasgressiva. In fondo lo specchio macchiato e ammiccante, illuminato dall’insegna, chiude il Fud Off.

FudOff - Catania

Vi potrà capitare di incontrare gente varia: uomini alla moda, giovani donne eleganti che accantonano le borse di Gucci per concentrarsi sulle tapas, anche quelle dei fidanzanti momentaneamente assenti. Studenti timidi seduti in punta di poltrona per non disturbare.

Nel menu è forte l’impronta dello stile Fud, dagli ingredienti al linguaggio.

Micropiatti e tapas vengono serviti singolarmente. Da provare polpo e patate che costa 6,50 euro.

Le tapas, (ultra) condite con prodotti locali, sono irresistibili nell’aspetto, perfino le giovani donne eleganti di cui sopra sono disposte a trangugiarne una dozzina: da quella con alici, burrata e pomodorini alla tapa con abbondante pancetta dei Nebrodi e uovo.

Peccato che il costo, 3,60 euro (tre-euro-e-sessanta-centesimi) non consenta di strafogarsi a cuor leggero.

TApas - Alici, pomodorino, burrata - FudOff Tapas - pancetta suino nero e uovo - FudOff

Fra i cocktail, accanto ai grandi classici, ci sono i “coctel siciliani”: Etna Spritz con Aperol, Amaro Amara, Spumante Metodo Classico; Milano Torino Catania, con Campari, Vermut rosso, Amaro Amara e Bitter Orange. Agata, con rum, amaretto, ciliegia, pasta di mandorle, limone e alchermes. Le idee sono apprezzabili, ma nei cocktail molto dolci mal si abbinano gli stuzzichi serviti e le tapas proposte

Sisilian Coctels - FudOff - CAtania

ALLA FINE DEI CONTI

Polpo alla brace con patate - FudOff

Trascorrere qualche ora delle vostre serate al Fud Off è senz’altro piacevole. Le tapas e i micropiatti sono impeccabili, sui cocktail c’è da lavorare.

Del resto, sul cibo Andrea Graziano non sbaglia un colpo, anzi, come si dice a Catania dove lo tocchi suona. La presenza costante, un occhio al Fud, un altro al FudOff, è una garanzia in tutti i sensi.

FudOff - Fud - Catania - Andrea Graziano

Ma l’attenzione maniacale per i sapori con cui ci ha viziati in questi anni, l’originalità spontanea e la capacità di stupire nei cocktail non sono ancora pervenute.

Se finora conoscere i nomi dei suoi collaboratori non è stato così importante (chi è lo chef di Sale art? Chi c’è dietro i panini del Fud?), bastava comunque la presenza rassicurante di Andrea Graziano, la carta dei cocktail del Fud Off difetta di personalità.

Non aiuta l’altezza spropositata del bancone che rende il contatto con bartender e personale almeno problematico, limitando di fatto il rapporto necessario con i clienti, che da solo è in grado di conferire ai cocktail un sapore speciale.

FudOff - Catania

Tranquilli comunque, Andrea Graziano sa già tutto.

Il continuo percolare in via Santa Filomena, sempre pronto a chiacchierare con te riuscendo a essere contemporaneamente in mille altri posti, permette all’uomo che ha ridisegnato la ristorazione catanese e in parte siciliana di studiare le sue creature, beandosi per il loro successo, del secondogenito in particolare.

Quanto a noi, torniamo a mordere uno ‘sceck burger‘, certi stavolta che nessuno si off – enda.

[CREDIT: FOTO ALFIO BONINA]

Quante ne sapete, voi, sui fichi d’India?

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Il fico d’India in Sicilia cresce perfino sui tetti delle case. E’ un simbolo di identità locale, territoriale, porta con sé il DNA dell’Isola per come ne caratterizza il paesaggio, in dolce contrasto con le coste di roccia vulcanica.

Il frutto che per conformazione spiega meglio di ogni altro cosa significa vivere in Sicilia: assaporare estreme dolcezze, ingoiare spigolosità difficili da digerire, affrontare le spine per non averne paura.

I fichi d’India, gialli, rossi e bianchi, s’incontrano lungo ogni contorta strada siciliana, abbarbicati a “pale” ostili e immobili, tocco d’autore in un quadro naif.

Raccolta Fichi D'India - Biancavilla (Catania)

Scopriamo allora cosa si nasconde dietro questo frutto che cresce su una pianta selvaggia, considerato, a torto, modesto e sventurato, dietro la scorza torva e spessa, la polpa soda e croccante.

LA RACCOLTA

Una pesante tuta cerata, da indossare anche sotto il sole cocente, con 40 gradi all’ombra, spessi guanti larghi, coltello in mano e pinzetta al collo come un ciondolo, gioiello indispensabile per tirar via le punture più fastidiose, i raccoglitori di fichi d’india sono una categoria a sé.

Raccolta Fichi D'India - Biancavilla (Catania)

Raccolta Fichi D'India - Biancavilla (Catania)

Sono ormai insensibili alle punture. Le spine, a detta loro, si sentono solo nei primi tre giorni di raccolta, poi la pelle le accetta suo malgrado.

Il metodo non include strambi macchinari, è solo la mano imbattibile dell’uomo che lavora con estrema naturalezza fra queste piante spinose.

I più arditi, quelli di sempre, due o tre in una delle aziende più grandi dell’isola, non indossano nemmeno le tute, neanche quando potano le piante nei punti più impensabili.

Raccolta Fichi D'India - Biancavilla (Catania)

Raccolgono i frutti alla velocità della luce, difficile fermarli per far loro uno scatto, le braccia prendono un ritmo che non rallenta, men che meno riesce a bloccarsi.

Salgono sulle scale in legno per raggiungere i punti più alti, poggiandole alla pianta stessa, in mano sempre il coltello appuntito.

Raccolta Fichi D'India - Biancavilla (Catania)

Raccolta Fichi D'India - Biancavilla (Catania)

Il frutto viene raccolto tagliando uno strato di cladodo, che i siciliani hanno sempre chiamato ‘pala’, e si posa nelle cassette.

Si evita così di privare la polpa dalla sua protezione, la buccia, così come succedeva quando ancora era in voga il vecchio metodo: quello del coppo.

Un lungo bastone di legno alla cui estremità veniva infilzato un bicchiere di latta con cui si staccava alla buona il fico d’india, togliendone però irrimediabilmente una parte di buccia e destinandolo a rapido deperimento per via del contatto diretto con l’aria.

Campo Fichi D'India - Biancavilla (Catania)

Dalla raccolta all’esportazione passano solo pochissime ore.

Le cassette vengono caricate nei camion per essere portate in magazzino.

Raccolta Fichi D'India - Biancavilla (Catania)

Il frutto viene selezionato e privato poi delle spine, per quel che si può, tramite una spazzola che lo accarezza e leviga.

Raccolta Fichi D'India - Biancavilla (Catania) Raccolta Fichi D'India - Biancavilla (Catania) Raccolta Fichi D'India - Biancavilla (Catania)

Le spine, raccolte in una grande vasca, dal contenuto polveroso e minaccioso come un alveare di api, vengono infine bruciate.

COME SBUCCIARE I FICHIDINDIA

Un metodo sicuro per sbucciarli non esiste. Le spine volano via come polvere e anche sbucciati nel modo giusto, una o due potreste incontrarle.

Ma come si dice da queste parti, con le spine dei fichi d’india non è mai morto nessuno, ragion per cui non ne abbiate troppo timore e lasciate perdere i guanti, seguite piuttosto questi semplici consigli.

Non toccate la buccia con le mani, utilizzate solo coltello e forchetta. Quest’ultima accompagnerà il frutto dall’inizio alla fine della sua sbucciatura e sarà la vostra intima alleata.

Poggiate il frutto su di un piano e infilzatelo con la forchetta, proprio al centro della sua pancia.

Fico d'India

Con il coltello fate un taglio netto in ciascuno dei due estremi senza eliminare del tutto la buccia.

Fico d'India

Effettuate poi un’incisione lungo tutta la pancia, da un’estremità all’altra. Allontanate dolcemente con il coltello prima una e poi l’altra delle due sezioni ricavate con l’incisione.

Fico d'India

Adesso che la buccia è quasi del tutto tolta arriva il momento più piacevole, dovrete agguantare il frutto con le mani staccandolo dal lato interno della buccia, privo di spine.

Fichi d'India

QUALI SCEGLIERE

I fichi d’ india non nascono tutti uguali, ogni siciliano ha il suo preferito.

Le varietà danno frutti diversi anzitutto per i colori, con caratteristiche simili ma non uguali, le differenze sono ben percepibili da chi li conosce bene.

Raccolta Fichi D'India - Biancavilla (Catania)

I gialli (i sulfarina), sono i più semplici, in genere i meno amati dai siciliani, ma anche i più diffusi.

Decisamente più saporiti i bianchi (i muscaredda), il cui colore non indica una maturazione ancora incompleta come pensano sbagliando i meno esperti.

Sono solo leggermente meno dolci dei gialli, ma il piacere sta nel morderli grazie a una consistenza meno farinosa e alla pellicina sottilissima che circonda la polpa, più palpabile.

Infine i rossi (i sanguigni), una via di mezzo quanto a consistenza ma i più dolci di tutti.

Raccolta Fichi D'India - Biancavilla (Catania)

Se ognuno ha il proprio colore preferito su una cosa i siciliani non hanno dubbi: la superiorità dei bastardoni.

Non è un insulto, i bastardoni sono fichi d’india nati dalla seconda fioritura, nel periodo da fine settembre a novembre, dopo che sono stati eliminati i frutti della prima fioritura.

Più grandi e sodi di quelli nati sotto il sole d’agosto, hanno qualche seme in meno e godono del clima più mite.

Fichi D'India - Biancavilla (Catania)

Se ne trovano di buoni in tantissime zone della Sicilia, fra i migliori quelli delle zone di Belpasso, San Cono, Militello, Piazza Armerina.

DOLCI E AMARI: I MILLE USI DEI FICHI D’INDIA

Nelle località dove abbondano, è d’uso preparare la mostarda di fichi d’india. La si può assaporare subito, nei giorni in cui mantiene dolcezza e freschezza, con aggiunta di una spolverata di cannella e un trito di mandorle,.

La si può anche essiccare al sole, per conservarla con le foglie di alloro e assaporarla durante l’inverno. Indurita, acquista il carattere maturo con un forte sentore di tabacco

Ma gli usi dei fichi d’india sono infiniti. Gli effetti benefici sono particolarmente racchiusi nei cladodi: la polverina che li circonda, e che si può ricavare strofinandoli con le dita, viene utilizzata come cicatrizzante.

Mentre il cladodo stesso, sbucciato, può essere usato nelle insalate per gli effetti benefici, digestivi e anti-gastritici. Un tempo, appeso al collo, si diceva curasse la tonsillite.

Ma se non sapete dove trovare i cladodi potete rimediare con un ‘Vecchio amaru sicilianu’: una miscela di cardi selvatici, alloro, finocchio, liquirizia, cladodi, noce, arancia amara e cannella.

Se ne bevete troppo, probabilmente, vi si formerà in testa la coppola ma almeno avrete mani pronte a ricevere le spine.

Raccolta Fichi D'India - Biancavilla (Catania)

[CREDIT: FOTO ALFIO BONINA]

Arancini: ricetta autenticamente siciliana

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[Se il tono vi sembra perentorio, scusateci, però mettete su una pentola d’acqua e fate cuocere il riso, poi vi spieghiamo perché]

Sugli scaffali della vostra libreria, 9 su 10 sono libri di cucina, scritti di proprio pugno da chef internazionali. Nei cassetti avete un’utensileria che meriterebbe di stare in una teca: pelatopinambur, denocciolatori a energia solare, barattolini monodose di spezie acquistate nei bazar di tutto l’orbe terraqueo.

Ecco, voi, gastrofanatici col grembiule, maniacali come un Annibal Lecter dei fornelli, arguti, sapienti, a volte più pesanti di una parmigiana di peperoni, consideratevi dispensati dalla lettura di questa ricetta.

O almeno, non trattate Dissapore come il dagherrotipo di Antonella Clerici con cui ogni mattina vi interfacciate armati di freccette perché la cipolla non è di Giarratana o il riso non è Carnaroli.

Andate a raccontarle alle nonne siciliane queste lezioncine di gusto: loro, nel frattempo, vi avranno impanato una quarantina di arancini  e bombardato di gusto.

Con una distinzione soltanto: riso per risotti e riso per insalate. Questo in linea di massima, perché se avanza un po’ di riso, beh allora… impaniamo gli arancini.

Sì, arancini, e non arancine.

Senza tornarci su, ché abbiamo già dato, stabiliamo una volta per tutte il concetto, poi non se ne parla più.

L’arancino è una storia, l’arancina è un’altra, come uomini e donne sono diversi e insieme procreano piccoli arancini, che somigliano al padre o alla madre.

Detto questo, vi diamo la nostra ricetta dell’arancino al sugo come si prepara a Catania, promuovendo ma anche ricusando alcune varianti.

RICETTA DEGLI ARANCINI AL SUGO

Ingredienti:

Per il ripieno:
Una carota
Una costa di sedano
Una cipolla
500 grammi di carne mista di vitello e maiale tagliata a pezzettini (più piccoli dello spezzatino)
200 grammi di concentrato
Due bottiglie di salsa di pomodoro
200 grammi di piselli

250 grammi di caciocavallo
sale e pepe

Per il riso:
500 grammi di riso
Una noce di burro
Due bustine di zafferano
50 grammi di pecorino grattuggiato(per chi non lo ama va bene anche il parmigiano)

Per la panatura:
Mollica
Due uova

PREPARARE IL SUGO

Fate appassire in un tegame carote, sedano e cipolla tritate.

Preparazione arancino - soffritto

Aggiungete la carne a pezzetti per farla rosolare qualche minuto e sfumate con il vino.

Preparazione arancino - carnePreparazione arancino - carne

Aggiungete il concentrato di pomodoro e mescolate, dopo qualche secondo unite la salsa di pomodoro. Insaporite di sale e pepe.

Mettete il coperchio e fate cuocere a fuoco lento per ore, ore e ore, come in Sicilia, dove il sugo lo si fa cuocere per l’intera notte, sonnecchiando nell’attesa con un occhio chiuso e uno aperto.

Ma se potete permettervi di prepararlo di giorno, la notte vi consigliamo di riposare (chi, noi integralisti? Non scherziamo).

Preparazione arancino - sugoPreparazione arancino - sugo

VARIAZIONI DEL SUGO PROMOSSE:

Il sugo, si sa, ognuno lo prepara come da tradizione propria. Per questo si accetta ogni variante.

Faccenda aromi: c’è chi mette gli aromi, alloro e chiodi di garofano. Non ne abbiamo utilizzati nella nostra ricetta, proponendovi un gusto più semplice possibile, poiché quel che verrà fuori è l’arancino, saporito da sé.

Faccenda acqua: in Sicilia si utilizza la salsa fatta in casa, solitamente meno concentrata di quella acquistata, per cui non c’è bisogno di aggiungerne.

Se la vostra salsa è molto densa, aggiungete un bicchiere d’acqua. A fine cottura il sugo deve essere molto denso per poter essere contenuto dal riso, ma se troppo denso sin da subito si rischia di farlo attaccare o bruciare.

Questione tritato di carne: quello fatto col tritato non è un sugo, bensì un ragù. Se volete ottenere un sugo più corposo per il ripieno, aggiungete del macinato, purché non rinunciate alla carne a pezzettoni che ritrovata in mezzo all’arancino garantisce una sensazione di scioglievolezza simile a una pralina di cioccolato.

PREPARAZIONE DEL RISO

Non è che avete dimenticato il riso? A proposito, visto che ci siete, in un altro pentolino fate cuocere i piselli in umido.

Prima di scolare il riso aggiungete lo zafferano, stabilendo le dosi a seconda dell’intensità di colore che preferite per il vostro arancino. E da quanto volete che si senta lo zafferano.

Scolate quindi il riso, avendo cura di non farlo scuocere, mantecatelo con il burro e il pecorino grattugiato (ma va bene anche il parmigiano), spianatelo per farlo raffreddare.

Spianata del risoPreparazione arancinoPreparazione arancino

Il segreto per comporre un buon arancino sta nel far raffreddare molto il riso, così riuscirete a lavorarlo bene. Se avete tempo potete anticipare la cottura la sera prima e conservarlo in frigo.

VARIAZIONI DELLA BOLLITURA PROMOSSE

Faccenda brodo: potete far bollire il riso in un brodo precedentemente preparato, ma quel che non deve mancare è lo zafferano, nel catanese viene utilizzato il minimo indispensabile.

L’arancina palermitana è molto più gialla.

PREPARAZIONE ARANCINO

Vi siete ricordati di far cuocere i piselli? Bravi. Metteteli in una ciotola e fateli raffreddare. Tagliate quindi a dadini il caciocavallo.

Caciocavallo

Prendete uno strato di riso con le mani bagnate, lavoratelo un po’, perché è probabile che raffreddandosi si sia indurito, senza esagerare per non farlo sfaldare.

Posizionate una mano a forma di cono, come se voleste raccogliere dell’acqua.

Preparazione arancino

Messo il riso in un palmo, appiattitelo con l’altra mano ancora libera e mettetevi il sugo fatto opportunamente raffreddare, dei pezzettini di carne, i piselli, e due o tre pezzetti di caciocavallo.

Preparazione arancino

Chiudete con la stessa quantità di riso l’arancino, e procedete a definire la forma.

Preparazione arancinoPreparazione arancino

Poiché parliamo dell’arancino al sugo preparato a Catania lasciate perdere arance e forme rotonde. La sagoma deve essere quella di una piramide.

Provate a giungere le mani in preghiera, con i palmi delle mani sempre incavate e rigiratevi l’arancino. Con la parte più bassa del palmo date una leggera spinta verso l’alto in modo da modellare la base piatta dell’arancino.

Preparazione arancino

In commercio ci sono tante formine che creano arancini perfetti, ma lavorarli in questo modo è divertente, meno complicato di quanto possa sembrare.

VARIAZIONI DELLA FARCIA RICUSATE

Faccenda uovo sodo: no all’uovo sodo nella farcia dell’arancino. Non c’è un motivo esatto per cui lo bocciamo, è una questione di religione, regola, dogma, e bisogna avere fede.

Faccenda prosciutto: qualcuno mette anche del prosciutto cotto nel ripieno. Ma insomma, tra piselli, uovo e prosciutto cotto non è che esce fuori una pasta al forno, similtimballo?

Se immaginate un bel sugo di carne corposo, con pezzettoni a sorpresa, che figura ci può fare un misero, roseo e timido pezzettino di prosciutto?

IMPANATURA

Sbattete con una forchetta l’uovo, passatevi l’arancino e quindi impanatelo nel pangrattato. Siete pronti per farlo soffriggere.

Lavorazione arancini

A Catania difficilmente troverete un arancino impanato come una cotoletta.

Per evitare che il gusto della panatura sia troppo forte si sostituisce l’uovo con una miscela di farina e acqua, oppure il solo albume e l’amido di mais.

In un pentolino dal fondo non troppo spesso e dai bordi alti scaldate a fuoco vivo olio di semi abbondantissimo.

Immergete gli arancini in modo che siano quasi del tutto ricoperti dall’olio.

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Continuate la frittura fino ad aver raggiunto una doratura perfetta, concedendo il tempo al cacio cavallo di fondersi.

AranciniArancini

COME MANGIARLO

Aspettate qualche minuto per farlo raffreddare. Adesso potete procedere al grande morso. Da quale lato? C’è chi inizia dalla punta e c’è chi inizia da sotto.

Arancino punta in suArancino

Questa seconda alternativa è per gli amanti frettolosi, quelli dell’amore che comincia cu lu cantu e finisce cu lu chiantu.

Iniziando da sopra invece, come il primo bacio, si farà attendere ma arriverà gradualmente il gusto della carne.

Arancino

[CREDIT: FOTO ALFIO BONINA]

Se non sei mai stato in Sicilia, il Nero dei Nebrodi ti farà cambiare idea

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Voluttuosa, di un colore rosso intenso dal fresco allo stagionato, oggi la carne di suino nero dei Nebrodi è considerata di gran pregio.

Scegliete il menu degustazione del vostro ristorante preferito in Sicilia, e di uno tra i ristoranti che contano nell’Isola, noterete come un piatto a tema non manchi mai.

Proprio per questo siamo andati sul posto, intenzionati a svelare i motivi di tanta prelibatezza, per anni poco conosciuti anche dagli stessi abitanti del luogo, che l’hanno snobbata a lungo.

SUINO NERO DEI NEBRODI: HABITAT

Per nulla simile a quella dei maiali ingabbiati, il suino nero dei Nebrodi conduce una vita in totale libertà di cui si compiacerebbe pure l’animalista più accanito.

Lago di Maollazzo - Cesarò - Nebrodi

Tra paesaggi come questi, i silenzi dei faggi e l’ombra delle querce secolari, si nutre di castagne e ghiande, vive allo stato brado o semi-brado, si adatta facilmente alle temperature mediamente rigide dei Monti Nebrodi.

Un habitat fatto di boschi grandi (dai 400 ai 1800 metri), denso di piante, contrappuntato da laghi, contrade, torrenti e abbeveratoi.

Per arrivarci si percorrono tornanti estenuanti, con l’Etna sempre in vista che più ci si allontana più sembra avvicinarsi, poi si sale altissimi circondati da macchie verdi a perdita d’occhio e picchiate che puntano dirette sul ventoso Tirreno.

Nebrodi

I branchi di suini neri, di rado ma succede, attraversano la strada per tornare subito tra gli alberi. Mamme e lattonzoli si fanno osservare, guardinghi e timidi ma pur sempre selvaggi.

Suino Nero - Nebrodi
Suino Nero

Una razza antichissima e autoctona, che nessuno aveva voglia di allevare, fino al rischio di estinzione corso negli anni ’90.

Il motivo? Una carne ritenuta poco redditizia, una taglia minuta che in due anni non raggiunge neanche i 100 kg.

La scarsa carne e troppo grasso ne hanno fatto una prelibatezza per pochi, con il consumo limitato alle mura domestiche degli allevatori della zona.

Suini neri dei Nebrodi

Anche adesso, scampato il rischio estinzione, nonostante l’apprezzamento dei migliori ristoranti stellati di Sicilia, e una diffusione finalmente all’altezza, sono poche le aziende che dedicano la loro attività esclusivamente a questa carne.

LA PAISANELLA – MIRTO (ME)

Il viaggio, per chiunque voglia capire questo mondo, non può che iniziare a Mirto, 400 metri di altezza, 1000 abitanti, 600 suini, tutti, o quasi, appartenenti all’azienda La Paisanella. A Mirto si fa di necessità virtù, qui il dileggiato grasso del suino nero diventa un segreto di gusto, non a caso è qui si produce uno dei prosciutti migliori d’Italia.

Macelleria La Paisanella - Mirto

Alla Paisanella si alleva, anzi si semi-alleva, limitando l’intervento dell’uomo ai periodi di inverno rigido, quando la scarsa alimentazione del suino viene integrata dai legumi.

Poi si taglia, si insacca e infine si esporta.

Niente capannoni né macchine industriali, solo una famiglia unita, due donne norcine, cognate, giovanissime e magre, dalle mani esili.

Scattante una, pacata l’altra, tagliano e insaccano come se suonassero un’arpa. Con la stessa risoluta dolcezza con cui una donna ricama le coperte di lino della figlia prediletta per la conzata del letto.

Luisa Ninone - Lavorazione suino nero

Luisa Ninone - Macelleria La paisanella

Nella zona nord del paese i suini, con il signor Sebastiano. il loro padrone. Al centro la macelleria, e a sud, dopo tante curve sui precipizi spaventosi e strade larghe quanto un’auto, una semplice casa di campagna, una stanza e qualche cella, dove Pina, sorella di Sebastiano –prima norcina– prepara i prosciutti, girandoli e rigirandoli come in una danza.

Nella casa dei nonni a Castell’Umberto, paese limitrofo, un magazzino con tre stanze in pietra ospita tremila prosciutti per la lenta stagionatura.

Coppa e prosciutto di suino nero

I SALUMI

Seppure la carne fresca dei suini neri sia già così una specialità, la vera prelibatezza sono i salumi, per via di un’intensità aromatica decisamente superiore, che segnala una maggiore attitudine di questa carne alle lunghe stagionature.

Oltre al prosciutto stagionato per 24 mesi nelle cantine di pietra, dal gusto intenso, scioglievole e salino, presidio Slow Food, (l’acquisto va dai 60 euro dal produttore fino ai 200 euro al chilo), non è facile decidere quale sia il salume cui il suino nero conferisce i sapori migliori.

Il tipico salame di queste zone è la fellata. Viene realizzata secondo il classico metodo a punta di coltello e stagionata per circa 150 giorni, ha una carne compatta e morbida, e un costo in azienda di 25 euro al chilo.

Salame suino nero dei Nebrodi

Meno stagionata la salsiccia, deliziosamente tenue ma meno omogenea nella carne, condita solo con sale, pepe a grani e finocchietto.

Salsiccia suino nero dei Nebrodi

Coppa suino nero dei Nebrodi

Voluttuosi e lubrificati anche la coppa e la lonza, che insieme alla pancetta tesa completano la gamma dei prodotti.

COME RICONOSCERLO

Come spesso avviene dopo il successo improvviso di un prodotto, fino a quel momento poco apprezzato, oggi bisogna distinguere tra suini neri e presunti tali. In assenza di un vero disciplinare, ecco alcuni consigli per riconoscere la carne e i salumi del suino nero dei Nebrodi.

Taglia piccola

Questa è la principale caratteristica dei suini neri, che in due anni non raggiungono i 100 chili. Una particolarità ben evidente nel prosciutto crudo, il cui cosciotto è piccolo e non piatto, ma leggermente affusolato.

Colore rosso intenso

Il singolare colore rosso intenso è un indizio unico e prezioso per riconoscere la carne di suino nero. Lo ritrovate sia nella carne fresca che nell’insaccato.

Il grasso e le sue trame

Il suino nero è una carne che può rendere il 70% del tessuto adiposo. Come si dice da queste parti, ci saranno anche ‘tre dita’ di grasso a circondare e proteggere la carne. Il grasso ha un colore bianco perlato.

Carne suino nero

Ve ne accorgerete osservando nei salumi le particolare umidità data dal grasso, e nella carne fresca una trama che ricama la carne.

Il gusto

Il sapore intenso e persistente è un’altra caratteristica che rende riconoscibile il nero dei Nebrodi, un connubio riuscito tra rusticità ed eleganza, lo stesso dei luoghi dove i suini vivono.

[CREDIT: FOTO ALFIO BONINA  e GIUSEPPE FAMIANI]

Ridateci Votavota, il ristorante temporaneo dell’estate in Sicilia

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Il mare è mosso ma silenzioso a Sampieri, piccolo borgo della marina di Scicli. Il vento è forte, anzi, fortissimo, l’inquietudine è latente mentre il maltempo da codice rosso si prepara.

In Sicilia è il primo vero giorno di autunno, è anche l’ultimo del Votavota, un temporary restaurant giovane e fuggente, un’esperienza fugace che sta per concludersi dopo 150 giorni appena, dal 4 giugno al 31 ottobre.

Meglio tardi che mai, ma dovevamo conoscerlo il Votavota.

SampieriSpiaggia di Sampieri

Lo abbiamo immaginato sotto il sole cocente, nelle giornate estive di una spiaggia sempre affollata, di un’estate prolungata fino a pochi giorni fa, quando il Votavota era ancora un progetto che forse sarebbe durato.

IL VOTAVOTA

votavota - Sampieri

La passerella conduce all’ingresso. Da fuori, si vedono dietro le grandi vetrate Peppe Causarano e Antonio Colombo.

A 31 e 26 anni, già affiatati dall’esperienza alla Locanda Gulfi, sono considerati gli chef siciliani emergenti.

Il primo socievole e perspicace ne sa una più del diavolo, per capire cosa vuole il cliente siede al tavolo fingendo di esserlo anche lui. E’ ambizioso Causarano ma vuol fare le cose con calma, senza strafare.

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L’altro è più mansueto, col sorriso sempre sulle labbra, un collaboratore migliore di Colombo, che si occupa di dolci, è difficile averlo.

Il nome nasce proprio lì di fronte, sulla spiaggia da dove il 14 agosto si tirava il votavota, la rete per pescare.

Da fuori il ristorante ricorda una barca preda delle onde, all’interno è uno chalet a mare dove il colore chiaro del legno insegue i riflessi cangianti del mare.

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Manca un confine vero tra l’ingresso e il mare, per non bagnarsi le scarpe bisogna fare attenzione.

Suona la musica di un vinile e qualcuno si tuffa. Noi ce ne guardiamo bene.

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Nel frattempo il profumo del pesce si fa irresistibile, impossibile reprimere la voglia.

I PIATTI

Nella lista che ricerca a tutti i costi la semplicità non c’è linea di demarcazione tra antipasti e secondi, si sceglie in libertà.

Il menu degustazione c’è ma non si vede, o per lo meno, non è così evidente. E’ invece scritto a chiare lettere l’invito ad affidarsi agli chef, in evidente stato di relax negli ultimi giorni di apertura. Ci affidiamo, e ci rilassiamo anche noi.

All’antipasto, che è stato quel tuffo in mare poco invidiato ai coraggiosi protagonisti, seguono l’entree di ostriche e melograno, poi cinque piatti da mangiare d’un fiato.

L’ostrica bagnata dal succo scivola che è un piacere, non serve neanche masticarla.

Votavota - Ostriche e melograno

Anticipato da una canocchia a crudo, che va avanti e indietro mentre la tagliamo, quasi stesse ancora nuotando, arriva un crudo di ricciola con pomodoro e cappero.

Siamo vicini alla terra del pomodoro di Pachino, che nel menu ritroveremo spesso sotto forma di salsa fredda, cucinato con una tecnica che rende al meglio il gusto inimitabile.

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Fichi d’india e gambero: l’abbinamento in apparenza stravagante tra un frutto umile e rustico e l’elegante crostaceo che sul frutto poggia, conquista per il garbato accenno al dolce.

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Siamo alla  Sicilia con gli occhi a mandorla.

L’alalunga con riduzione di Murgo, spumante dell’Etna, glassa di salsa di soia, farina, semi di carruba e lemongrass tostata richiama l’esperienza giapponese, così importante nella sua cucina, maturata da Peppe Causarano.

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Cosa sarebbe un ristorante sul mare senza una pepata di cozze?

Sarebbe come un parmigiana senza melanzane, una melanzana senza olio, un olio senza olive, o semplicemente come un ristorante sul mare senza pepata di cozze.

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Il punto però è che non ci troviamo davanti una semplice pepata, ma molto di più.

Mentuccia e lemongrass da quel momento in poi non hanno altro posto dove stare, se non sulle cozze.

Il totano, specialità del messinese, è abbinato con ingegno a stracciatella di bufala e pomodoro di pachino.

Una cottura, quella del totano, che non conosce mezze misure, o meglio, mezzi tempi. O immediata o lunghissima, per smorzare la naturale tenacia.

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A concludere l’antipasto la spatola con panatura leggera, crema di carote d’Ispica e caponatina siciliana.

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Il primo è anche il piatto più consistente, dove la Sicilia terragna dell’interno prende per una volta il sopravvento sul mare.

Un tenerume che le vongole rendono sopraffino.

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L’altro invece è un’alalunga con capperi, mentuccia e cipolla in agrodolce.

A fine pasto qualche effluvio di cipolla in meno non sarebbe guastato, mentre l’alagunga ha un cuore tenero avvolto in un guscio inaridito.

Alalunga

Non è la prima volta che nel piatto del dessert s’intravedono forme e sembianze di un uovo. Ma se non lo fa Colombo, chi dovrebbe farlo?

Il risultato è bello, estroso e buono. Vista l’asprezza della maracuja un sapore di mandorla più deciso lo avrebbe anche migliorato.

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ALLA FINE

Elaborata ma non troppo, certo non tradizionale, la cucina del Votavota esprime due chef bravi e già consapevoli, ancorché giovani, che con certi ingredienti, con questa materia prima, anteporre ego o scelte troppo personali avrebbe poco senso.

Il loro e il compromesso elaborato e saggio di chi sa adattarsi al contesto senza timore di sminuire le proprie capacità.

Nostro invece, è il piacere di assaporare la freschezza del mare nel palato, dopo averlo sentito sulla pelle. Piacere che costa 4o euro per un percorso di cinque portate indicato dagli chef, meno scegliendo tre portate alla carta.

Che per Causarano e Colombo ci saranno nuovi e anche ambiziosi progetti, probabilmente a Modica, è sicuro.

Uscendo dal Votavota la puntina del giradischi graffia un disco di Tracy Chapman.

Una barca si allontana in balia delle onde, è già la seconda ma a nessuno sembra che importi.

Forse è davvero tempo di chiudere.

_dsc0024Peppe Causarano

La guida ai migliori arancini di Catania

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Abbiate pazienza, ma non possiamo fare a meno di darvi la solita avvertenza anti-flame: questo non è un post sugli arancini con la A, ma sugli arancini con la O.

Ne consegue che, palermitan-i e palemitan-e, se proprio vogliamo continuare con questa sporca storia del nome, facciamolo pure, ma siccome gli arancini con la O sono un’istituzione profondamente catanese, abbiamo optato per una guida sui migliori della città etnea.

Dieci posti, non i soliti, quelli risaputi e centralissimi, o almeno non solo quelli.

Troverete anche indirizzi conosciuti soltanto ai residenti che, con l’espressione rapita per l’imminente attimo di estasi e peccato chiudono volentieri un occhio sull’estetica dei locali, pur di addentare un pezzo di piacere pizzuto.

Protagonista del nostro giro per i santuari dell’arancino è stata la ricetta al sugo, o ragù in alcuni casi, ma non abbiamo disdegnato arancini al burro, spinaci o melanzane.

Non chiedeteci però un giudizio sugli altri, le versioni ai gamberetti o al salmone non fanno per noi, sul ragù di seitan ci è concesso elegantemente sorvolare?

#1 – SALUMERIA SCOLLO – CATANIA

La salumeria Scollo si trova proprio dietro Corso Italia, un tempo teatro della pacifica vita borghese cittadina, oggi afflitta da un certo senso di decadenza. E’ una di quelle salumerie che le donne catanesi fasciate nei cappotti di cachemire e avvolte dai foulard Hermes chiamavano tra di loro ‘gioiellerie’.

Scollo - CataniaSignora Scollo - catania

Dentro la salumeria una piccola vetrina espone la tavola calda preparata personalmente dal signor Scollo e dalla moglie: arancini, cipolline, cornetti di pasta sfoglia ripieni di prosciutto e parmigiano si fanno notare per l’aspetto invitante e le dimensioni insolite: sono piccoli ma perfetti.

Arancini di Scollo - Catania

Piccole dimensioni, elevata qualità: gli arancini di Scollo non fanno le veci del pranzo, sono da assaporare come piccola rosticceria.

Prima vengono impanati nella mollica, poi passano nella pastella pre-frittura e infine per una nuova panatura con la mollica. Il riso è soffritto e viene aggiunto lo zafferano.

Arancino al ragu di Scollo - Catania

La carne a pezzetti tipica dell’arancino al sugo catanese, ricordo di tempi meno agiati quando trovare un bel pezzo di carne nell’arancino era obbligatorio, viene sostituita dal ragù per alleggerirne il gusto. Il formaggio è un caciocavallo inappuntabile.

In media ne vengono fritti cento al giorno per cui capita di restare a bocca asciutta. Da provare in estate l’arancino con menta, mozzarella e capperi.

#2 – BAR SPORT – TRECASTAGNI (CT)

Come nei talent musicali, per noi l’uovo sodo nell’arancino è NO (tono drastico). L’avevamo già detto e non siamo disposti a ritrattare, benché per questa ragione –non ci crederete– qualcuno ci abbia tolto pure il saluto.

Ciò detto si può anche cambiare idea, specie in presenza di piccoli capolavori di sapore, magari poco ortodossi ma sempre capolavori.

Per questo segnaliamo il posto migliore in cui assaggiare l’arancino al sugo con l’uovo sodo: il Bar Sport di Trecastagni.

Arancini Bar Sport - TrecastagniArancini Bar Sport - TrecastagniArancini Bar Sport - Trecastagni

Si trova nella centralissima piazza Marconi del paese etneo, che non deve il nome a tre castagni ma ad Alfio, Filadelio e Cirino, santi martiri patroni noti come i tres casti agni.

L’arancino è buonissimo. Sontuoso e dalle fattezze artigianali, quantità e cottura del riso perfetta come la frittura, ricchissimo di sugo con piselli, formaggio e, per l’appunto, uovo sodo.

#3 – SAVIA – CATANIA

Gli arancini di Savia sono capaci di dividere in due i catanesi: quelli li amano e quelli che, francamente, li detestano. O meglio, conservano il ricordo di un’era mitica e mitizzata (quale poi?) quando ehhh gli arancini di Savia erano tutt’altra cosa.

Sta di fatto che ogni giorno di fronte Villa Bellini si sfornano, o meglio si friggono, migliaia di arancini per catanesi, turisti, bambini, anziani e vigili urbani.

Attenzione, sono caldissimi, prima di morderli tenete a bada l’impazienza per almeno cinque minuti, pena severe ustioni a lingua e palato.

Arancini - Savia - CataniaArancini al sugo - Savia - Catania

Oltre ai grandi classici al sugo (forma appuntita) e al burro (forma tonda) segnaliamo l’arancino alla catanese, ricetta alternativa con emmental e melanzane.

Nel periodo invernale troverete anche l’arancino alla ricotta, ma il sapore è poco deciso, facile preferirgli le crespelle con la ricotta che si trovano nelle tante friggitorie della città.

Arancino di ricotta - Savia - Catania

Nota stonata il cartello che recita “arancine 2 euro”. Passi il non volersi conformare al resto della città, ma quell’arancin-e in pieno centro a Catania è da brividi.

#4 – FRATELLI PATANE’ – VALVERDE (CT)

Se volete addentare l’arancino senza che i passanti posino su di voi uno sguardo di biasimo per esservi sporcati troppo, ecco un posto dove sarete soli, a Valverde. Nel paese residenziale in apparenza semi-deserto è difficile notare la bottega dove da quarantadue anni (42!) si friggono i migliori arancini della zona.

Il Laboratorio pasticceria Fratelli Patanè è segnalato solo da una piccola insegna posta a terra, sul marciapiede, di quelle in stile gelati Algida negli anni Ottanta del secolo scorso.

La porta apre su una larga vetrina che non espone nulla.

E’ un laboratorio pasticceria ma non ci sono pasticcini. Una tavola calda ma non si vedono impasti cotti e conditi che fumano. Una gelateria ma senza i pozzetti dei gelati. Insomma, il nulla.

Eppure, pazientemente in fila ad attendere il loro turno ci sono diversi clienti, arrivati anche dai paesi circostanti.

L’anziano Patanè, senza scomporsi a causa delle persone impazienti, chiede con calma e gesti calcolati quanti arancini desidera il prossimo della fila.

Poi scompare così com’era apparso per andare a friggerli. Avanti il prossimo, e poi di nuovo. Uno ad uno. Un viaggio e tante fritture per quanti sono i clienti.

Arancini Fratelli Patanè

C’è da dire però che l’attesa è ripagata.

Ideale per gli appetiti vigorosi, l’arancino ha il riso molto compatto, quasi a formare un secondo strato oltre la panatura super croccante. Il sugo cucinato tutti i giorni è abbondante, il formaggio ancora di più.

Il locale apre di solito alle 18 e chiude verso le 22:00, o prima in caso finiscano gli arancini.

#5 – Gastronomia Arancineria di Cardi Giovanna – TREMESTIERI (CT)

Il bravo venditore di arancini a Catania non vi dirà che il suo prodotto è buono. Vi dirà che è internazionale.

Fanno così anche il fruttivendolo o l’ortolano parlando di arance e broccoli, per descrivere qualcosa talmente buono da andare oltre i confini della Sicilia, il meglio che si può trovare nel continente, anzi, nei continenti. In una parola: internazionale.

Ecco. Se esiste un arancino internazionale, almeno nella mente di chi lo prepara, arriva da questa piccola gastronomia e arancineria di Tremestieri etneo.

La signora Giovanna Cardi, ovvero la titolare, è una donna prosperosa.

Seduta sullo sgabello all’ingresso della sua micro-arancineria, confabula con i clienti tenendo sempre d’occhio le ragazze del bancone.

Detta loro le ordinazioni con un tono che sottintende il rispetto dovuto al cliente, ma è quando parla dei suoi capolavori che riesce a dosare, come solo le donne siciliane sanno fare, ostentazione e umiltà.

Gastronomia di Cardi Giovanna - arancini

Nel locale si sprecano i personaggi che piacerebbero a Camilleri. La signora Sara per esempio, mezzo metro su mezzo tacco, capelli corti e grigi, tonda quanto alta. Una donna anziana del paese ancora esuberante, al punto da non avere tempo per cucinare. No, lei compra i pasti pronti come farebbe una giovane donna oberata di impegni.

Ma a consumare gli arancini non sono solo i residenti, o almeno la signora Giovanna Cardi non vuole che si dica, altrimenti potrebbe arringarvi su quella volta che li hanno mangiati pure a Monaco.

Sia come sia, questi arancini oltre essere i più grandi della provincia di Catania hanno un carattere doppiamente internazionale. Sono internazionali di nome e di fatto.

#6 – SPINELLA – CATANIA

Sappiamo che il destino, per definizione, è beffardo. Ecco, quel destino ha voluto che Savia e Spinella fossero da sempre uno accanto all’altro e con similitudini evidenti nel menu.

Spinella, diciamolo chiaro, nella maggior parte dei casi è uno scalino sotto. Ma, attenzione, non sempre. Diremo più correttamente che Savia gode di una notorietà maggiore.

Arancini - Spinella - Catania

Nella classifica di Dissapore l’arancino di Spinella arriva dopo quello di Savia solo a causa di un leggero difetto. La carne, ahinoi, non è del tutto impregnata nel sugo. Per il resto, anche qui il riso non è né bianco né giallo, ma correttamente condito con il sugo.

#7 – BAR OTTAGONO – MASCALUCIA (CT)

Al Bar Ottagono di Mascalucia, da poco rinnovato, l’arancino viene servito al contrario. Dimensioni perfette al millimetro, ne più ne meno di quel che richiede il vostro appetito.

Oltre a quello tradizionale al ragù, i gusti sono burro, spinaci, pollo, salmone. Sulle ultime due nutriamo delle perplessità, comunque, aldilà del bar che li propone.

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#8 – ETOILE D’OR – CATANIA

Quando i voli low cost non erano così diffusi, in Sicilia ci arrivavi con il traghetto e i primi arancini si assaporavano sul ‘uferriboat‘.

Adesso che si arriva in aereo atterrando a Fontanarossa, l’Etoile d’or è una tappa obbligatoria per assaggiare le specialità della tipica tavola calda catanese.

Etoil D'Or

Nello spazio rinomato per la colazione a base di iris fritti, generosamente ripieni di crema, si preparano ottimi arancini farciti con pezzettoni di carne al sugo.

#9 – BAR PRIVITERA – CATANIA

Privitera, in Piazza Santa Maria del Gesù da oltre 70 anni, è un nome stimato per il rispetto della tradizione pasticciera catanese, mantenuta con orgoglio dal titolare, il signor Francesco.

L’arancino è fatto con riso bianco e un sugo corposo preparato con carne da spezzatino, aromatizzata con foglie di alloro.

Bra Privitera - Catania

La ricetta è la stessa che Stefano Privitera, padre di Francesco, aveva imparato quando era al sevizio del Gran Caffe Urna di Viagrande, baluardo degli arancini etnei negli anni Venti. Oggi la tradizione prosegue con le nipoti Stefania e Selma.

#10 – VIA NAPOLI – CATANIA

I giovani leoni delle notti catanesi sono soliti rifocillarsi con un arancino appena fritto da Via Napoli, che è aperto tutto la notte.

Letteralmente trasformato, dal piccolo take-away notturno che era negli Novanta è diventato un bar luminoso, con tanto di prodotti gluten free. Ma non ha perso l’abitudine di restare aperto la notte, e sebbene l’arancino non sia la specialità della casa trovarne di meglio dopo mezzanotte è proprio impossibile.

Come dicevamo, tavola calda a parte, Via Napoli è anche un’ottima pasticceria, ma dopo tutti questi arancini abbiate pietà. Possiamo parlarne la prossima volta?

Arancino di Via Napoli - CataniaVia Napoli - CataniaVia Napoli - Catania

[CREDIT – FOTO ALFIO BONINA]


Siamo stati a Modica da Accursio Craparo, appena stellato dalla guida Michelin

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Elegante, gentile, accorto, Accursio Craparo, chef del ristorante omonimo di Modica, si è appena re-impossessato con un locale tutto suo, della stella Michelin che non aveva mai perso andandosene dalla Gazza Ladra.

Passato da Modica Alta a Modica Bassa, lo chef incarna come meglio non si potrebbe nella città del cioccolato l’eleganza di via Umberto, ricca e colta, contrappuntata da un barocco garbato.

Di Accursio in questi giorni si parla molto, e noi siamo andati nel suo ristorante poco prima e poco dopo l’assegnazione della stella per capire chi è e cosa propone la sua cucina.

Il posto

Un palazzo nobiliare nella via principale di Modica, con tetto a volta e acceso dal retro, elegante ma senza ostentazione.

Sei tavoli per un massimo di 30 coperti, ambientazione rispettosa della tradizione con le maioliche antiche, il bianco e nero del fotografo ragusano Giuseppe Leone alle pareti, la supremazia del legno, un grande tavolo di servizio al centro del locale.

Accursio ristoranteAccursio Ristorante

Senza esagerare con le recensioni sociologiche perfide che qui sarebbero fuori luogo, a disegnare l’atmosfera retrò contribuisce anche la varia umanità accomodata ai tavoli.

E’ il primo giorno di riapertura e la sala non è del tutto piena. Diversamente dal solito, un tavolo di “milanesi signorili” (qui in Sicilia una categoria dello spirito) non impone la propria presenza al resto dei commensali. Ci sono poi professionisti del luogo in maglione di lana rasata che cordialmente si salutano.

Accursio -

Qualche tavolo in più, da impiegare nella bella stagione, si trova nello spazio esterno affacciato sulla via principale di Modica, a pochi metri dalla rinomata cattedrale.

Il servizio è formalmente impeccabile, provvidenzialmente alleggerito dalla supervisione spontanea di Accursio.

I PIATTI

Accursio Craparo, a differenza di altri noti chef siciliani sembra prediligere i sapori della terra. Preferenza evidente nei grissini infilzati in semi di finocchietto, orzo tostato e avena.

Accursio - Pane e olio

“Tra le colline” e “Lungo la costa” sono i due menu degustazione proposti dallo chef.

Il costo di 90 euro (125 euro con la degustazione dei vini) li avvicina all’offerta di un ristorante due stelle Michelin, ma accanto a questi c’è “Il mio menu”, composto da quattro portate a scelta che con 65 euro consente al cliente di giocare con le proposte della carta.

TRA LE COLLINE

Accursio - Vegetali stufati

Il sapore dell’autunno riempie i vegetali stufati con crema di cavolfiori, polvere di finocchietto selvatico e panino croccante.

E’ una specie di minestrone vegetale a prevalenza sedano sovrastato da una crema di cavolfiori. Per assaporarla insieme ai vegetali bisogna affondare il cucchiaio.

Accursio - Come un'insalata

La spuma di rapa rossa che in come un’insalata si accompagna a ricotta, verza, noci e mele, semi di papavero è un esempio della grazia sicula che tanto scalda il cuore dei milanesi, i nordici commensali presenti in sala avranno sicuramente apprezzato gli accenni al dolce.

Accursio - Pane e cipolla

Non è la prima volta che Accursio imprime a una portata salata il carattere di un vero dolce. Meravigliose elaborazioni che trasformano un pasto povero come pane e cipolla, in questo piccolo capolavoro di gusto.

La cipolla in agrodolce con pane tostato e cappero viene adagiata sul fiore sicano, un formaggio prodotto nel palermitano e di facile abbinamento.

Accursio - CappellettiAccursio - cappelletti di castagne

I cappelletti di castagne, in brodo ristretto di faraone con cottura a legna, sono fumanti e brodosi, caldi e sapidi al punto giusto. Nella presentazione del piatto gli accenni a ricordi e memoria  evocano un altro chef siciliano, il grande Pino Cuttaia, due stelle Michelin nella Licata sommersa in questi giorni dalla pioggia.

Non è il genere di piatto che lascia il segno, da Accursio più che narrazioni, ci si aspetta uno sguardo verso il futuro, verso il cambiamento.

Accursio - tagliatelle

Le tagliatelle con guanciale croccante, funghi e salsa di pistacchio riescono nell’impresa complicata di restituire il magico sapore del guanciale senza il lascito gravoso del suo grasso, alleggerendo tutto con la delicatezza della salsa di pistacchio.

Accursio - Agnello

La costoletta di agnello con broccoli, patate e acciuga sembra l’impiattamento di un paesaggio. Invece l’agnello non è siciliano, perché va bene lo storytelling gastronomico e identitario ma mai a scapito degli ingredienti.

Così se esiste carne di agnello migliore è giusto andare oltre il famigerato chilometro zero. Detto questo, mai avevamo provato agnello migliore al di fuori delle mura di casa.

Accursio - Arrosto di manzo

L’arrosto di manzo è uno scamone con patate e spinaci.

Un falso magro che ti fa entrare nel mood siciliano grazie alla più local delle preparazioni (date un’occhiata ai piatti tradizionali del Natale siciliano per conoscere meglio il falsomagro) messo nel piatto quasi fosse una pittura ad olio che disegna, più o meno inconsapevolmente, un occhio.

LUNGO LA COSTA

E’ con questo menu degustazione che Accursio fa venire voglia anche a un nordico di essere nato a Modica, un posto dove il tempo non ti incalza. Il bello è che lo fa impiegando materia prima del posto ricavandone sapori che da questo territorio prescindono.

Accursio - Baco da seta

Per dire, è atipico lo scampo fritto con pasta di pane. Nel baco da seta gli ingredienti convivono malgrado l’aspetto da separati in casa.

Lo scampo croccante poggia su una salsa di zucca, clorofilla di prezzemolo e alghe, da una parte stanno melograno, zucchina, arancia e melograno in polvere.

Accursio - Il carciofo

Il carciofo con baccalà e finocchi è un piatto per chi il carciofo lo ama tanto da rimpiangere di non poterne masticare per intero le foglie spinose.

Anzi, per chi ama il carciofo la felicità è questa roba qui.

Accursio - Arancino 2016

Arancino 2016. Omaggio al gocciolante cibo da strada siculo che la presenza del gambero e la mantecatura del riso in mandorle e limone ingentiliscono. Tutto inumidito dalla cremosità della ricotta.

Accursio - Spaghetto freddo

Gli spaghetti freddi al profumo di mare sono un azzardo. E va bene, da Accursio ti aspetti modernità, ma pur sempre cibi accoglienti, non di certo serviti a questa temperatura.

Accursio - Spremuta di Sicilia

Ancora spaghetti ma con spremuta di Sicilia, piatto flagship della cucina di Accursio, le cose vanno diversamente. Il piatto assoluto condito con acciuga, bottarga di tonno, finocchietto, cappero e pane tostato.

Versione senza smancerie della pasta con le sarde è quel tipo piatto che finisce per creare una nuova tradizione.

Accursio - Merluzzo

Meno riuscito il trancio di merluzzo all’acqua pazza con arancia polvere di bottarga lattuga di mare, bietolone. Perfino l’aspetto lascia a desiderare.

I DESSERT

Accursio - Uovo alla coque

Altro piatto simbolo del cuoco siciliano, un apparente, tradizionalissimo uovo alla coque.

Uovo perfettamente covato. Benché venga preparato con gelo di ricotta e salsa di albicocche.

Accursio - RistoranteAccursio - Castagna

La castagna è una specie di scultura impiattata che smonta e rimonta una castagna insaporendo tutto con una deliziosa salsa di loto. La coppia perfetta dell’autunno. Che ritrova la verve dei tempi migliori grazie alla presenza del cioccolato di Modica che qui gioca in casa ma è alla sua prima apparizione.

IL GRAN FINALE

Non è solo una faccenda legata alla qualità e alla bellezza dei piatti. Mangiare da Accursio ti cala a pieno nella terra in cui si trova il ristorante, poi ti allontana, in un andirivieni che prima spiazza poi conquista.

Ma soprattutto accade, accade e ti fa dimenticare per sempre la brutta avventura della finta cucina siciliana nel resto del mondo.

Accursio Craparo

Curiosa la scelta di non puntare sul cioccolato locale, desiderio che a Modica si può soddisfare immediatamente usciti dal locale. Che merita la stella Michelin, ovviamente, ma dirlo è quasi pleonastico.

[CREDIT – FOTO ALFIO BONINA]

Qual è il vero significato del Natale? Facile: preparare un timballo siciliano

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Il non detto della cucina siciliana è che l’isola non ama i brodi. Siamo stati piuttosto diretti l’anno scorso nel dire “non date brodi ai siciliani, non sono malati“, ma il problema è reale: i siciliani autentici potrebbero offendersi.

Nella categoria rientrano portate altrove intoccabili come tortellini in brodo, gallina in brodo e in genere, molto di ciò che finisce in -odo.

Per contro, ci sono piatti che al solo apparire sulla tavola di Natale portano sorrisi, strette di mano, abbracci, lo stesso sollievo che gli abitanti dell’isola provano quando atterrano a Punta Raisi, allorché scatta l’applauso spontaneo.

Sono parecchi, ma tra questi spiccano i piatti che finiscono in -allo.

Questo post è per chiunque di voi abbia voglia di leggerlo, in particolare per:

1) Chi vuole sentire questa gioia e regalarla ai suoi ospiti, siciliani e non.

2) I siciliani gastrofighetti (deformazione gastronomica di snob, radical chic, champagne socialist, hipster, post-hipster o qualunque altra parolaccia vi venga in mente) che si perdono dietro l’ennesimo ritrovato della cucina prêt-à-manger dimenticando chi sono e da dove vengono. Il senso di appartenenza, di solito molto radicato, svanisce davanti al famoso timballo siciliano, che così scompare.

3) I curiosi delle tradizioni scomparse, perché di questo si tratta.

4) Gli chef, infine. E provateci a rivisitarlo questo timballo, ad alleggerirlo. Fate pure bella figura: nuova interpretazione ma tradizione rispettata.

Noi il nostro dovere lo facciamo, e fino in fondo anche. Senza soffermarci troppo sulle ricette vi raccontiamo cinque timballi siciliani un tempo preparati nei palazzi delle famiglie nobiliari. Gattopardo docet, insomma.

Avvertimento: non leggano i nutrizionisti, la parola magica è condimento. Molto, moltissimo, mai troppo. Mentre le forme sono tre: riso, maccheroni, anelletti siciliani.

1. TIMBALLO DI RISO

Si prepara il sugo usando cipolla e carne di maiale tritata. Fatta soffriggere la cipolla bisogna unire il trito di maiale e sfumare col vino. Sempre in cottura si aggiungono mollica di pan grattato, formaggio grattugiato e un uovo battuto, nientemeno.

Uniti uovo e formaggio, il sugo va velocemente mescolato per evitare che si faccia una frittata. I due ultimi ingredienti aggiunti lo renderanno molto cremoso, fatelo cuocere per circa un’ora.

Nel frattempo friggete due grosse melanzane a fette larghe.

Lessate mezzo chilo di riso, mi raccomando al dente.

In una pirofila ben unta sistemate una strato di melanzane, uno di riso e ricoprite con sugo, foglie di basilico, fette di caciocavallo, uova sode. Procedete con gli strati, l’ultimo sarà di melanzane.

Mettete in forno caldo per 10 minuti. Lasciate raffreddare e sformate.

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2. TUMMALA CON GALLINA IN BRODO

Il condimento principale di questo timballo è la gallina in brodo. Come la mettiamo con i siciliani poco amanti del brodo che vi abbiamo raccontato in apertura? Allora, non è che il brodo manchi del tutto nella cucina siciliana, ma in quella natalizia si impiega per la cottura, non viene servito da solo.

Questo timballo si chiama tummala perché richiama la forma di un tamburello, servono teglie alte con il diametro piccolo.

Per il condimento fate cuocere la gallina (o il pollo) con quanti più aromi e verdure potete. Preparate anche delle polpettine di carne da lessare nello stesso brodo del pollo. Appena cotte, mettetele da parte.

Una volta cotta la carne tagliatela in tanti piccoli pezzi, stessa cosa per ortaggi e verdure.

Fate lessare il riso nello stesso brodo della gallina (o pollo). Scolatelo al dente e unite qualche cucchiaio di pecorino grattugiato fino a renderlo asciutto.

Iniziate la solita stratificazione in una pirofila alta e preferibilmente apribile. Prima ungete con dello strutto e cospargete di pangrattato.

Arricchite lo strato di riso con tuma fresca e caciocavallo tagliato a fette sottili, quindi adagiate l’altro strato con abbondante carne di pollo, polpettine e qualche pezzetto di salsiccia essiccata.

Alternate gli strati fino a raggiungere il bordo della pirofila. Sull’ultimo strato di riso bianco versate quattro uova sbattute che formeranno, non appena il timballo sarà cotto, un ulteriore strato.

Cuocete in forno per 25 minuti circa.

Tummala di riso

3. TIMBALLO DI MACCHERONI IN CROSTA

Se non avete a portata un monsù (nome dato un tempo ai cuochi professionisti) lasciate perdere l’elaborato e profumatissimo timballo del Gattopardo, la cui preparazione prevede uno studio attento dei modi e dei tempi. Accontentatevi di questo.

Preparate due dischi di pasta frolla, uno più grande e uno più piccolo. Conservatela in frigo.

Preparate la besciamella e fate cuocere la salsa di pomodoro. Rosolate fegatini e rigaglie di pollo con le foglie di alloro.

In un’insalatiera mescolate salsiccia, prosciutto, caciocavallo, pisellini fatti sbollentare in preceenza e una volta cotti, unite al condimento i fegatini.

Lessate i maccheroni e appena scolati, al dente, incorporate uova sbattute e formaggio.

Preparate la solita pirofila unta di strutto e spolverata con il pan grattato.

Foderate l’intera teglia rotonda con il disco di pasta frolla più grande, fate attenzione a lasciare le estremità, infine chiudete il timballo.

Condite la pasta con salsa e besciamella, aggiungete il resto del condimento e mescolate.

Inserite i maccheroni nella teglia foderata di pasta frolla, coprite con il disco più piccolo e chiudete le estremità in maniera da disegnare un crostone.

Spennellate con uovo sbattuto. Infornate per meno di un’ora a 180 gradi.

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4. TIMBALLO DI ANELLETTI AL RAGU’

E’ il timballo più facile, anche il più emblematico della cucina isolana.

Preparate un ragù come di vostra abitudine. Fate cuocere gli anelletti e conditeli con il ragù. Lasciate raffreddare e condite con provola a pezzettini e pisellini sbollentati in precedenza.

Imburrate una teglia rotonda dal diametro più largo rispetto ai timballi descritti sopra, cospargete con una manciata di mollica e versate gli anelletti conditi, avendo cura di spolverare di mollica anche sopra. Fate gratinare all’ultimo momento.

Trenta minuti in forno a 180 gradi e anche questo è pronto.

senza-titolo-2 senza-titolo-3 Timballo di anelletti

5. TIMBALLO RUCI

Visto che siamo in timballo, tim-balliamo. Ecco un dolce molto particolare, chiamato in origine timballo di riso ruci o aruci.

Fate cuocere circa 300 grammi di riso in due litri di latte. Sarà cotto dopo circa 15-20 minuti dal bollore. Aromatizzate con buccia grattugiata di limone e arancia.

Preparate una crema come di vostra abitudine, includete alla fine le bucce di un limone e un’arancia tagliata a fettine sottilissime. In uno stampo cilindrico e apribile spennellare la marmellata di albicocche e spolverate con lo zucchero.

Riempite lo stampo alternando strati di riso a strati di crema, tra uno strato e l’altro inserite frutta di stagione a piacere, preferibilmente impiegate arance, spolverate con lo zucchero e aromatizzate con una spruzzata di malvasia.

Fate raffreddare e solidificare in frigo per molte ore.

Timballo dolce

P.s. Finito di mangiare tutti i timballi congelate il brodo del pollo del timballo numero due, con l’avvertenza di tirarlo fuori dal freezer dopo le feste per una salutare pastina.

Non occorre la prescrizione medica.

[CREDIT: FOTO ALFIO BONINA]

Sicilia: i 25 migliori ristoranti del 2016

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Se nel 2016 vi siete accomodati al tavolo di qualche buon ristorante siciliano sapete da voi che si è trattato di un anno prospero.

“Tradizione” è stata la parola chiave anche nell’anno che sta per concludersi, spesso interpretata con calore e saggezza. Ma non sono mancati gli chef capaci di eseguire la cucina dell’Isola in modo misuratamente diverso e comunque pieno di intuizioni.

Se invece non siete stati in Sicilia, ma contate di rimediare prima possibile, allora vi tornerà utile la guida di fine anno compilata da Dissapore.

Siamo stati in molti ristoranti siciliani per decidere quali fossero i 25 migliori del 2016, prima di scorrere la lista però vi spieghiamo in breve i criteri adottati per stilarla.

Cucina

Il ruolo dello chef sta cambiando. Ma al netto di questa trasformazione il punto resta quello: la cucina. Aldilà delle capacità comunicative o imprenditoriali, come cucina questo chef? Come abbiamo mangiato?

Atmosfera

Le cose che ci mettono a nostro agio. Al ristorante si va per assaporare, certo, ma anche per capire quello che lo chef vuole comunicarci con i suoi piatti, per assaporare l’atmosfera del suo locale, l’arredo, i colori, i particolari.

Servizio

Il personale è riuscito a farci sentire clienti speciali? Il sommelier è stato il nostro angelo custode, attento a ogni minima esigenza, ma senza risultare invadente? Il maître non si è adombrato per la rinuncia al super-menu-degustazione da nove (9) portate, che francamente non ci sentivamo di affrontare? Anzi ha sorriso compiacente alla nostra richiesta di scegliere un paio di piatti dal menu.

Rapporto qualità/prezzo

Alla fine dei conti, arriva il conto. Ne è valsa la pena? Attenzione, non parliamo del locale più economico, perché anche uno costoso può avere un buon rapporto qualità prezzo. Parliamo di quello che ci permette di fare una vera esperienza culinaria (come si dice oggi).

Coerenza

E’ un criterio che le tradizionali guide dei ristoranti non tengono in grande considerazione. Invece è importante. C’è concordanza tra le portate del menu, tra il luogo in cui siamo e la personalità dello chef?

Pietanze di ispirazione esotica in un ristorante che fa del chilometro zero la sua filosofia c’entrano ben poco. Come il piatto della nonna inserito nel menu del ristorante di un giovane chef creativo soltanto perché di moda.

Bene, detto questo siamo pronti a raccontarvi la classifica dei 25 migliori ristoranti di Sicilia del 2016.

25# NON ASSEGNATO

E’ la posizione che lasciamo alla vostra immaginazione casomai avessimo dimenticato un ristorante in qualche modo decisivo.

*Ci sarebbe piaciuto provare Cuvée du jour di Carmelo Trentacosti, ma a causa di un’apertura stagionale molto limitata non è stato possibile, ecco perché è assente da questa classifica. Rimedieremo il prossimo anno. Non sorprendetevi se mancano i ristoranti delle Eolie: meritano una classifica a parte.

24# ANDREAS (TAORMINA) – ANDREAS ZANGELR

Un caso fortunato. Uno dei pochi che combina in modo piacevole le origini austriache dell’esperto chef e proprietario Andreas Zangelr con la ricchezza degli ingredienti siciliani

Andreas Zangelr

Dopo la lunga permanenza al ristorante Casa Grugno, stella Michelin fino al 2012, e al ristorante Bellevue dell’hotel Metropole di Taormina, Zangelr oggi propone una cucina accessibile, senza fronzoli che presenta l’unico rischio di sminuire il suo talento.

Andreas - Taormina

Andreas

Si vive una serata spontanea e informale all’Andreas di Taormina, dove prevalgono i toni smorzati del rosso.

Voto: 67/100

23# GAGINI (PALERMO)

Lo scenario è quello della Vucciria, lo storico mercato palermitano. Il ristorante Gagini, con il suo fascino spartano, è il completamento ideale del luogo in cui si trova, ancora oggi curioso e interessante.

Gagini - Palermo

Gagini - Palermo

L’arredo volutamente fuori moda, scelto forse in un negozio di modernariato, fa da quinta ideale per le classiche scene della Vucciria che è possibile sbirciare dalla vetrata.

Voto: 69/100

22# IL CARATO (CATANIA) – CARLO SICHEL

Un bancario diventato chef che porta il suo ristorante nella lista dei migliori di Sicilia, possibile? Forse per buona parte dei suoi colleghi no. A noi invece è piaciuto molto.

Carlo Sichel è interprete di una cucina semplice ma con piatti armoniosi e ben bilanciati, profumati, dai gradevoli colori bruni, senza eccessi gratuiti e altre tracotanze da cuoco viziato.

Risotto fumo - Il Carato (CT)

Calamaro - Carlo Sichel - Il Carato (CT)

Se poi è la serata giusta, con il vino abbinato al cibo come solo Sichel sa fare, allora vale la pena fermarsi a lungo al Carato, nonostante l’ambiente non regali emozioni particolari.

Voto: 69/100

21# ZASH (RIPOSTO) – GIUSEPPE RACITI

Un palmento immerso nella natura ospita Zash: autodefinizione “country boutique hotel”. Un posto dove si sceglie di andare, destinato a clienti dai gusti evoluti. Qui su Dissapore continuiamo a chiamarli gastrofanatici.

Zash

Per contro, lo chef è giovane e umile, sebbene abbia già esperienze di tutto rispetto.

Giuseppe Raciti - Zash

Nei suoi piatti traspare un senso di gratitudine verso le esperienze che lo hanno fatto crescere, le tappe importanti della sua formazione.

Per esempio in ‘come un quadro di Pollock’ dedicato allo chef Massimo Mantarro, da cui prende ispirazione.

Come un quadro di Pollock - Giuseppe Raciti - Zash

Per il resto abbiamo assaggiato gloriose tempure, le migliori della lista, e altri piatti di una bellezza magnetica che andrebbero servite con un pizzico di attenzione in più da parte del personale di sala.

Voto: 72/100

20# LA FENICE (RAGUSA) – CARLO RUTA

Un ristorante d’albergo con qualcosa in più. A fare la differenza è l’attitudine all’accoglienza dimostrata da La Fenice, una stella Michelin. In particolare dal maître sommelier Marco Muriana, affidabile punto di riferimento della sala.

Tra mise en place a volte stravaganti e sapori concentrati, i piatti dello chef Carlo Ruta sono piccoli manuali di tecnica culinaria.

OLYMPUS DIGITAL CAMERALa fenice - Ragusa

Pavimento in legno, divani in pelle e una sala circondata da grandi vetrate. Ambiente moderno non privo di un certo calore.

Voto: 73/100

19# CORIA (CALTAGIRONE) – COLONNETTA E PATTI

Hanno l’aria del gatto e la volpe, ma intendiamoci, l’accoppiata tra lo chef dinamico e comunicativo e l’altro, più ombroso e taciturno, è vincente.

Coria

Gli chef sono Domenico Colonnetta e Francesco Patti. Il ristorante è Coria, una stella Michelin, ristrutturato da poco (e meno male).

Adesso è un posto di temperamento, caldo, contemporaneo e in movimento. Con l’interno diviso in due piccole stanze che accolgono senza troppe formalità, con leggerezza e spirito.

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Coria - Caltagirone

Entusiasti del cambiamento e pragmatici, interpreti di una cucina leggera e raffinata, gli chef si dividono i ruoli.

Così facendo riescono a mantenere immutato il livello dell’offerta di Coria e a dedicarsi a tante altre attività, che per ora non li hanno distratti troppo.

Spaghettoni - Coria

Coria

Voto: 75/100

18# DONNA CARMELA (RIPOSTO) – ANDREA MACCA

Un ampio giardino con ulivi secolari, piante mediterranee e tropicali. E’ questa la scenografia che vi accoglie a La cucina di Donna Carmela, ristorante tra l’Etna e il mare, complicato da trovare se non si vive nella zona.

Donna Carmela - Riposto (CT)

Donna Carmela - Riposto (CT)

Impeccabile il servizio con la presenza discreta ma rassicurante del sommelier Alessandro Mancuso.

Andrea Macca è uno chef da tenere d’occhio, fa scelte personali e i suoi piatti rendono evidente la volontà di andare oltre, alla conquista di nuovi riconoscimenti.

Donna Carmela - Riposto (CT)

Tra piatti belli e scenograficamente presentati manca forse un po’ di costanza, altrimenti Donna Carmela sarebbe molto più in alto.

Voto: 75/100

17# AL FOGHER (PIAZZA ARMERINA) – ANGELO TRENO

Non prendetelo per un anonimo locale di passaggio, anche se visto da fuori potrebbe sembrarlo. Al Fogher vale la sosta, eccome se la vale.

Quasi un ristorante di montagna, accogliente e caldo, sembra fatto per la convivialità delle feste. Il luogo ideale per un pranzo di Natale consumato fuori casa.

Al Fogher - Piazza Armerina

Cucina mediterranea a base di arrosti e selvaggina con impiattamenti in stile nordico, insolito a queste latitudini. Ma “insolito” è anche lo chef.

Angelo Treno - Al Fogher - Piazza Armerina

A guardarlo sembra un cuoco vecchia maniera, invece sono le piccole licenze che si prende, unite a una grande confidenza con la cucina d’autore, a renderlo indispensabile nella scena siciliana.

Piatti di territorio interpretati con intelligenza e spirito evoluto.

Al Fogher - Piazza Armerina

Voto: 76/100

16# SHALAI (LINGUAGLOSSA) – GIOVANNI SANTORO

Siamo sul versante più bello dell’Etna. Il ristorante Shalai, stella Michelin conquistata appena un anno fa, si trova in un palazzo ottocentesco ristrutturato, imponente ma silenzioso, che ospita a pian terreno due piccole sale volutamente poco illuminate.

Shalai - particolare esterno

Shalai interno

Ma più che misteriosa, la cucina di Giovanni Santoro riscalda il cuore, in sintonia assoluta con i sapori che la montagna regala generosa.

Esemplare la vitellina a punta di coltello servita con fonduta di formaggi e bacche di ginepro dell’Etna, presentata in una cloche che esalta la perfetta affumicatura agli aghi di pino.

Voto: 76/100

15# VOTAVOTA (SAMPIERI) – CAUSARANO E COLOMBO

Il Votavota è l’unico temporary restaurant di questa classifica. Luminoso chalet lungo il mare di Sampieri, struggente a fine stagione, è riuscito a imprimere un ricordo indelebile nei fortunati che l’hanno provato.

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Un’esperienza fugace durata 150 giorni, dal 4 giugno al 31 ottobre 2016 con Peppe Causarano e Antonio Colombo in cucina, bravi a impreziosire con spunti personali l’ottima cucina di pesce.

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Nonostante la giovane età i due chef hanno gestito il ristorante temporaneo intuendo le esigenze dei clienti, adattando le loro potenzialità pur di dare il meglio.

Votavota - Sampieri

Voto: 78/100

14# OTTAVA NOTA (PALERMO) – VLADIMIRO FARINA

Vicino al  Foro Italico, nella silenziosa via Butera dei palazzi nobiliari di fine ottocento, colpisce questo ristorante ben illuminato, dall’aspetto sobrio e lineare, che sembra un posto estremamente a modo. Anche un po’ serioso.

Ottava Nota - Palermo

Ottava Nota - Palermo

In realtà, trascorrendovi la serata, noterete come all’Ottava Nota non manchi mai una sottile vena di allegria.

Già nel servizio, cordiale, pratico e spontaneo, per non parlare dello chef, Vladimiro Farina, spiritosamente in posa per questa foto.

Vladimiro Farina - Ottava Nota - Palermo

I suoi sono piatti sfiziosi, allegri appunto. Raccontano il territorio ma con invenzioni spiritose e qualche stravolgimento riuscito come le insolite presentazioni.

Ottava Nota - Palermo

Se volete cenare all’Ottava Nota ricordate di prenotare con ampio anticipo, parliamo di uno dei locali più frequentati di Palermo.

Voto: 78/100

13# FATTORIA DELLE TORRI (MODICA) – PEPPE BARONE

La Fattoria delle Torri era in origine un teatro nel centro di Modica. Una buona ristrutturazione ha regalato interni romantici piacevolmente sottolineati dalle linee squadrate dei divani verdi.

Fattoria delle Torri: dolce

Nella prima metà del 2016 la cucina è stata affidata al palermitano Ninni Radicini poi passato alla Locanda Gulfi. Adesso il patron Peppe Barone, che è stato maestro di tanti cuochi siciliani, si è di nuovo intestato la cucina con l’aiuto di due giovani allievi, Emilia Iacono e Gianluca Cataldi.

Il pranzo è un viaggio attraverso la Sicilia: dalle campagne intorno a Modica alle ghiaie di Milazzo, fino alle dune di Santa Maria del Focallo.

Fattoria delle Torri: verdure

FAttoria delle Torri: spaghetti alla chitarra

Voto: 79/100

12# CROCIFISSO (NOTO) – MARCO BAGLIERI

Quella del Crocifisso di Noto è la cucina più intimamente legata alla tradizione siciliana.

PAsta con le sarde - Crocifisso - Marco Baglieri

Pane Panelle e gambero rosso - Crocifisso - Marco Baglieri

Marco Baglieri però è riuscito in una piccola impresa: mescolare meglio di come hanno fatto altri la storia della cucina isolana, salvaguardando la contemporaneità.

E senza sbavature in entrambe le direzioni.

Crocifisso - Marco Baglieri

Carattere pienamente local anche negli interni, contemporanei sì ma capaci di non far sentire fuori posto un siciliano

Voto: 79/100

11# QQUCINAQUI (CATANIA) – BIANCA CELANO

La solidarietà femminile non c’entra. Bianca Celano è un concentrato di astuzia e sicilianità, timidezza e senso pratico, carattere e fare sardonico.

Tutte doti che si riflettono nei suoi piatti, oggi tra i più interessanti dell’Isola, preparati nella cucina a vista del locale di via Umberto: per metà un ristorante, per l’altra il suo loft.

Bianca Celano

Sempre curiosa la mise en place, con molte idee da rubare e sperimentare a casa, apprezzata soprattutto nel tavolo sociale al centro del locale.

In estate un bel dehors regala piacevolezza e maggiore intimità.

Bianca Celano

Qqucinaqui

Voto: 79/100

10# L’OSTE E IL SACRESTANO (LICATA) – PEPPE BONSIGNORE

Immaginate di attraversare una via popolare nel centro storico cittadino, non di quelli imbellettati da un recupero forzato ma lasciato com’è. Una via che attraversando la marina di Licata conduce al porto, dove s’incontrano cani randagi e si calpestano le acqua reflue delle pescherie.

Se vi fermate all’Oste e il Sacrestano ad accogliervi trovate Beppe Bonsignore, con lo stile di un signorotto di campagna diventato oste, ma che cucina come uno chef stellato.

Peppe Bonsignore - L'oste e il sacrestano

L’Oste e il Sacrestano meriterebbe una recensione a parte, tutta sua, che racconti la grazia verace dei piatti di pesce e delle verdure.

Piatti estrosi, dalle presentazioni non convenzionali che da soli valgono il viaggio in Sicilia.

Focaccia di pane e gambero rosso - L'oste e il sacrestano

Polpo - L'oste e il sacrestanoSushi di zucchina - Oste e il Sacrestano

Voto: 80/100

9#ACCURSIO (MODICA) – ACCURSIO CRAPARO

Accursio Craparo avrà avuto i suoi buoni motivi per andarsene da La Gazza Ladra di Modica dopo aver conquistato la stella Michelin.

Fatto sta che quel ristorante ora ha chiuso mentre Craparo si è ripreso la stella in un locale tutto suo. Dietro i modi cortesi e affabili deve nascondersi un carattere di ferro.

Accursio Craparo - Modica

Abbiamo già detto della predilezione per le presentazioni che non passano inosservate, quasi scultoree, come “il carciofo” e “la castagna”.

Accursio - Modica

Legata alla terra l’ambientazione del ristorante, che riprende spesso i colori della natura, degli alberi e dei prati.

Voto: 81/100

8# Il BAVAGLINO (TERRASINI) – GIUSEPPE COSTA

Bianco candido alle pareti per il Bavaglino, contrappuntate da un pavimento in maiolica degli anni Venti e dalla presenza di una scultura moderna che ricorda un albero. Tutti e due coloratissimi.

Ristorante piccolo, dall’arredo essenziale, con un terrazzo impiegato solo nella bella stagione che affaccia sul mare di Terrasini.

Il Bavaglino - Terrasini

Giuseppe Costa - Baglino - Terrasini

Nella cucina di Giuseppe Costa la tradizione ha un ruolo fugace, il suo sguardo è rivolto verso il futuro ma senza concessioni alle mode passeggere.

Uno chef da seguire con attenzione, a metà tra quelli che modernizzano la cucina del passato, ravvivandola, e gli specialisti che inventano la cucina contemporanea.

Polpo - Il Bavaglino - Terrasini

Visti gli spazi ristretti, capita a volte di intercettare qualche lavata di capo rivolta dallo chef ai suoi aiutanti, sempre abilmente dissimulata dal personale di sala, specie la sommelier, calma e sorridente in ogni occasione.

Voto: 81/100

7# BYE BYE BLUES (MONDELLO) – PATRIZIA DI BENEDETTO

Eleganza e atmosfera raffinata. Tutto al Bye Bye Blues di Mondello, dall’ambiente al servizio, dalla cucina allo chef, parla la stessa lingua.

Bye Bye Blues - Palermo

Un locale che incanta come la sua chef e proprietaria, Patrizia Di Benedetto.

Sguardo siciliano, occhi felini e naso pronunciato, carattere mite e saggio, intenso e graffiante, che come un gatto osserva senza mai abbassare gli occhi.

Patrizia sa come si sovvertomo le regole. A iniziare dal ruolo delle donne nelle cucine professionali.

Patrizia Di Benedetto - Bye Bye Blues

Una cucina alleggerita dagli eccessi classici di molti piatti siciliani. Se non fosse perché gli ingredienti restano quelli tipici dell’Isola si potrebbe parlare di ispirazione giapponese.

Bye Bye Blues - Palermo - Gelo di cannella

Voto: 82/100

6# LA CAPINERA (TAORMINA) – D’AGOSTINO

Freschezza, salse dalle nuance vivaci, improvvisazione ragionata. Che sia estate o inverno questa è la cucina di Pietro D’Agostino, chef de La Capinera.

Pietro Dagostino - Chef La Capinera

Riservato, poco incline a scoprire tutti gli aspetti della sua natura di cuoco, rivela sensibilità e talento (anche cromatico) con piatti come i tagliolini al nero con tagliatelle di seppioline e mentuccia peperita, passatine di pomodoro siccagno e cipollotta di Giarratana.

La Capinera - Taormina - Taglioni al nero di seppia

E poi crudi e crostacei memorabili, infine il pomodoro, altro tema ricorrente della sua cucina.

Completa il quadro la scenografia del ristorante, dove prevalgono il bianco e le grandi vetrate che lasciano vedere il mare azzurro di Taormina.

La Capinera - Taormina

Voto: 82/100

5# I PUPI DI BAGHERIA – TONY LO COCO

I Pupi è il ristorante siciliano che precede nella classifica di Dissapore quelli con due stelle Michelin. Merito della cucina irresistibile di Toni Lo Coco, che trasferisce sensualità e altri aspetti della sua personalità nei piatti del locale.

Toni Lo Coco - I Pupi - Bagheria

Un percorso seducente, quello di 7 portate del menu di mare che riesce a essere prima delicato poi sapido, deciso, addirittura viscerale come nella stigghiola di tonno rosso.

Stigghiola di tonno - Toni Lo Coco - I Pupi - Bagheria

Anche la piccola sala racconta buon gusto e audacia, con un servizio che rispetta formalmente le regole dei ristoranti stellati ma senza la grazia che ci si potrebbe attendere.

Nota Bene: tra i menu degustazione de I Pupi ce n’è uno, con tre portate al costo di 35.00 euro, che è il più economico proposto dai ristoranti stellati siciliani.

Voto: 85/100

4# LA MADIA (LICATA) – PINO CUTTAIA

Lo hanno scritto tante volte che la cucina di Pino Cuttaia riesce a ipnotizzare tanto è ben fatta, un invito continuo al gioco, quasi fossimo bambini da meravigliare, spesso intriso di ricordi.

Cos’altro è se non una storia raccontata con talento e carisma naturale la pasta e minestra di crostacei con granella di mandorle, che lascia un pentolino sulla tavola per ricordare la generosità siciliana, a volte anche eccessiva.

La Madia - Pino Cuttaia - Pentolino per il bis

Dalla ricciola cotta in olio di cenere con i gusci di mandorla accesi proviene un profumo di brace indimenticabile. Momenti di vita siciliana fermati da un profumo, adattamenti stellati della tavole domestiche dell’Isola.

Pino Cuttaia - La Madia - Licata

Obiettivo de La Madia, che ha subìto una profonda ristrutturazione alla quale Dissapore non è completamente estraneo, è fare da sfondo il più possibile neutro alla successione entusiasmante delle portate di Cuttaia.

Una timida stella sempre più brillante.

La Madia - Licata

Voto: 86/100

3# IL DUOMO (RAGUSA IBLA) – CICCIO SULTANO

Ciccio Sultano è una divinità di Trinacria. Il migliore tra gli chef nella comunicazione, è diventato anche un abile imprenditore. Le sorti della gastronomia isolana sembrano essere nelle sue mani, come testimoniano i giovani chef che gli rendono omaggio con tanto di piatti dedicati.

Nel suo ristorante, Il Duomo di Ragusa Ibla, lo incontrerete in ogni angolo: nello stile dandy dell’arredo, in quello da studioso della tradizione siciliana dei piatti, nella sua stessa firma sull’etichetta del vino.

Un carattere istrionico e comunque divertente, completato dalla professionalità e cortesia del personale di sala con lo stile meravigliosamente teatrale del sommelier in grande evidenza.

Sommelier - Duomo di Ciccio Sultano

Quanto alla cucina, Sultano è ormai una specie di prestigiatore che presenta paccheri in piedi, gamberi in aria, ali che volano e nuvole che si sciolgono.

Duomo di Ciccio Sultano

Duomo di Ciccio Sultano

Duomo di Ciccio Sultano

Ricercatore mai stanco degli ingredienti più introvabili di tutta la Sicilia, affascina sia per la padronanza delle tecniche contemporanee che per la conoscenza del territorio.

Occhio: pranzi e cene che lasciano satolli al limite dell’impegnativo.

Voto: 87/100

2# LOCANDA DON SERAFINO (RAGUSA) – VINCENZO CANDIANO

Alla Locanda Don Serafino, ex stalla in pietra di Ragusa Ibla, l’approccio con la cucina siciliana è più semplice e immediato rispetto al Duomo di Ciccio Sultano.

Locanda Don Serafino

Una scelta che sulle prime potrebbe lasciarvi spiazzati, ma vi stiamo raccontando il caso in cui le cose semplici sono anche le migliori.

Locanda Don Serafino

Locanda Don Serafino - Ragusa Ibla

Dei piatti istintivi e diretti, quasi fossero le portate di un pranzo domestico, stupisce la perfezione. Una ricerca precisa dei sapori desiderati che risultano quasi scolpiti.

Un risultato eccezionale facilmente percepibile da chiunque, che nasconde tuttavia una padronanza del mestiere fuori dal comune.

Vincenzo Candiano - Locanda Don Serafino

Merito di Vincenzo Candiano, tratti arabi e carattere orgoglioso, cauto e lungimirante. Chef in ascesa che nei dolci riesce addirittura a esaltarsi.

Locanda Don Serafino - Ragusa Ibla

I suoi sono probabilmente i migliori di tutta la Sicilia, e le proposte del menu ne fanno oggi il miglior pasticcere siciliano del 2016.

Voto: 91/100

1# PRINCIPE DI CERAMI (TAORMINA) – MASSIMO MANTARRO

Il Principe di Cerami è il ristorante siciliano migliore del 2016 secondo Dissapore.

Non l’unico capace di far sentire i fortunati commensali al centro di una favola, ma quello che negli ultimi tempi riesce a farlo meglio.

Per la bellezza che stordisce del posto. Per l’impostazione francesizzante del servizio. Per lo stile coinvolgente della cucina siciliana.

Principe di Cerami

Sette tavoli, poltrone comode, moquette spessa, tende sinuose, sommelier e camerieri discretamente a disposizione, clientela internazionale che assapora visibilmente compiaciuta, anche in solitudine, le portate del menu.

E poi ancora infinite possibilità di scelta. Il pane, la carta dell’acqua, degli oli, dei caffè, dei vini. Nella bella stagione un terrazzo con vista sull’Etna a Taormina, la più bella città siciliana.

Lo chef, Massimo Mantarro, è sicuramente tra i più bravi dell’Isola, ma non il più famoso. Schivo, sincero, concreto, infaticabile. Parla del suo lavoro come lo farebbe un qualunque appassionato, senza spocchiosità da imporre.

Massimo Mantarro - Principe di Cerami

In estate la sua cucina si esalta, come nella norma fuori dalla norma con spaghettoni, melanzane perline, pomodoro liscio tondo, una montagna di ricotta salata e gambero rosso di Mazara.

Semplicità alternata ad eleganza estrema come nella trasparenza di gambero, piatto composto da Mantarro con ricercatezza e grazia.

Massimo Mantarro - Principe di Cerami

Da provare almeno una volta le chips che lo chef ricava da ogni ingrediente, aromi, ortaggi, basilico o carciofi.

Come il remake della cassata. E’ abile anche nel rivisitare i classici, Mantarro, una tappa obbligatoria e impegnativa per ogni chef siciliano.

Cassata - Massimo Mantarro - Principe di Cerami

Nota Bene: Principe Cerami, aperto soltanto da Aprile ad Ottobre, è anche il più costoso della nostra classifica con il menu degustazione a 150 euro. E’ anche l’unico che richiede la carta di credito al momento della prenotazione e la giacca per gli uomini.

Voto: 93/100

[CREDIT – FOTO ALFIO BONINA]

Guida passionale per comprare e mangiare alla Pescheria di Catania

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Non avrà lo status di un capolavoro del barocco, ma una ragione ci sarà se la Pescheria è tra le mete obbligatorie per i turisti che visitano Catania.

Sarà l’impronta da bazar arabo, o la veracità delle abitudini siciliane, come quelle dei venditori che all’alba montano i banchi del pesce intonando canzoni romantiche. Oppure i proverbi, i famosi proverbi dei pescivendoli catanesi.

Abbiamo passato 24 ore tra i profumi e colori del mercato del pesce che per i catanesi è semplicemente a piscaria.

Cercando di capire cos’è, cosa si compra, se è vero che il pesce buono a Catania si trova soltanto tra i banchi di marmo striati di rosso e bagnati dell’acqua in questo angolo imperdibile.

IL MERCATO DEL PESCE

Pescheria di Catania

Cominciamo così: come ci si deve comportare? Tra chi vende e chi compra gli ammiccamenti sono continui e spesso incomprensibili per l’avventore occasionale, che potrebbe sentirsi smarrito.

Alcuni pescivendoli vi diranno che bisogna affidarsi, tanto a piscaria il pesce è buono tutto, ovunque e a qualunque orario. Riceverete molte rassicurazioni mute, affidate allo sguardo che dice senza dire, che lascia intendere.

Traducendo dalla mimica catanese il significato è: ci siamo capiti.

Se non vi basta, se il dubbio permane, eccovi alcuni consigli per non prendere cantonate, da accompagnare comunque con una santa dose di pazienza.

1# Camminate a lungo prima di comprare

Non comprate senza aver prima camminato a lungo per la Pescheria, perché in questo caso l’istinto non è un buon consigliere.

Fate dunque un bel giro di perlustrazione, anzi, fatene più di uno. Girate, osservate. Un’ora, anche due. Un’intera mattinata. Guardate sempre l’allestimento dei banchi, capirete quali pescivendoli espongono alla buona nella frenesia del vendere, e chi invece dispone con cura la sua mercanzia, perché sa che la fiducia si conquista anche attraverso i dettagli.

Pescheria di CataniaPescheria di Catania: nero di seppia

Sarete ipnotizzati dall’acqua dove navigano le seppie, nera ma non sporca, e dagli schizzi dei pesci che non si arrendono alla morte.

Dalla sapienza dei gesti di uomini abituati a vivere di pesce da quando sono nati.

Pescheria di Catania: masculiniPescheria di CataniaPescheria di Catania

Il mercato non è grande, interessante che a ognuna delle tre piazzole confinanti corrispondano diversi modi di comprare.

La prima piazzola è al coperto, ill tunnel scavato sotto Palazzo del Seminario dei Chierici e le mura di Carlo V, di fronte agli Archi della Marina, ha l’aspetto di un vero ingresso.

Qui dimora da tempo immemorabile uno dei banchi da frequentare, quello di Giovanni detto u straburutu per via del fatto che da bambino era solito smarrirsi tra i banchi della pescheria, con l’intero quartiere che s’impegnava a ritrovarlo.

Pescheria di Catania

Pescheria di Catania

Il secondo spazio, circondato da trattorie, si trova in piazza Pardo.

Da dove parte una viuzza colma di macellerie e fruttivendoli che mettono in bella mostra piramidi di olive consate. Per qualche minuto le narici si riempiono di un profumo diverso da quello del pesce.

Pescheria di CataniaPescheria di Catania

In queste piazzole l’assortimento imponente di alcuni banchi, con molluschi pesci e crostacei di ogni taglia e varietà, li fa somigliare ad autentiche botteghe del pesce.

Il terzo spazio, in piazza Alonzo di Benedetto, si trova proprio sotto la maestosa piazza Duomo. Qui i banchi più grandi vengono rimpiazzati da un viavai frenetico di piccoli pescatori, che raggiunge il suo culmine intorno alle 10.00.

Pescheria di Catania

2# Non andate con l’idea di comprare quel certo pesce

La varietà del pesce che si trova alla Pescheria permette di sbizzarrirsi. La cosa migliore è lasciarsi pilotare dall’offerta. Se per esempio vi imbattete in una grande quantità di masculini oppure di triglie, quello evidentemente è il periodo giusto per acquistarle.

In caso contrario, anche se avevate in mente di cucinare proprio le triglie, meglio lasciar perdere e indirizzarsi su altro.

Pescheria di Catania: trigliePescheria di Catania: masculine da magghia

3# Non vi fate influenzare dai prezzi

Non lasciate che per voi decida il costo del pesce, nel bene e nel male. Non sempre il più buono è quello più caro, e viceversa. Conta di più scegliere il momento buono per spuntare il prezzo migliore.

PEscheria di CataniaPescheria di Catania

4# Dimenticate il mordi e fuggi

No, non siete nel posto giusto. Prendetevi una (anche due o tre) decina di minuti in più, fermatevi a parlare con i pescivendoli, origliate i commenti dei clienti abituali, presentatevi e fate loro delle domande.

Pescheria di Catania

Ne trovate parecchi a metà mattinata sistemati sul lato di piazza Alonzo, appollaiati sulle ringhiere quasi fossero colombe per passare il tempo, osservare, commentare lo spettacolo che per loro è pane quotidiano.

Pescheria di Catania

Sommi esperti della Pescheria, saranno per voi ciceroni, narratori, pescatori e chef per caso. Da loro saprete vita, morte e miracoli del pesce bellu e sangusu, aspettatevi anche i migliori consigli su cosa comprare quel giorno, dove, e come cucinarlo.

5# Diventate clienti abituali anche se siete in vacanza

Affidarsi per poi sentirsi uno di loro è la cosa migliore. Con le mattinate spese al mercato avrete acquistato lo status di cliente conosciuto e rispettato dal vostro pescivendolo di fiducia che vi indirizzerà verso il pesce migliore.

Così sarete un pò più sicuri di quel che comprate.

Pescheria di CataniaPescheria di Catania

Mangiare alla pescheria

Continuate a seguirci anche se siete andati alla Pescheria soltanto per visitarla, abbiamo dei consigli per voi.

Trattoria La paglia

In piazza Pardo, proprio di fronte alle bancarelle del pesce, si pranza bene senza troppi sofismi alla trattoria La Paglia, un piccolo locale alla buona, con pochi tavoli, purtroppo spesso occupati dai turisti.

Trattoria la pagliaTrattoria la paglia

Aperta addirittura dal 1812, serve pochi e semplici piatti da cinque generazioni. Come comprensibile la tradizione va alla grande, le sarde a beccafico, con rigorosa ricetta catanese, sono ottime, come del resto la pasta con il nero di seppia o l’insalata di polpo.

Trattoria la paglia: sarda a beccaficoTrattoria la pagliaTrattoria La Paglia: spaghetti vongole

La saletta è il regno di Ignazio, magro, energico, capelli scuri e grandi occhi neri. Non parla molto, lo fa solo solo per rispondere alle domande dei clienti.

Conosce la Pescheria come le sue tasche perché qui è nato e qui lavora fin da bambino, se glielo chiedete vi risponderà che non se ne andrebbe per nessuna ragione al mondo.

Dai tavoli della trattoria, attraverso una vetrata che affaccia su piazza Pardo, si può assistere alla fase finale del mercato, quando i pescivendoli iniziano a smontare i banchi, si dedicano a lavaggi e pulizie, lasciano i bocconi per i gabbiani.

Trattoria Mm

Atmosfera diversa alla Trattoria Mm, un tempo macelleria del signor Marino e poi, subentrati i figli, trasformata in una trattoria unica in città, per il posto e la cucina.

Trattoria mmsenza titolo-6

Grande, in ferro, perennemente rotto, il portone lascia intravedere da un grande oblò il tipico marmo bianco venato che ricopre le pareti delle macellerie. I clienti sono soprattutto catanesi alla moda, che hanno eletto la trattoria al ruolo di buen retiro serale. Il servizio è affidato a uno dei fratelli Marino.

I piatti del menu, rappresentando bene la stravaganza di chi li cucina, non seguono un filo prevedibile o logico, e spesso non sono neanche i soli che è possibile provare.

Trattoria Mm: fritto misto

Stuzzicando il cuoco, il secondo e più bizzarro dei fratelli Marino, scoprirete che oltre alla pasta con il nero delle seppie, riproposta con audacia nell’antica versione con i piselli, si potrebbe provare una carbonara impazzita che vale la pena: spaghetti con curcuma, cozze, bottarga e scorza di limone.

Trattoria Mm: spaghetti curcuma e bottargaTrattoria Mm: spaghetti curcuma e bottarga

trattoria Mm: Carmelo Marino

Scirocco Lab

Chi vuole restare in zona fino a sera tarda può approfittare di Scirocco sicilian fish lab, specializzato in fritturine di pesce avvolte nei tradizionali cartocci di carta paglia.

Pescheria di Catania: SCIROCCOPescheria di Catania: SCIROCCOPescheria di Catania: SCIROCCO

Un take away proprio ai lati di piazza Alonzo, vicino alla fontana dell’Acqua o linzolu, immerso nella zona notturna della pescheria, che vista l’ora diventa ancora più grigia e intensa.

Tenebrosa ma non scura, ferma ma non inerte, ancora piena di vita.

Fontana dell'amenano

[CREDIT: FOTO ALFIO BONINA]

I migliori cannoli siciliani di Palermo: Prova d’assaggio

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Abbiamo brigato assai per darvi la ricetta autentica, ma non ci è bastato. Allora siamo saliti sul primo volo per Palermo, con l’obiettivo di darvi una Prova d’assaggio mai vista finora: i migliori cannoli –simbolo dei dolci siciliani di Carnevale– che si fanno nelle pasticcerie di Palermo.

I contendenti sono dieci, la scelta delle pasticcerie mescola mostri sacri, nomi consolidati e qualche emergente. Un po’ di precisazioni prima di cominciare. La religione del cannolo palermitano è organizzata intorno a 3 comandamenti: non avrai altra farcia fuorché la ricotta; onora la scorza riempiendo il cannolo sul momento; non rinunciare mai ai canditi, sempre presenti.

Comandamenti rispettati da tutte le pasticcerie della lista, a differenza di quanto avviene in altre città siciliane, dove l’approccio al cannolo è meno dogmatico.

Nel test abbiamo valutato separatamente scorza, ricotta e canditi, l’insieme dei tre giudizi ha composto quello finale.

ANTICO CAFFE SPINNATO

Si dice in Sicilia che “se della gallina ne vale la pelle, del cannolo ne vale la bolla”. E nel cannolo di questa rinomata pasticceria in centro a Palermo, sobria ma comunque tra le più eleganti della città, la bolla attrae subito lo sguardo.

Cannolo Pasticceria Spinnato

Generosa al punto di scoppiare, esalta la leggerezza della scorza in cui è immersa, di un bel color bronzo leggermente troppo marcato.

Va meno bene con la ricotta, che appare lucida e troppo virata verso il colore crema.

Cannolo Pasticceria Spinnato

Nota di merito: non eccede in dolcezza questa ricotta, e anche i canditi, nonostante lo spessore maxi, risultano gradevoli. Come da ricetta non mancano le gocce di cioccolato.

Giudizio: volatile (nel senso che è volato via in pochi secondi).

VOTO: 8

NEW PARADISE

Leggete il nome, a cosa vi fa pensare? A una sala giochi sopravvissuta agli splendori degli anni Ottanta, probabilmente, non certo a una pasticceria.

Invece New Paradise è la casetta di marzapane delle favole, il posto dove la voglia di provare tutto diventa incontrollabile, e dove, di conseguenza, non ti aspetteresti di trovare un cannolo in cui l’interno della scorza è foderato da uno strato di cioccolato.

Cannolo New Paradise

Vox populi vox dei. I palermitani definiscono questi cannoli, con un cenno di biasimo, per turisti. E se il cioccolato serve a mantenere croccante la scorza nel tempo, copre il resto e incide pesantemente nel sapore. Che sapore ha, per esempio, la ricotta?

Cannolo New ParadiseCannolo New Paradise

Giudizio: turistico.

VOTO: 6

PASTICCERIA OSCAR

Giochiamo con i nomi. Se esistesse l’oscar del miglior cannolo, nessuno leverebbe alla pasticceria Oscar la nomination per la migliore scorza protagonista, vista la forma squadrata e molto invitante.

Cannolo Pasticceria Costa

Spalanchiamo le bocche: c’è una friabilità che conquista in questa scorza sottile e ben cotta, giusto un filo più di quanto dovuto.

Cannolo Pasticceria Costa

Peccato per i canditi, rotondi e collosi, che fanno bramare una maggiore freschezza. La vita è bella lo stesso.

Giudizio: cinematografico

VOTO: 7,5

PASTICCERIA SAN MICHELE

Senza infamia e senza lode, a voler essere sbrigativi, il cannolo di questa pasticceria che prende il nome dalla vicina Chiesa, un po’ snobbata dai palermitani, sicuramente più di quanto meriti.

Cannolo Pasticceria San Michele

Il primo assaggio rivela una scorza con tracce persistenti di frittura, la ricotta è poco saporita.

Cannolo Pasticceria San MicheleCannolo Pasticceria San Michele

Per contro la frutta candita è fresca, pronunciata nel sapore, tra le migliori di tutti i contendenti.

Giudizio: buoni, ma non si applicano.

VOTO: 6,5

PASTICCERIA CAPPELLO

Stuzzicante l’idea di criticare un luogo sacro della pasticceria palermitana con qualche cavillo dissaporiano sui cannoli. Sarebbe stato stuzzicante se li avessimo trovati questi cavilli.

Cannolo Bar Cappello

Invece il cannolo della pasticceria Cappello, dalla forma appena romboidale convince appieno nonostante l’eccesso di zucchero a velo, che renderà tutto più bello ma rischia di addolcire ulteriormente la ricotta già dolce di suo.

Cannolo Bar Cappello

Giudizio: inappuntabile

VOTO 8

JOSE’

Ecco il cannolo da colpo di fulmine, finalmente. Lo guardi e t’innamori per le sue differenze, imperfetto, ma invitante al punto che addentato il primo passeresti subito al prossimo.

Cannolo Bar Jose

Il cannolo della pasticceria Jose, amata a Palermo per il gelato artigianale, è più grande del solito e senza gocce di cioccolato.

Cannolo Bar Jose

Scorza biscottata e farinosa, chiara e voluminosa, tra tutte è quella che somiglia di più alle scorze preparate in casa. L’assenza quasi totale di bolle ricorda da vicino i cannoli al forno, tradizione unica di Troina, comune in provincia di Enna.

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Bianco-paradisiaca la ricotta cremosa, stemperata dai canditi sottili che abbondano.

Giudizio: autentico

VOTO: 8,5

PASTICCERIA COSTA

Sappiamo che i palermitani se la tirano quando parlano di cannoli (e di cassata). Se poi sono alla pasticceria Costa, luogo gattopardesco come pochi, lo fanno aprendo ulteriormente la o di cannolo, così: cannoooolo.

Lui, il cannolo, si adatta qui alle mollezze di un luogo elegante e snob frequentato dalla Palermo bene, tappa obbligata e barocca per i notabili della città.

Cannolo Pasticcera Costa

Nel lotto dei contendenti questo cannolo ha la forma più tozza, con le estremità –o bocche– molto aperte. La scorza è brunita, leggera e fragrante. Piccole e numerose le bolle.

_DSC0121Cannolo Pasticcera Costa

Interessante la lavorazione della ricotta, lasciata abbastanza grezza, ma dal sapore deciso e persistente. Candito sottile e non stucchevole.

Giudizio: Vic (very important cannolo)

VOTO: 8,5

MAGRI’

Cosa vuoi dire a posti come questo, che mantengono tradizioni familiari, introvabili altrove. La pasticceria Magrì è famosa per aver inventato e mantenuto nel tempo ottimi dolci locali dai nomi minimal: castagna e patata.

Cannolo Pasticceria F.lli Magri

Peccato che la frittura della cialda si senta troppo e finisca per rendere evanescente il gusto della ricotta. Per contro ottimo il candito, delicato e dal sapore pronunciato.

Giudizio: fritto e rifritto

VOTO: 6,5

PASTICCERIA MATRANGA

Cannolo espresso, cioè riempito al momento. Come vistosamente esplicitato da una scritta che compiace molto i palermitani. Non li sentirete mai dire “mi dia due cannoli”, bensì “mi riempia due cannoli”. Di avere cannoli pronti da un’ora non vogliono proprio saperne.

Cannolo Bar Matranga

Ora, tenendoci lontani dalle polemiche, per carità, i catanesi (come la sottoscritta) preferiscono il cannolo già pronto, per morderlo quando l’amalgama tra scorza e ricotta, spinto da pochi minuti di convivenza forzata, si è perfezionato.

Cannolo Bar Matranga_DSC0032

Torniamo a noi: la scorza non abbonda di sapore. Le strisce di frutta candita sono appiccicose e troppo zuccherate. Ricotta piacevolmente cremosa.

Giudizio: piacione.

VOTO: 6

PASTICCERIA ETTORE MATRANGA

Le pasticcerie Matranga sono due, oggi distinte e separate, si tratta comunque di esercizi che appartengono a due fratelli. Il cannolo di Ettore Matranga, attira e convince di più.

Cannolo Bar Ettore MatrangaCannolo Bar Ettore Matranga

Scorza appena farinosa ma dallo spessore inappuntabile. Le arance e le ciliegie candite, rotonde, sono abbastanza evanescenti. Il sapore della ricotta è pieno e soddisfacente, appena troppo dolce, ci sono le gocce di cioccolato.

Giudizio: scultoreo

VOTO: 7,5

Per svolgere la Prova d’assaggio abbiamo provato i cannoli sul momento e poi, dopo averli conservati in frigo, il giorno dopo. La scorza si è mantenuta integra e piacevole, per niente molliccia, e la ricotta ancora fresca.

Il panel di assaggiatori che ci ha aiutato era composto dai primi familiari disponibili, zii e parenti assortiti, tutti comunque mangiatori seriali di cannoli, che anche senza pedigree (a meno di non considerare tale il lavoro dei rispettivi dentisti), hanno evidenziato pareri contrastanti e divergenze, anche se alla fine l’intesa è stata trovata.

Prova d'assaggio cannoli Palermo

Complimenti ai vincitori del test: la pasticceria Josè, che realizza cannoli di carattere e personalità unica, dalla forma che ricorda un po’ i famosi cannoli di Dattilo, nel trapanese; piccoli e dalle bocche spalancate i cannoli della celebre pasticceria Costa, fatti apposta per piacere alla gente che piace.

[CREDIT: FOTO ALFIO BONINA]

Le migliori cassate siciliane di Palermo: Prova d’assaggio

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Gli abbonati al club dei trigliceridi da questa parte, grazie. Altri lettori da allertare: chi mollerebbe tutto seduta stante per fuggire a Palermo, infilandosi volentieri nella prima pasticceria.

Ma che dico la prima!

Siamo su Dissapore, diamine. Dove oggi si celebra il rito raffinato e barocco –poteva esistere un post sul tema senza l’aggettivo barocco?–, al contempo allegro e variopinto della cassata siciliana, e delle 9 più voluttuose pasticcerie palermitane.

 

Se il cannolo, proposto ovunque nell’Isola, identifica il carattere dei siciliani (a proposito, avete letto la nostra classifica palermitana?) la cassata, di origine greca, quando era un dolce di ricotta e formaggio mescolati al miele, trasformato dai romani in focaccia, ne rappresenta lo stile, con Palermo come massima espressione: capu di Regnu per capirsi.

Ecco perché siamo andati nel capoluogo con l’idea di proporvi questa pomposa prova d’assaggio.

Abbiamo valutato: ricotta, gocce di cioccolato, pan di Spagna, glassa, canditi e marzapane. E soprattutto sapore, dove le differenze tra i contendenti sono sottili, e bella presenza, con disparità in questo caso più evidenti. Ragione per cui abbiamo premiato anche la cassata siciliana più bella.

NEW PARADISE

Pasticceria molto frequentata da palermitani e turisti di ogni età che ne apprezzano dolci e gelati da consumare sul posto (che è pure gastronomia e pizzeria) o da portare via per un consumo più appartato.

Confezionata in una scatola elegante che gioca con i toni del marrone, la cassata del locala aperto in città dal 1978 ha un aspetto raffinato e invitante.

La frutta candita è abbastanza morbida, la glassa sottile ma non sciolta. Se il sapore della ricotta si fa ricordare a lungo, il pan di Spagna risulta un po’ duro e stopposo.


Marzapane non stucchevole e dal colore candido e bello da vedere.

VOTO: 6

PASTICCERIA CAPPELLO

Confezione rosso fragola, con tanto di corona nel logo di una delle pasticcerie più famose di Palermo, oggi guidata da Giovanni Cappello. Tutto per avvolgere nel migliore dei modi la cassata da viaggio.

L’aspetto è insolitamente modesto, la glassa abbastanza spessa, il pan di Spagna risulta inzuppato e un po’ spugnoso.

Forse perché i pasticcieri di Cappello sono anche cioccolatieri sopraffini, ma nella ricotta la presenza delle gocce di cioccolato è eccessiva, perfino assillante. Sapore deciso per la frutta candita, matura ma piacevole.

Se il rivestimento di marzapane è spesso e tendenzialmente insapore, la ricotta spicca per cremosità.

VOTO: 6 e mezzo

ANTICO CAFFE SPINNATO

Non siamo nella tipica pasticceria siciliana, la vocazione da gran caffè con ambiente e dolci internazionali, sempre affascinanti e ben curati, è evidente.

A pochi passi dal Teatro Politeama, l’Antico Caffe Spinnato è una vera bottega del dolce, attentissima anche a confezionare i propri prodotti come se fossero gioielli. Non fa eccezione la cassata.

Proprio questa tendenza a privilegiare l’apparenza rende scettico più di un palermitano, che tende a valutare Spinnato, nonostante il successo di cui gode da molti anni, non migliore di altre pasticcerie meno conosciute. Sarà anche così ma la cassata di Spinnato rimane tra le migliori che si possono acquistare in città.

Se il giudizio si fermasse all’estetica, guardate voi stessi, vincerebbe su tutti: tagliare una cassata tanto bella sarà anche un peccato ma non provarla è reato.

Ma anche il resto non scherza, il livello è alto in ogni componente: aspetto, colore e sapore. Al netto dell’aspetto moderno e ammaliante, spiccano i canditi freschi, morbidi e succosi.

VOTO: 9 e mezzo

PASTICCERIA COSTA

Se chiederete a un palermitano qual è il posto migliore per comprare la cassata, quello vi risponderà inorgoglito, lusingato per aver conquistato la vostra fiducia. Mangiar bene sempre e comunque è un aspetto della vita su cui i palermitani non sono disposti a scherzare.

La cassssaaaata?. E più le consonanti raddoppiano, più le vocali si aprono, più dovete fidarvi dei consigli elargiti dai palermitani.

Che se vi trovate in centro non avranno dubbi, indicandovi solerti la pasticceria Costa.

In un posto così ben frequentato la confezione, neanche a dirlo, è elegante e tradizionale, senza insistere troppo sul binomio inscindibile bianco e oro.

Nella cassata la ricotta è pastosa, dal sapore persistente, ci si aspetterebbe un tocco di dolcezza in più.

Per contro i canditi sono i migliori del lotto, profumati, dai colori lucidi e vivi, in contrasto cromatico con la glassa, spessa e dal colore bianco neve. Inappuntabile il pan di Spagna.

VOTO: 8

PASTICCERIA OSCAR

Sì, siete in una pasticceria, nonostante l’ingresso ricordi un cine-disco da pomeriggio-giovani anni ’90. Ve lo conferma l’irresistibile profumo che sentite arrivare dal laboratorio e la consapevolezza di essere da Oscar, pasticceria nota, amata e considerata tra le migliori della città.

Con visibile orgoglio da parte dei titolari.

Rispetto all’ingresso la cassata ha un aspetto più sobrio, quasi anonimo. La forma è più schiacciata rispetto alle contendenti del lotto e particolarmente adagiata, la glassa ha uno spessore medio con i canditi dai colori smorzati e dal gusto delicato.

Gradevole la ricotta.

VOTO: 7 e mezzo

BAR ROSANERO

Può un enorme bar pasticceria con annesso tabacchi e centro scommesse, realizzare una tra le cassate migliori di Palermo?

Il posto, localizzato nello storico quartiere della Kalsa, proprio di fronte all’orto botanico, di Rosanero ha poco, giusto pavimenti e toilette (oltre al cuore da tifosi). Di certo non la confezione, seriosa e tendente al grigio tortora.

In questo caso la glassa è molto esile, con tendenza ad assottigliarsi man mano che ci si avvicina al centro del dolce. Di primo acchito non si direbbe perfetta.

I canditi sono opachi, con un sapore che ricorda la frutta matura, pan di Spagna perfettamente umido e ricotta super cremosa.

L’equilibrio è la cifra stilistica del dolce, che ha una quantità dosata di cioccolato e il marzapane in quota non invadente. Peccato per i canditi e qualche imperfezione nell’aspetto. Ma l’insieme va premiato.

VOTO: 9

FRATELLI MAGRI’

Pasticceria amata dai palermitani alternativi per forza, sottilmente polemici, coloro a cui vanno stretti i laboratori famosi e amano poco le griffe. Convinti che altrove sia comunque meglio.

La confezione è tradizionale ma, dobbiamo concederlo agli alternativi di cui sopra, più fresca e ruspante.

Aspetto infantile e giocoso, con il colore dei canditi, morbidi e profumati, che sembra uscire da una tela naif o da un libro di favole. L’interno è affidato alla ricotta, spumosa e piacevole.


VOTO: 8

SCIMONE

La zona non è tra le più eleganti di Palermo, contribuisce all’impressione generale il palazzo forse antico, forse abusivo proprio di fronte alla piccola pasticceria che sforna famose specialità locali come le dita d’apostolo.

Estetica semplice, senza troppi fronzoli, con la glassa della cassata che a tratti è spezzata e i colori semplici. Pan di Spagna sottile, canditi comunque buoni, ricotta dalla consistenza carezzevole.


VOTO: 7

PASTICCERIA CAFLISH

Confezione a parte, troppo cupa per un dolce allegro, la cassata della pasticceria Caflish è la più bella. L’aspetto è davvero impeccabile: elegante, barocca, quasi artistica nella composizione.

Dei discreti rimandi verdi rivelano la presenza del marzapane anche al di fuori della glassa, con una bella variante cromatiche rispetto agli altri dolci del lotto. La sistemazione della frutta candita, lievemente secca, è un piccolo capolavoro di per sé.

Peccato che il pan di Spagna sia vistosamente asciutto, di un colore giallo splendente, quasi abbagliante. Il marzapane ha un sapore molto deciso.

VOTO: 6,5

Cos’abbiamo imparato da questa prova

Sbaglia chi pensa che la cassata sia un dolce troppo dolce, è vero invece che più la si assaggia più s’impara ad amarla.

La freschezza è facilmente riconoscibile. Dal sapore della ricotta, dal colore vivace dei canditi che non devono essere circondati da una patina bianca, dalla consistenza della glassa, chiamata a vestire la cassata di un velo più o meno spesso ma non molliccio.

Può essere conservata in frigo fino a cinque giorni, ma dà il meglio al secondo – terzo giorno di vita, quando si assapora nella sua completezza.

La ricotta non è l’elemento cardine, su tutto regnano invece i canditi, piccoli gioielli dalla piacevolezza ben diversa rispetto a quelli dei cannoli.

Ovviamente, se un diamante è per sempre, la cassata è per qualche minuto.

[CREDIT – FOTO ALFIO BONINA]

Kistè e Sapio: nuovi ristoranti siciliani da scoprire nel ponte del 25 aprile

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Consiglio spassionato prima di raccontarvi due ristoranti siciliani molto attesi: se amate la cucina creativa ma con ragionevolezza approfittate dei prossimi ponti di primavera per provarli anche voi.

Parliamo del Kistè di Pietro D’agostino, chef del ristorante La Capinera, e della scommessa super interessante di una coppia che a Catania ha aperto il ristorante Sapio.

Sono du posti diversi, intendiamoci, ma tutto vi sarà più chiaro continuando a leggere.

KISTE’

Cosa succede quando uno chef stellato, e per giunta in cima ai like degli influencer, apre il suo nuovo ristorante?

Cosa succede se la copertura stampa per annunciare l’apertura è degna di Bottura, e appena giunti al vernissage giornalisti e blogger danno già la sfida per vinta, con il solito diluvio di post entusiasti su Facebook e Instagram?

Succede che poi, quando ci vai, addio effetto sorpresa.

Sai già tutto, sai per esempio che lo stile del Kistè, nuovo ristorante di Pietro D’Agostino, chef del ristorante La Capinera di Taormina (sesto posto nella classifica 2016 dei migliori ristoranti siciliani di Dissapore), è stato definito “easy gourmet, con una cucina degli ingredienti e della memoria”.

Cosa significa, precisamente? Abbiamo deciso di scoprirlo andando a provare il ristorante pochi giorni dopo l’apertura. Obiettivo: raccontarvi cosa ci è piaciuto, e cosa meno.

Kistè: cosa non ci è piaciuto

Il nuovo ristorante è ambientato in una casa privata del tardo Quattrocento, a due passi dal Duomo. Non siamo sul mare, mancano le grandi vetrate e la supremazia del bianco che donano a La Capinera garbo e armonia.

Duomo di TaorminaKiste - Taormina

L’intricato dedalo di stradine del centro storico di Taormina non aiuta, nemmeno le tinte brune delle stanze, ma se l’atmosfera del Kistè opprime un po’ è soprattutto perché l’aerazione dei locali dev’essere più attenta.

Kiste - TaorminaKiste - TaorminaKiste - Taormina

Cosa ci è piaciuto

Naturalmente la cucina. Il marchio D’Agostino è riconoscibile, ribadito più volte nel percorso dei menu degustazione, non per nulla, d’autore. Oltre a scegliere alla carta, potrete ordinare il menu degustazione Mare (50 euro) o Isola (60 euro).

In ogni caso, troverete nei piatti freschezza, salse dalle nuance vivaci, improvvisazione ragionata, cioè tutti i motivi d’apprezzamento de La Capinera. Come, per esempio, nell’insalata tiepida di mare con gambero, seppie e cipollotto, patata.

Kiste - Taormina

I piatti sono calibrati con precisione micrometrica, preparati con il gusto dell’insieme e presentati con l’amore per il colpo d’occhio.

Kiste - Taormina

Qualche accenno mediorientale, in sintonia con l’architettura moresca dello stabile, rappresenta la novità. Per esempio nell’involtino di pesce con zucchina e peperone, in evidenza come usa nelle rosticcerie catanesi più vivaci, contagiato anche dai sapori dell’isola con la maionese al pomodoro e la salsa in agrodolce.

Kiste - Taormina

Giudizio finale

Perché un avventore del luogo dovrebbe preferire il Kistè a La Capinera?

Mettiamola così: la Capinera porta alla mente il mediterraneo, le tolde delle barche incrostate di salsedine, la macchia spazzata dal vento, il bagliore del sole di mezzogiorno, la mollezza dei crepuscoli sugli scogli, con un occhio al mare di Sicilia, e non potrebbe essere diversamente solo facendosi sfuggire un’occhiata fuori della finestra.

Se invece siete al centro di Taormina, optare per un aperitivo al Kistè, modaiolo nonché easy (ebbene sì), potrebbe avere molto senso.

SAPIO

Adesso spostiamoci verso il capoluogo etneo, andiamo a provare un’altra novità, ben più inaspettata per quanto avviata con maggiore discrezione.

Un nuovo ristorante a Catania, città di radicate tradizioni gastronomiche, ricca di minutaglie unte e ghiotte da leccarsi i baffi oltre che le dita, ma che finora, a parte un paio di casi di cui vi abbiamo parlato, è sembrata incapace di mettere gli appassionati di cucina contemporanea al centro di una favola.

ATMOSFERA

Accanto a Piazza Europa, sempre centrale nei gusti della Catania bene, Sapio si trova in via Messina, traversa ambiziosa ma anonima.

Ingresso senza sbavature, ma in uno stile impersonale che si potrebbe definire global-italian: non c’è un solo dettaglio che riveli dove ci si trovi. Salvano dallo spaesamento le sedie, invitanti e molto belle.

Sapio - CataniaSapio - CataniaSapio - Catania

Veniamo accolti da una maître minuta e molto giovane che ci fa accomodare allontanando la sedia con atteggiamento formale.

I PIATTI

Il menu preannuncia una cucina ambiziosa e creativa con ragionevolezza.

Visti i costi dei piatti alla carta, optiamo per il menu degustazione “a sorpresa”, dal costo di 75 euro. Sia fatta la volontà dello chef. Che a giudicare dalla mousse di roquefort mandata al tavolo non sembra soffrire di troppi vincoli con le tradizioni e gli ingredienti locali.

La prima proposta è una tartare di vitello e tonno con salsa verde al mortaio, zabaione salato e scagliate di tartufo siciliano. Con il tonno siamo a livelli inauditi di freschezza.

Il secondo piatto è l’unico del menu con una spiccata identità siciliana. Gambero di nassa sottile con cristalli di sale di Trapani, aria ghiacciata al limone, salicornia, spicchi di arance e maionese di pesce.

Battuta di gambero - Sapio - CataniaSapio - Catania

Porzione molto più piccola delle altre, eleganza esasperata, attenzione a cogliere tutte le opportunità del territorio.  Bene, sorprese invenzioni fantasiose non mancano.

Sapio - Catania

Arriva poi un riso carnaroli, con plancton marino, gambero rosso e aria di conchiglia che, nonostante nasconda del tutto la minestra di mare rendendo l’aspetto del piatto poco invitante, penetra nei polmoni per farsi respirare appieno.

Sapio - Catania

Il percorso prosegue con il sapore sapido del trancetto di salmone su verdure grigliate e tartara di ostriche, ruchetta, crema di insalate amare.

Sapio - Catania

Per descrivere il sapore del piatto successivo, ovvero petto di quaglia con crema parvenue offuscata alla betulla, basterebbe una parola: amaro.

Sapio - Catania

Ma limitarsi a quell’unico aggettivo sarebbe fare torto al piatto che è in realtà una cavalcata entusiasmante in tutti i risvolti del sapore amaro, in cui s’intuisce il gran lavorio della cucina. Piatto memorabile per forza dei sapori e per esattezza delle consistenze.

Va meno bene coi dolci, che finiscono presto nel dimenticatoio, e comunque impossibili da accompagnare con del vino dolce perché, ci dicono, disponibile solo in bottiglia intera.

Strano, in un posto così attento alle esigenze dei clienti, anche quelli rompiscatole come noi.

Sapio - CataniaSapio - Catania

Giudizio finale

Come avrete capito consigliamo spassionatamente la gita al Sapio, in particolare a catanesi e siciliani.

Per provare nuovi sapori e nuove soluzioni, e fare ulteriori passi in quella continua evoluzione del gusto di cui è fatta la nostra esistenza.

Tutto ancora più sorprendente nel momento in cui si scopre l’età dello chef: 24 anni.

Sapio - CataniaSapio - Catania

Col passare del tempo si scioglieranno anche le piccole rigidità che levano qualcosa al servizio più ancora che alle portate.

INFORMAZIONI

KISTE’

Via S. Maria dè Greci, 2
98039 Taormina
Tel. +39 333 371 1606
info@kiste.it
https://www.kiste.it/

SAPIO

Via Messina, 235,
95129 Catania CT
Tel. +39 0950975016
info@sapiorestaurant.it
http://www.sapiorestaurant.it/

[CREDIT – FOTO ALFIO BONINA]


Un paradiso autentico: la ricetta originale della Pasta alla Norma

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Precisiamolo subito. Nella pagina che avete appena aperto non scoprirete come preparare una pasta alla Norma, verrete invece illuminati su cos’è e come si prepara la pasta alla Norma.

Non è il caso di contestare cotanta affermazione, anche se perentoria: vi forniremo prove inconfutabili che la nostra versione della pasta –nata, vissuta e per fortuna viva e vegeta a Catania– è quella originale, né tantomeno avrete qualcosa da ridire, mettetevi l’anima in pace, sul modo corretto di mangiare il piatto che fece esclamare a Nino Martoglio, poeta, commediografo e buongustaio catanese, “Donna Saridda, chista è ‘na vera Norma!“.

Il paragone, come saprete, era con la bellezza e la perfezione dell’opera di Vincenzo Bellini.

Il momento esatto in cui la voglia di Pasta alla Norma si fa irrefrenabile è quando, nel tardo pomeriggio catanese, una sottile brezza primaverile interrompe la prima afa estiva.

Profumo di basilico, colore di pomodoro, sfrigolio del fritto di melenzane: “Mi calassi na Norma”, pensa tutto contento il catanese imbottigliato nel traffico del ritorno a casa, mentre chiama casa per sapere se ci sono tutti gli ingredienti.

LA RICETTA

Ma quali sono gli ingredienti giusti? Ve li anticipiamo, poi spieghiamo in dettaglio:
1 chilo di spaghetti o rigatoni.
2 chili e mezzo di pomodoro fresco
3 melanzane
1 aglio
Basilico
Ricotta salata

LA FACCENDA POMODORO

Noi siciliani usiamo quello di Pachino, il riccio o il grappolo sono considerati pomodori più adatti alla passata fresca.

Pomodori alla Fera o luni di CataniaPomodori alla Fera o luni di Catania

Dopo aver fatto scaldare i pomodori in abbondante acqua passateli nel passatutto. Potete optare per i pelati, eliminando buccia e semi, la cosa davvero importante è la cottura della salsa, che deve sobbollire e mai, dico mai, essere soffritta nell’olio.

Altrimenti bye bye freschezza dei pomodori, che invece non si perde con una bollitura leggera. L’olio va aggiunto a crudo, solo a fine cottura, insieme al basilico.

BasilicoBasilico

Infine, inutile dirvi che portiamo avanti una crociata personale contro tutti coloro che alla passata di pomodoro aggiungono lo zucchero.

LA FACCENDA AGLIO

Aglio o cipolla? Signori, cari lettori, sono in imbarazzo solo a doverlo chiarire questo dubbio. Ma siccome va fatto, lasciate perdere le cipolle e sbucciate uno spicchio d’aglio, che metterete crudo e intero nella salsa a fine cottura.

Agli

In questo periodo dalle nostre parti si trova ad ogni angolo; il 10 maggio a Trecastagni è il protagonista della tradizionale festa di Sant’Alfio, dove si comprano agli “intrizzati“.

Il migliore arriva dal calatino, l’insieme dei territori che appartengono a 15 comuni della provincia di Catania, tra Sicilia Orientale e Centrale.

Agli

LA FACCENDA MELENZANE

Quali usare? Quelle turche, ovvio. Non nel senso di provenienti dalla Turchia, ma per la ragione che sono nere, e tutto ciò che è nero, a Catania, diventa “turcu“.

MelenzaneMelenzane turche

Sono quelle allungate. Rispetto alle melanzane del tipo “seta”, fino a pochi anni fa non sempre rintracciabili in città, sono leggermente più amare.

Per questo è bene salarle e farle riposare dentro un colapasta per meno di mezzora. Eliminato l’amaro, non lavate le fette di melanzana. E se proprio dovete farlo, lavate le melanzane intere dopo averle sbucciate.

Non eliminate del tutto la buccia, toglietela alla buona, lasciandone qualche parte.

Norma - Taglio melenzane

Invece, il taglio in verticale, per tutta la lunghezza delle melanzane, è fuori discussione. Non sono ammessi tagli circolari, se fetta dev’essere, che fetta sia.

Nella nostra ricetta le melanzane non sono mai abbastanza, perché i catanesi che non friggono rubano diverse fette che mettono subito sul pane, rischiando il classico colpo di paletta da parte di chi sta friggendo.

LA FACCENDA RICOTTA

Provola di vacca, formaggio di pecora e ricotta di capra. In Sicilia è una legge non scritta, attenzione però, la ricotta dev’essere salata, meglio sceglierne una composta da latte di mucca e, in percentuale minore, da latte di pecora.

Ricotte salate alla Fera o luni di Catania

Il top arriva dai monti Nebrodi, dalle zone di San Fratello o Cesarò, ma non è facile da reperire.

Il fatto che sia grande, più delle altre, garantisce un perfetto equilibrio tra salatura e freschezza, poi contano i bellissimi pascoli della zona, infine il tipico junco, arbusto che cresce lungo i fiumi di quelle contrade da cui si ricavano le fascedde, che alla ricotta danno la forma.

COME SERVIRLA

Quannu a pasta è nta pignata, cci voli a taula cunzata

Qui la faccenda si fa parecchio seria. Perché il condimento della Norma non si prepara nella pentola come un intingolo qualsiasi. No. La pasta alla Norma nasce sulla tavola. E’ da ora in poi, lettrici e lettori, che potete far partire la musica.

Servite la pasta condita solo con la salsa di pomodoro. A tavola, completate con qualche cucchiaio di salsa aggiunta a ogni piatto e guarnite con le foglie di basilico.

Norma - preparazione

In un piatto da portata a parte sistemate le melanzane fritte. Così i commensali, felici per l’insperata opportunità, ne prenderanno a piacimento, tornando sul piatto da portata, eventualmente, dopo le prime forchettate.

Meglio non servire il piatto colmo di ricotta, o addirittura mettendo in tavola la formaggiera con la ricotta già grattugiata. Invece, portatela sulla tavola in pezzi, accompagnata dalla grattugia.

In questi giorni, con le ricotte ancora fresche, meglio portare in tavola la grattugia a mulinello, in modo da evitare la forchetta per “grattare” la ricotta.

Se avete soltanto la classica grattugia in metallo e non volete che la ricotta resti incollata a causa della morbidezza, scaldate la grattugia sul fornello pochi attimi prima, facendo attenzione a non bruciarvi.

Norma

In casa, il diritto di grattugiare per primo spetta al capofamiglia. Gli altri attenderanno il proprio turno con trepida e rassegnata pazienza.

[CREDIT – FOTO ALFIO BONINA]

Casamatta vs. Kambusa: Campionato della Pizza 2017

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Il Campionato della Pizza 2017 è una produzione Dissapore con Molino Dallagiovanna e Clai Salumi. Se volete informazioni sullo svolgimento delle sfide cercatele in questo post.

Casamatta

Via Tommaso Fazello 23, Noto (SR)Pagina Facebook

Leggermente defilata rispetto al centro storico di Noto, patrimonio dell’umanità Unesco dal 2002, la pizzeria Casamatta è stata aperta nel 2014 all’interno di una postazione difensiva della seconda guerra mondiale. Un gradevole muretto in pietra interrompe l’imponenza glaciale degli edifici che abbruttiscono la strada. Paolo Danilo Cannarella, di Avola, è l’avvocato pizzaiolo.

Dai nonni ha imparato giovanissimo l’arte di impastare la cosiddetta ‘Muddiata’, una pizza tradizionale di Avola erta e dall’impasto spugnoso.

CasaMatta l'avvocato pizzaiolo

Kambusa

Via della Torbiera, 38  Massarosa – Pagina Facebook

In uno dei due fabbricati di Terre Emerse, spazio polifunzionale in legno e acciaio che occupa 7000 mq di verde affacciati sul lago di Massaciuccoli, a Massarosa, in provincia di Lucca, Gennaro Battiloro, classe 1983 e originario di Torre del Greco, sforna pizze in pieno stile partenopeo.

Siamo ad alcune centinaia di metri dal casello autostradale di Viareggio, ma certo, molto lontani dalla mondanità del lungomare o di Forte dei Marmi.

Locale e servizio

14 gradini di una scala in muratura e cotto conducono a una casetta divisa in due piccole sale con le pareti rivestite in pietra locale, per un totale di 30 coperti. Nella prima trova posto il forno elettrico che può contenere fino a 7 pizze.

Una veranda e un grazioso cortile più appartato garantiscono al locale altri 60 coperti, alcuni dei quali –se ne sentiva il bisogno– si trovano all’aperto.

CAsaMatta Interno
Casamatta
CasaMatta Esterno
Casamatta
Kambusa
Kambusa

La prima versione della Kambusa, proprietaria Kristina Lapo, si trovava a Viareggio. Il trasferimento a Massarosa è avvenuto nel 2015, sempre con la presenza di Gennaro Battiloro nelle vesti di pizzaiolo, dopo le collaborazioni con il celebre Franco Pepe a Caiazzo (CE) e con Princi, la nota catena di panetterie chic milanesi.

La grande struttura esterna non deve ingannare, in realtà l’ambiente pizzeria è piccolo e raccolto. Discorso diverso in estate grazie allo spazio esterno decisamente ampio. Luci soffuse e apparecchiatura dei tavoli insolitamente elegante per una pizzeria, con i tovaglioli ben piegati, i calici per il vino e le candele accese.

Menù e prezzi

Alle pizze classiche si alternano versioni che puntano su ingredienti locali, com’è evidente fin dai nomi, Ragusana o Nebrodi. In tutto il menu propone 19 pizze, i prezzi vanno dai 4,50 euro della margherita fino ai 9,50 delle più costose:  Casamatta e Fattoria.

Molto limitata la scelta delle birre, senza particolari meriti le uniche due artigianali, che provengono da altrettanti microbirrifici locali. Più varia la scelta dei vini, sempre siciliani, con una presenza ingente più che giustificata di quelli prodotti da Nero d’Avola.

CasaMatta Menu
Casamatta
CasaMatta
Casamatta
Kambusa
Kambusa

Ingredienti raffinati e scelti con cura nel menu della Kambusa, dal pomodorino giallo del Sarnese alla burrata agerolese, fino agli onnipresenti pistacchi di Bronte, solo per citarne alcuni.

La margherita costa 6,50 euro, bisogna aggiungere 1,50 euro per il coperto. Carta dei vini ricca e profonda per una pizzeria, suddivisa in bollicine, rossi e bianchi con numerose etichette toscane. La birra artigianale proviene da una singola etichetta.

Impasto e margherita

Idratazione dell’impasto –il pezzo forte della pizzeria– al 60%, 48 ore tra lievitazione e maturazione, 2 minuti di cottura nel forno elettrico a temperatura differenziata tra cielo (420 gradi) e platea (350 gradi). Il risultato è una pizza di taglia media, come lo spessore, cornicione voluminoso e cottura al limite, cosa che può piacere o infastidire.

Le farine impiegate per l’impasto provengono al 30% da grani antichi: margherito, perciasacchi o molinello, tutte macinate a pietra, tenaci nel sapore e dalla tessitura compatta. Ma l’uso di farine così nutrienti e particolari non compromette l’idea generale di leggerezza.

La pizza margherita non è l’ideale per apprezzare fino in fondo il sapore ruvido e sincero di questo impasto, quasi una sensazione di contatto con il grano. Nonostante la dolcezza del pomodoro la pizza risulta un po’ secca, un filo d’olio in più avrebbe aiutato.

CasaMatta
Casamatta
CasaMatta
Casamatta
CasaMatta sotto
Casamatta
CasaMatta
Casamatta
Kambusa
Kambusa
Kambusa
Kambusa

La pizza margherita della Kambusa sfodera pomodoro san Marzano DOP, fior di latte, olio extra vergine toscano e basilico. L’impasto, presente anche nella versione ai 7 cereali, è realizzato con farine bio di tipo 0 e 1, doppia maturazione a temperatura controllata, la percentuale d’idratazione che arriva al 70% e una dose ridotta di lievito di birra.

Bella a vedersi: cornicione alto e ben cotto, soffice e fragrante, senza bruciature come del resto tutta la pizza. Corretta la proporzione tra mozzarella e pomodoro, con quest’ultimo profumato e invitante ma un po’ avaro di sale.

Giudizio finale

Le differenze ci sono eccome, a iniziare dalla collocazione geografica (delle 32 pizzerie scelte per questa edizione del Campionato della Pizza soltanto una si trova in Sicilia).

E poi le farine, più legate all’impiego di grani antichi quelle di Casamatta. Ma in entrambi i casi pizzaioli preparati e attenti a come evolve il loro prodotto in tutte le direzioni.

C’è però maggiore creatività nel menu di Gennaro Battiloro, con un’integrazione perfetta tra mestiere napoletano e tradizioni toscane (da provare la pizza Tarantella, versione partenopea della panzanella toscana), e una margherita bella, profumata, morbida e digeribile.

Passa il turno: Kambusa

Il tabellone aggiornato

Se non siete d’accordo o volete dire la vostra, fatevi sotto con i commenti. E ricordate che alle 19 ci sarà la votazione dei lettori sulla pagina Facebook di Dissapore.

[Link: Dissapore | Immagini: Mara Pettignano]

La classifica delle 50 migliori granite siciliane del 2017 sta arrivando

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Capire la granita siciliana non è semplice, ha mille volti, cambia a seconda del posto e delle persone che la preparano. In più, la luce irradiata dalla sua storia secolare, iniziata con i i nivaroli e l’impiego della neve, è così intensa che rischia di ostacolarne l’evoluzione.

Il viaggio a tappe intrapreso per darvi la classifica delle 50 migliori granite siciliane di Dissaporeprima edizione, anno 2017 (nel 2016 c’erano state le 10 migliori granite siciliane di Catania, Messina e del Resto della Sicilia) servirà anche a raccontarvi la complessità della granita, e allo stesso tempo la contagiosa semplicità di chi la prepara.

Come già per le 100 migliori gelaterie artigianali del 2017 divideremo la classifica in tre parti, o meglio, in 3 giorni:

— oggi 26 luglio, con le posizioni dal numero 50 al 31;

— domani, giovedì 27 luglio, con le posizioni dal numero 30 all’11;

— venerdì 28 luglio con le posizioni dal numero 10 all’1.

Ma oltre a preannunciare in pompa magna la venuta della nuova classifica, è compito di questo post spiegarvi brevemente anche i criteri adottati per valutare le granite.

SAPORE

Come sempre è il criterio principale, quello che Dissapore mette davanti a tutti gli altri. La condivisione di un momento che combina il sublime con la generosità di chi lo propone.

NATURALEZZA

Gli ingredienti di regola sono tre: acqua, zucchero e frutta, o comunque l’ingrediente principale, quello che ne determina il gusto. Dunque anche caffè o cioccolato.

Bar Alecci - GelsiBar Alecci - FragolineBar Noviziato - granita gelsi

Questo ingrediente principale è davvero naturale? Il sapore che percepisco in una granita alle fragole arriva solo dalle fragole o viene esaltato con l’aiuto malandrino di qualche ingrediente artificiale?

E quel colore acceso che ha la granita, è merito esclusivo delle fragole?

CONSISTENZA E EQULIBRIO

Un tempo la presenza nella granita del ghiaccio tritato era considerato un errore madornale.

Oggi, attratti dalla piacevolezza tattile di una granita morbida e cremosa (sempre più simile al gelato) corriamo il rischio opposto: perdere di vista la consistenza originale in favore di granite troppo cremose o schiumose.

Il rischio maggiore lo corre il pistacchio, gusto di successo spinto dal diffondersi del pistacchio di Bronte. Per non parlare della novità 2017, la nocciola, o anche della ricotta, di moda nel siracusano. Tutti gusti poco adattabili alla natura autentica della granita.

Serve misura anche nella consistenza, insomma.

Quanto all’equilibrio, la buona pratica richiede che lo zucchero non sia né troppo, né troppo poco. Un criterio che si riesce a valutare meglio se si ha l’opportunità, com’è capitato a noi, di assaggiare molte granite in poco tempo.

IN SICILIA E’ UN’ALTRA STORIA

Sapete da voi che la granita in Sicilia è un rito, al gusto suo proprio si accompagna quello che c’è intorno, non sempre rappresentato da un pittoresco paesaggio di mare.

Può essere estasi affondare il cucchiaio nella granita di un chiosco senza nome, ascoltando le chiacchiere dei siciliani, attorniati dai ragazzini che giocano a pallone. Così come godersi un attimo rinfrescante nella strada principale di Taormina.

Bar Princiotta - Brucoli

Insomma, che sia per la presenza del mare, di un maestoso monumento barocco o di un semplice muretto a secco, l’atmosfera siciliana attribuisce alla granita un surplus di gusto, che la distingue da quelle che si producono altrove.

Le migliori 50 granite siciliane del 2017: da 50 a 31

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Inizia oggi la classifica delle 50 migliori granite siciliane del 2017 di Dissapore. Come già detto nel post sui criteri adottati per valutare le granite, divideremo la classifica in tre parti, o meglio, in 3 giorni:

— oggi 26 luglio, con le posizioni dal numero 50 al 31;

— domani, giovedì 27 luglio, con le posizioni dal numero 30 all’11;

— venerdì 28 luglio con le posizioni dal numero 10 all’1.

Nel 2016 c’erano state le 10 migliori granite siciliane di CataniaMessina e del Resto dell’Isola, ma abbiamo pensato che la granita, fenomeno a parte quando fatta in Sicilia, meritasse una comprensione maggiore.

Eccoci pronti a iniziare, ma prima concedeteci una precisazione: anche in fatto di granite siamo spocchiosi e perfezionisti, non faremo mancare insomma i giudizi critici. Ma siamo sicuri che ci capirete, un attimo prima di mandarci a quel paese…

#50 BAR VITELLI – SAVOCA

Curve e tornanti, salendo da Santa Teresa di Riva, in provincia di Messina, portano dal mare a Savoca, borgo ideale della Sicilia bucolica e silenziosa.

Savoca - Messina

Luogo perfetto per ambientazioni coppola e lupara, il locale diventa bar Vitelli quando Francis Ford Coppola lo sceglie per girare una scena memorabile de “Il Padrino”.

Bar Vitelli - Savoca (ME)Bar Vitelli - Savoca (ME)

Oggi, con buona pace di chi s’indigna per certi tipi di turismo, frotte di croceristi si spingono fin qui solo per rivivere quelle scene. Arrivando troviamo un matrimonio nella piazzola di fronte, non ci crederete ma è davvero in stile Padrino.

All’interno immagini e oggetti provenienti dal backstage del film tanto osannato. Il turismo mordi e fuggi prevale, come dimostra l’accoglienza silenziosa e accigliata.

La granita migliore, inventata dalla zia defunta degli attuali proprietari, è quella al limone con zibibbo. Ideale per chi ama il dolce su dolce, con pochi sprazzi di aspro.

Bar Vitelli - Savoca (ME)

GUSTO CONSIGLIATO: limone e zibibbo

Bar Vitelli – Piazza Fossia 7 Savoca (ME)

#49 COLICCHIA – TRAPANI

Granulosità che rientra appena nei limiti per la granita di questa nota pasticceria del centro storico di Trapani, profumata di mandorle. Ma è comunque da premiare per il livello degli ingredienti impiegati.

Colicchia - TrapaniColicchia - Trapani

Il gusto gelsomino è una specialità molto amata nel trapanese, dove prende il nome di scorzonera.

Assaggiarlo significa portare al palato i profumi del fiore, per questo, per non compromettere il sapore, vi consigliamo di consumarlo da solo, senza la brioscia.

Colicchia - Trapani

Lui, il signor Colicchia, sempre alla cassa, è circondato dai ragazzi che servono ai tavoli. Giovanile malgrado l’età, è ancora multitasking: mentre chiacchiera amabile con un cliente prepara il conto per un altro. Sempre diretto e senza peli sulla lingua, non conosce convenevoli, nemmeno quando servirebbero.

GUSTO CONSIGLIATO: gelsomino

Colicchia – Via delle Arti nn.6/8, Trapani

#48 CAFFE CONCORDIA – AGRIGENTO

In piazza Pirandello, in un locale elegante e minuto accanto alla struttura composta da Municipio e chiesa del Rosario, proprio di fronte al museo archeologico, si trova la granita che –vox populi– è la migliore di Agrigento.

Caffe concordia - Agrigento

Corposa e ossequiosa dello stile siculo, giganteggia nella versione al pistacchio e alla mandorla. Buone anche le brioscia, dalla forma rivedibile.

GUSTO CONSIGLIATO: mandorla

Caffè Concordia – Piazza Pirandello n.36, Agrigento

#47 CAFFE ROMA – SCIACCA (AG)

Ci sono posti che restano immutati, e immutate sono le granite, anzi, la granita: quella al limone.

Perché lui, lo zio Aurelio, rifiuta di preparare altri gusti da cinquant’anni, da quando ancora doveva trovare una brava ragazza da sposare, la stessa che oggi –diventata sua moglie– ne condivide mille ricordi, come quello sulle granite servite per nove mesi a donne incinte.

Aurelio Licata - Bar Roma - Sciacca

Aurelio Licata - Sciacca - Granita limone

Nel suo bar, in stile Vecchia Sicilia, i nasi degli avventori impregnati dall’odore di pesce del porto di Sciacca, si prendono la doverosa pausa.

La granita al limone fatta ancora con i verdelli di Menfi avrebbe guadagnato un posto in più se fosse stata meno aspra.

#46 GELATERIA LIPAROTI – TRAPANI

Presente nella classifica delle 100 migliori d’Italia Dissapore, la gelateria di Maurizio Liparoti non poteva mancare in questa classifica.

Ma il gelato non è la granita, e questa volta si ritrova più distante dal podio.

Liparoti - TrapaniLiparoti - Trapani

Siamo nel centro di Trapani vecchia, proprio di fronte al mare. Dietro la semplicità di questa granita si nascondono impegno e una lavorazione non semplice.

Tra i migliori gusti la pesca unita al nero d’Avola, in un binomio goloso sulla carta, ma che non esprime ancora tutte le potenzialità.

Liparoti - Trapani

Si scioglie un po’ troppo rapidamente, però resta nelle retrovie della classifica a causa della panna congelata. Impresentabile in un posto notevole come questo.

GUSTO CONSIGLIATO: pesca e nero d’Avola

Gelateria Liparoti – Viale delle Sirene n.21, Trapani

#45 PASTICCERIA AMBRA – TREMESTIERI ETNEO (CT)

Ogni zona che si rispetti a Catania, ha il suo laboratorio pasticceria che, attenzione, non è la classica pasticceria, in quanto privo di bar e di tavolini per consumare un caffè.

Pasticceria Ambra - Catania

Quello di Canalicchio, grande quartiere catanese nonché zona di passaggio, è Ambra, il posto in cui i residenti della zona prendono una granita da portar via o da consumare nell’unico tavolino all’esterno

Pasticceria Ambra - Catania

Granita gelsi - Pasticceria Ambra - Catania

GUSTO CONSIGLIATO: mandorla

Ambra – Via Nuova Luce n.16, Tremestieri Etneo (CT)

#44 BAR DI PERRI – ROMETTA (ME)

Il grande Bar di Perri te lo immagini affollato di giovani vacanzieri, invece quando arriviamo a Rometta, tipico paese di mare della fascia tirrenica, è l’ora della siesta, nel paese bollente s’incontra giusto qualche temerario in bicicletta.

Bar di Perri - Rometta MareaBar di Perri - Granita albicocca

Molto apprezzato in zona per le granite, propone briosce anche in formato maxi, per 3 o 4 persone. Tra i gusti da provare spicca l’albicocca.

GUSTI CONSIGLIATI: albicocca

Bar di Perri – Via Mezzasalma n.24, Rometta Marea, (ME)

#43 C&G – CATANIA

Cioccolato, gelato, e pure granita, ovviamente al cioccolato. In piazza Abramo Lincoln, zona centrale di Catania, il locale, benché di recente apertura, è stato rivisto grazie a un ambiente moderno e spazioso, dominato dal bianco e nero e dal marchio, fin troppo invadente.

C&G - CataniaGranita al cioccolato - C&G - Catania

La presentazione della granita è scenografica ma perde un punto a causa del cioccolato –tu quoque– dal sapore fin troppo deciso, che stanca dopo i primi cucchiaini. Meglio ripiegare su altri gusti.

GUSTO CONSIGLIATO: mandorla

C&G – Piazza Abramo Lincoln, Catania

#42 EL CUBANO – FONTANE BIANCHE (SR)

Passando per Fontane Bianche, frequentata zona balneare del siracusano, spaventose costruzioni degli anni Ottanta precedono l’arrivo a El cubano, un paradiso per i turisti desiderosi di sfuggire alla canicola estiva che a queste latitudini entra nei polmoni insieme all’odore di bruciato.

La caratteristica del bar, gestito da oltre quarant’anni anni da due fratelli che più diversi non potrebbero essere, è la varietà dei gusti.

El Cubano

Quando a far da cavia erano i professionisti del luogo, che con i loro assaggi decretavano il successo o la morte dei nuovi gusti di granita, primeggiava l’ananas. Come oggi del resto.

La brioscia, come spesso capita nel siracusano, è spolverata con dello zucchero a velo, accorgimento mal visto da messinesi e catanesi.

Brioscia - El CubanoGranita El Cubano

GUSTI CONSIGLIATI: Ananas, cioccolato

El Cubano – Viale dei Lidi n.309, Fontane Bianche (SR)

#41 BAR MESSINA STELLARIO – MESSINA

Non sei un messinese se non hai il tuo ritrovo prediletto, e noi parliamo di granite, ovviamente. Anzi, i cittadini dello Stretto sono veri partigiani della granita. Particolarmente accaniti quelli di Stellario, che riesce a distinguersi anche in una strada ad alta concentrazione di pasticcerie.

Bar Stellario - MessinaBar Stellario - Messina

Tutto scorre velocemente nel bar, soprattutto le granite, polverizzate in pochi secondi.

Granita fragola - Bar Stellario - MessinaGranita fragola - Bar Stellario - Messina

GUSTO CONSIGLIATO: fragola con panna

Bar Messina Stellario – via Consolare Pompea, Piano Chiesa n.6, Messina

#40 VIA POLICASTRO – CATANIA

Come fanno tre fratelli non più giovani a lavorare ogni santo giorno nello stesso laboratorio da quarant’anni? Hanno imposto una regola alle consorti: “non mettete piede in laboratorio, solo così regnerà la pace”.

Venite pure, ripetono in coro, ma solo per mangiare la granita.

Via Policastro - CataniaVia Policastro - Catania

Non è maschilismo ma praticità, e comunque così i tre fratelli Calogero, figli d’arte, gestiscono l’omonima gelateria nota a Catania come via Policastro, dalla strada in cui si trova. Il quartiere è il popolare Picanello.

Niente servizio ai tavoli, sistemati su di uno stretto marciapiedi, per la granita semplice e buona, ricevuta dagli avventori nei bicchieri di plastica avvolti dal classico tovagliolo di carta per non ghiacciare le le mani.

GUSTI CONSIGLIATI: mandorla e limone

Gelateria Calogero – Via Policastro n.29 CATANIA

#39 PASTICCERIA CAMPIDOGLIO – SANT’AGATA MILITELLO (ME)

Un locale di pregio il bar Campidoglio, appiattito da una ristrutturazione anonima. Ricordavamo un’altra ricercatezza, una diversa cura dei particolari.

Bar Campidoglio

L’ex titolare, ormai ultraottantenne, autore di una panna capolavoro che smuove i siciliani per chilometri, ha lasciato l’attività ai figli.

Ma non riuscendo a separarsi dalla sua creatura, s’impone ostinatamente al centro dell’attenzione.

Padri e Figli - CampidoglioPadri e Figli - Campidoglio

Una garanzia per qualche avventore, e un limite secondo altri, perché lo spazio che resta ai nuovi gestori per scrivere la loro parte di storia del locale di Sant’Agata Militello è poco.

Ad ogni modo, promuoviamo a pieni voti la scelta di separare i gusti fragole e fragole di bosco, in barba alla teoria secondo cui la granita alla fragola andrebbe preparata per metà con le prime e per metà con le altre.

Qualche difettuccio nell’amalgama degli ingredienti evidenzia il fatto che ci stiamo allontanando dalla Sicilia Orientale. Per contro, niente difetti nella qualità della frutta e nel punto di maturazione. La panna, da sola, continua a valere il viaggio.

GUSTI CONSIGLIATI: fragole e fragole di bosco, con panna

Pasticceria Campidoglio – Via Campidoglio n.25 Sant’Agata Militello (ME)

#38 BAR AL SAN DOMENICO – ACIREALE (CT)

Magnifiche nelle loro facciate settecentesche, non c’è chiesa ad Acireale che non sia ambita per celebrare un matrimonio, da residenti e non.

Non fa eccezione la chiesa di piazza San Domenico, di fronte al piccolo bar omonimo, noto per la granita alla mandorla araba, con l’anice stellato che la rende più fresca e la sicilianissima spolverata di cannella.

Granita San Domenico

La piazza, quasi sempre ventosa, si presta molto a un momento di relax nelle ore più calde della giornata.

GUSTI CONSIGLIATI: mandorla araba, pesca

Pasticceria Bar Al San Domenico – Piazza San Domenico, Acireale (CT)

#37 SAVIA – CATANIA

Al centro di via Etnea, Savia, la più rinomata pasticceria di Catania, continua a far discutere.

Per molti la granita non è più quella di una volta. Per altri potrebbe dare di più perché la storia di Savia merita comunque il meglio.

Pasticceria SaviaPasticceria Savia

Noi notiamo che la granita al gusto fragola, con le fragoline di bosco, accompagnata da una panna al di sopra della media catanese, resta impeccabile.

La brioscia è l’unica di questa classifica decorata con zucchero semolato, scelta insolita che a Catania di solito accomuna i panifici.

Pasticceria SaviaPasticceria Savia

Nel periodo estivo si corre il rischio di fare un viaggio a vuoto per l’inusitata chiusura del locale a metà tra giugno e luglio.

GUSTI CONSIGLIATI: fragola e fragoline

Savia – Via Etnea, Catania

36# CAFFE FLORIO – LICATA (AG)

Testimonial eccellente della granita di questo piccolo bar di Licata è Pino Cuttaia, chef de La Madia, che proprio al Bar Florio, posto di fronte al suo ristorante due stelle Michelin da poco ristrutturato, fa colazione ogni mattina con granita al limone e brioscia.

Bar Florio - Licata

Gli ingredienti genuini e il garbo delizioso dei titolari ne fanno una tappa imperdibile per chi dovesse passare da Licata. Consigliata la granita di limone, specialità della casa dal 1952, e quella ai gelsi.

Granita Bar Florio - LicataGranita Bar Florio - Licata

GUSTI CONSIGLIATI: limone

CAFFE FLORIO – Licata (AG)

#35 BAR KENNEDY – SIRACUSA

Non esiste città senza una via Kennedy, e non esiste via Kennedy senza un omonimo Bar. Ma a Siracusa la famiglia che gestisce il posto, sembra essere legata al sempre compianto presidente americano da profonda devozione.

Bar Kennedy Siracusa

Il locale è piccolo e insolito, sviluppato in lunghezza, attraversato da un viavai di persone che consumano quantità industriali di votavota, ammucchiati in vetrina uno sopra l’altro.

Si tratta di un impasto salato tipico del siracusano, ripieno delle più varie prelibatezze e ripiegato su di sé.

Siamo combattuti, è ora di pranzo, astenersi è difficile ma dobbiamo provare le granite.

Non rimpiangiamo la scelta, grazie soprattutto alla brioscia meravigliosa, che non ha il tuppo, cioè il cappello, ma una forma allungata. Tra le migliori mai provate nell’impasto, nella lievitazione e nel profumo.

Bar Kennedy Siracusa
GUSTI CONSIGLIATI: limone e….votavota (ne prendiamo un paio dopo le granite)

Bar Kennedy – Via Tisia n.140, Siracusa

#34 PASTICCERIA RIZZO – SIRACUSA

Svoltando l’angolo dal bar Kennedy si arriva alla Pasticceria Rizzo, tutt’altro tipo di locale, dove ci si vuole ingraziare i clienti della Siracusa dabbene, specie le signore dedite al rito dell’aperitivo.

Bar Rizzo Siracusa

La pasticceria è nota nella zona perché fornisce dolci ai banchetti, ma la nostra attenzione è catturata soprattutto da una possibilità, accompagnare la granita con una prelibatezza unica: la brioscia mandorlata.

Brioscia mandorlata - Bar Rizzo SiracusaBar Rizzo Siracusa

Ricoperta da una glassa di mandorle, stile colomba di Pasqua, è incredibilmente fragrante, nel sapore ricorda una meringa da stella. Si mangia con la granita alla mandorle, è tassativo.

GUSTI CONSIGLIATI: mandorla accompagnata da brioscia mandorlata

Pasticceria Rizzo – Via Polibio 78, Siracusa

#33 PASTICCERIA QUARANTA – CATANIA

Ognina, lungomare di Catania, la scogliera su cui Ulisse approdò sospinto dal dio Eolo. Nei decenni scorsi zona balneare per i catanesi doc che affollavano i Bagni Ulisse e il lido Longobardo.

Oggi è un porticciolo turistico protetto dalla chiesa dedicata a ‘La Bambina’, ma resta uno dei luoghi più affascinanti e poetici della Sicilia, che preannuncia la bellezza e l’atmosfera di Acitrezza e Acicastello.

Bar Quaranta - Ognina

La pasticceria Quaranta consente agli occhia di appropriarsi dello spettacolo, proponendo la granita come momento di relax, che spezza la routine cittadina e fa sentire in vacanza anche nelle belle giornate autunnali.

Bar Quaranta - OgninaBar Quaranta - Ognina

GUSTI CONSIGLIATI: gelsi

Pasticceria Quaranta – Piazza Mancini Battaglia n.17, Catania

#32 AL PORTICO – CARRUBA (CT)

Da Acireale a Giarre, prendendo la strada interna, si susseguono minuscole frazioni accumunate da un vezzo particolare: tirar fuori da ogni prodotto una sagra.

Così, attraversandole, colpiscono i manifesti che nel giro di venti metri propongono, uno dopo l’altro: sagra del pesce spada, del tonno bianco, dei maccheroni di casa o del pane condito.

Spingendosi più in là verso Riposto tanti piccoli agrumeti si mimetizzano con le maestose piante da vivaio nella frazione di Carruba.

Nuovo Caffe al Portico - Giarre

In una di queste piazze si trova “Al Portico” famoso per gli arancini al burro e al ragù fritti al momento.

All’interno domina il bancone illuminato da lunghi cilindri contemporanei. Giovane è anche la conduzione.

Al Portico - Carruba

Granita mandorla - Al Portico - Carruba

Tra tutti i gusti spicca e conquista la classifica di Dissapore la granita alle mandorle, pelate e poi raffinate con lo zucchero per farne sentire meglio la presenza e concedere il piacere di mordicchiare il frutto secco.

GUSTI CONSIGLIATI: mandorla

Nuovo Caffe Al Portico – Piazza San Martino 1, Carruba (CT)

#31 BAR KENNEDY – ACIREALE (CT)

Bar Kennedy - Acireale

Ancora Acireale. Questa volta siamo in una zona meno nobile e barocca della città, ma moderna e frequentata da molti giovani, che di sera si ritrovano nella piazzola per un panino mordi e fuggi.

Granita gelsi - Bar Kennedy - Acireale

Sarà per questo, o per la verde età del titolare, che il bar Kennedy è stracolmo di ragazzi innamorati della granita dalla consistenza piena, tipica di quelle acesi, perfino troppo cremosa nel gusto al pistacchio.

Granita gelsi - Bar Kennedy - Acireale

GUSTI CONSIGLIATI: mandorla, gelsi

Bar Kennedy – Via John Fitzgerald Kennedy n.39L, Acireale (CT)

Continua domani…

con le posizioni dal numero 30 all’11

[CREDIT – FOTO ALFIO BONINA]

Le migliori 50 granite siciliane del 2017: da 30 a 11

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Ieri avete scoperto le posizioni dal numero 50 al 31.

Era solo l’antipasto del piatto principale che la classifica delle migliori 50 granite siciliane del 2017 vi riserva oggi, con le posizioni dal numero 30 all’11, e soprattutto domani quando sveleremo le migliori 10 granite dell’anno.

Consumati dall’attesa di scoprire la migliore granita siciliana?

Avete degli antidoti: scorrete le 10 migliori granite siciliane di CataniaMessina e del Resto dell’Isola, classifiche assemblate nel 2016.

Noi, intanto, proseguiamo.

#30 BAR PRINCIOTTA – BRUCOLI (SR)

Tipico baretto datato e improbabile in cui entrando rischi di trovare la granita al limone della vita. Con i frutti al giusto punto di maturazione e una lunga storia alle spalle.

Bar Princiotta

Tutt’intorno accese sfide a carte e qualche bicchiere di granita sui tavoli per combattere afa e canicola.

Bar Princiotta - Brucoli

La burbera signora Princiotta concede rare parole, anche il marito è taciturno, ma solo perché concentrato su un unico obiettivo: preparare le granite nella solitudine del suo laboratorio, senza distrazioni.

Signor Princiotta - Brucoli

Le briosce non hanno per niente un bell’aspetto, eppure il sapore sorprende, simile a un buon panino al latte.

GUSTO CONSIGLIATO: limone

Bar Princiotta – Via Libertà n.127, Brucoli (SR)

#29 U TEDESCO – MESSINA

Alcuni, sbagliando, potrebbero ritenere U Tedesco un venditore ambulante di granite. Ma il suo camioncino è fisso lì, con i tavoli che dal marciapiede sconfinano nella villetta vicina.

Il tedesco - Messina

Lui, incarnato chiaro e i famosi occhi azzurri che gli sono valsi il soprannome, tiene banco contraccambiando con spirito battute scherzose e sfottò. I tanti habitué neanche sotto tortura negherebbero che la sua granita è l’autentica messinese.

Il tedesco - Messina

C’è da dire che rispetto al passato la granita del Tedesco ha ritrovato la consistenza originale e autentica, meno cremosa, senza perdere un’oncia della sua prelibatezza. Prezzo al solito imbattibile: granita con panna e brioscia 1,50 euro.

GUSTI CONSIGLIATI: Caffè con panna, Cioccolato

U Tedesco – Viale Europa, Messina

#28 CONDORELLI – ACIREALE (CT)

La migliore granita di Catania? Ad Acireale, risponderebbero gli acesi, che verso il vicino capoluogo hanno sempre mostrato un senso di orgogliosa inferiorità, su tutto ma non sulla granita. In un paio di posti in particolare, da Cipriani o al bar Condorelli, che si contendono il primato della granita migliore di Acireale.

Condorelli, sempre affollato, perde qualche posizione per una proposta esagerata. Quei gusti sono troppi!

Granita mandorla e cannella - Condorelli - AcirealeGranita gelsi e panna - Condorelli - Acireale

Al netto di questo peccato veniale, il bar che si è inventato la granita tutto l’anno (prima si faceva solo in estate), dimostra di conoscere ancora le tecniche per produrre una vera delizia.

GUSTI CONSIGLIATI: mandorla e cannella

Bar Condorelli – Via Oreste Scionti n.26/28, Acireale (CT)

#27 EDEN BAR – ACITREZZA (CT)

Acitrezza: ideale campo neutro per giocare il derby tra Catania e Acireale, in palio l’attribuzione della migliore granita siciliana. Sì, ma dove?

L’Eden Bar è un buon compromesso, vista l’attitudine dei catanesi, inforcate le loro decappottabili, di sfilare verso il locale già a marzo, nei primi giorni di caldo estivo,

Eden Bar Acitrezza
La granita è meno morbida rispetto a quella di Acireale ma dal sapore altrettanto intenso.

E finalmente riusciamo a trovare una panna montata vellutata anche in provincia di Catania.

Eden Bar AcitrezzaGranita AcitrezzaEden Bar Acitrezza

Passando di notte dal paese sentirete il profumo delle bellissime briosce, che l’Eden Bar serve sempre calde, avvolgere le strade.

GUSTI CONSIGLIATI: gelsi con panna

Eden Bar – Via Provinciale n.89, Acitrezza (CT)

#26 LITTLE ROBERT – GIARRE (CT)

A Giarre, nel quartiere “Funnacu Baruni” –il fondo (agricolo) del barone– al termine dlla via principale, c’è un chiosco in legno noto per una formidabile granita al limone verdello.

Vito è il titolare, orecchino a croce in bella mostra, classico sguardo di chi la sa lunga.

Little Robert

Alle pareti, un accostamento audace mette insieme immagini di Totò, Massimo Troisi e Bruce Lee. Coesistono non tanto per un vezzo artistico del proprietario, ma perché un ambulante li ha venduti in blocco, al buio, a cinquemila lire.

Little Robert

Se gli altri gusti non sono proprio indimenticabili, la granita al limone è perfetta nella sua totale e creativa imperfezione, arricchita dalle bucce del verdello che si raccoglie in zona da maggio a settembre.

Per accompagnarla è preferibile il panino alla brioscia.

Little RobertGranita Verdello - Little Robert

GUSTI CONSIGLIATI: limone

Chiosco Little Robert – Via Gallipoli n.2, Giarre (CT)

#25 SUD CAFE – BRUCOLI (SR)

Percorrendo la tranquilla strada principale di Brucoli, fin troppo ravvivata di sera dalla movida estiva, si arriva all’incantevole quadretto del Sud Cafè, sul mare, con tavoli e panche basse che quasi carezzano gli scogli.

Tutta una serie di ragazze, intente a misurare la loro bellezza, servono distratte ai tavoli.

Brucoli - Sud Cafe - GranitaBrucoli - Sud Cafe - Granita

La granita viene prodotta altrove, un’eccezione per la classifica di Dissapore, ma il livello è alto e certo non si può dire che il posto non sia affascinante.

Granita - Sud Cafe - Brucoli

Guardando avanti, senza volgere le spalle al mare, perdonerete anche la granita alcolica o la presentazione modaiola nei barattoli di vetro

GUSTI CONSIGLIATI: gelsi, granita alcolica.

SUD Cafe – Via Libertà n.4, Brucoli (SR)

#24 PLAZA DEL SOL – PORTOPALO (SR)

Plaza del sol - Portopalo

Immagini bellissime, colori struggenti, ma prima di arrivare l’isola di Capo Passero ti presenta il conto.

A poche centinaia di metri dalla meta la strada è interrotta per il crollo di un ponte, si deve tornare indietro di parecchi chilometri e poi arrivarci affrontando un percorso più lungo.

A questo punto, capirete come la granita risulti ancora più piacevole. Nonostante l’insolita esposizione in vasca e non nei tradizionali pozzetti, la consistenza è perfetta.

Interessante la versione ai fichi, prodotta con i frutti dalla buccia nera, ben riconoscibili nel gusto e nel colore della polpa.

GUSTI CONSIGLIATI: fichi, pesca

Plaza del Sol – Via Scalo Mandria, Portogallo di Capopassero (SR)

#23 CAFFE EUROPA – CATANIA

BAR EUROPA - Catania

Caffe Europa e Caffè Epoca si sono contesi a lungo il ruolo di salotto buono del capoluogo etneo.

Tra i due, il Caffè Europa continua ad attirare la meglio società catanese anche in virtù di una granita migliore.

BAR EUROPA - Catania

All’interno, sono diverse le specialità esposte nel lungo bancone in noce che catturano lo sguardo: le torte decorate dalle fragoline di bosco, i pasticcini, ovviamente le granite con panna.

BAR EUROPA - Catania

Morbida, soprattutto quella al pistacchio, la granita resta entro limiti accettabili di cremosità.

Nonostante il colore tenue è fresca e squisita la granita alla fragola, arricchita da una panna montata superiore agli standard catanesi.

BAR EUROPA - Catania - Granita fragola

GUSTI CONSIGLIATI: fragola con panna

Caffe Europa Corso Italia 302 – Catania

22 GRAN CAFE SOLAIRE – ACITREZZA (CT)

Venticinque passi contati. Tanto distano l’Eden Bar e il Gran Caffè Solaire, i due bar che si contendono la preferenza degli abitanti di Acitrezza. Eppure le granite sono molto simili.

Il Caffè Solaire, piccolo locale che consente di rimirare l’isola Lachea, presenta la granita nei bicchieri bassi e rotondi.

E’ fresca, digeribile, leggera e colorata. I gusti alla frutta prevalgono, specie i fichi (ma solo ad agosto, nel periodo della raccolta), e il melone cantalupo.

GUSTI CONSIGLIATI: melone

Gran Cafe Solaire – Via Provinciale n.81, Acitrezza (CT)

#21 IRRERA – MESSINA (CT)

Granita - Irrera - Messina

Essere una delle più note pasticcerie siciliane è una bella responsabilità. I giudizi, spesso ingiustamente critici, sono all’ordine del giorno.

Un destino che accomuna Savia a Catania e Irrera a Messina. Questa, in particolare, nella centralissima piazza Cairoli, ha il merito di allietare le estati dei residenti dal 1910 con una serie di dolci spettacolari, e di rinfrescarle con le granite.

Granita - Irrera - MessinaGranita - Irrera - MessinaGranita - Irrera - Messina

Soddisfazione garantita anche per la brioscia, soffice, dal sapore delicato, integrazione ideale della “mezza con panna”.

Granita - Irrera - MessinaGranita - Irrera - Messina

Invece la granita ai gelsi è troppo aspra, a conferma della superiorità dei bar catanesi nell’impiego del frutto che dev’essere né troppo né poco maturo per rendere al massimo. Se è molto maturo porta con sé il sentore del mosto in fermento, altrimenti è molto aspro, praticamente immangiabile.

GUSTI CONSIGLIATI: fragola con panna

Irrera – Piazza Cairoti n.12, Messina

#20 BAR BIVY – CATANIA

Via Caronda 365. Ci troviamo nel posto più catanese di questa tosta classifica.

Bar Bivy - Catania

Il proprietario è Vittorio Sant’Angelo, detto Bivy per una vaga quanto improbabile somiglianza nel modo di giocare a pallone con Edy Bivi, ex bomber del Catanzaro (?!).

Bar Bivy - Catania

Il locale è sempre quello che il signor Ranno, nome comune a molti pasticcieri catanesi, lasciò a Bivy affinché continuasse a produrre granite nel modo che sapeva. Del resto Sant’Angelo ci lavorava dall’età di 11 anni.

I suoi clienti possiamo definirli influencer del quartiere, catanesi veraci dalla battuta pronta che quando proviamo a fotografare dicono che no, non è il caso di finire sul giornale per la seconda volta.

Le granite imperdibili sono quelle alla frutta, specie pesca e cantalupo, il migliore provato finora.

GUSTI CONSIGLIATI: cantalupo, pesca

Bar Bivy – Via Caronda 365, Catania

#19 BAR F.LLI AVERNA – RIPOSTO (CT)

A Riposto, trovate la grande pasticceria gelateria dei fratelli Averna in Corso Italia. La recente ristrutturazione ha aiutato a mantenere viva l’attenzione dei residenti.

Bar Averna - Riposto

La granita è catanese in tutti i sensi, con la mandorla pastosa e intensa e il cioccolato rinfrescante.

Si consuma con impeccabili briosce calde o con i fragranti gemellini con la ciciulena.

GUSTI CONSIGLIATI: mandorla, cioccolato

Bar F.lli Averna – Corso Italia n.41 , Riposto (CT)

#18 BAR AL PLATANO – MESSINA

Ortaggi, fiori, frutti come cetriolo, gelsomino e mandarino: la granita del bar Al Platano si distingue per i gusti atipici e sfiziosi, sorprendendo i messinesi abituati alla classica “mezza con panna”.

Il Platano - MessinaGranita Zenzero - Platano

Una consistenza maggiore avrebbe portato il piccolo bar messinese ancora più in alto nella classifica di Dissapore

GUSTI CONSIGLIATI: zenzero, gelsomino

Bar Al Platano – Via Consolare Pompea n.79, (CT)

#17 ZZU ORAZIO – ACITREZZA (CT)

Mercato Ittico Acitrezza

Acitrezza. Tre di notte. La movida notturna si confonde con i pescatori locali che caricano e scaricano il pesce, mentre l’aroma delle briosce profuma le vie del paese.

Lui, lo Zzu Orazio, con la sua sicilianissima “lapa” (Ape) è sempre lì, ogni santissima notte, una garanzia per chiunque lo conosca. Di poche parole, si limita a qualche raro gesto del capo per dire ‘si’ oppure ‘no’.

ZZu Orazio - Acitrezza

Zzu Orazio - Mercato Ittico Acitrezza

Tratta tutti con la stessa brusca cortesia, i ragazzi usciti dalla discoteca per consumare il rito della granita, come i pescatori ancora sporchi di sangue del pesce che hanno spezzettato in tranci.

La granita ha il sapore di quella che i siciliani adulti mangiavano da bambini. La granita delle “lape”, che giravano e girano ancora suonando il fischietto per annunciarsi, e riponendo le granite nei “panari” calati dai balconi.

I gusti migliori sono gelsi e limone, l’orario preferibile le 3:00 del mattino, quando al mercato arriva il pesce migliore e le briosce servite dallo Zu Orazio sono ancora calde.

GUSTI CONSIGLIATI: limone, gelsi

Zzu Orazio – la notte al mercato ittico di Acitrezza (CT), di giorno in via Livorno all’altezza del civico 43, Acutezza (CT)

#16 DODDIS – MESSINA ()

Dodds Messina

Da Doddis i messinesi consumano la granita come momento di pausa conviviale. L’odore penetrante dei mobili in noce porta indietro nel tempo, complice l’atmosfera della sala interna che ricorda le pasticcerie francesi.

Doddis - Messina

La granita è preparata e servita con attenzione certosina. Quella al caffè, sulla cui panna vengono adagiati uno per uno i chicchi di caffè, colpisce per le sfumature del colore.

Un aspetto impeccabile che vale a questa granita il titolo di “mezza con panna” migliore di Messina.

Granita caffè e panna - Doddis - MessinaDoddis Granita al CaffèCaffè con panna Doddis

GUSTI CONSIGLIATI: fragola con panna, caffe con panna

Doddis – Via Giuseppe Garibaldi n.414, Messina

#15 IL TUO GELATO 2 – MARZAMEMI (SR)

Due fratelli appassionati di gelato e granite. Una gelateria più micro che mini, ben inserita nel paesaggio della piazza di Marzamemi, luogo dalla bellezza struggente non ancora sopraffatto dai turisti.

Il tuo gelato 2 - MarzamemiIl tuo gelato 2 MArzamemi

La granita non è di quelle istintive, anzi, i due fratelli studiano in continuazione il modo di renderla migliore.

Granita - Il tuo gelato 2 - MArzamemiBrioscia - MArzmamemi - Il tuo gelato 2

Strappiamo la promessa di un impegno maggiore anche per la brioscia, rotonda, senza tuppo, ma meno morbida di quanto ci si aspetta guardandola.

Marzamemi

GUSTI CONSIGLIATI: fragola e limone

Il tuo gelato 2 – Via Letizia n.7, Marzamemi (SR)

#14 BAMBAR – TAORMINA

Rosario Bambara, in arte Saretto, non passa inosservato. Né il locale, né lui, né tantomeno le sue granite.

Bambar TaorminaBambar Taormina

La rappresentazione della Sicilia inscenata dal Bam Bar di Taormina, dove tutto è carico come in un grande e variopinto carretto siciliano, è ormai nota.

Sullo sfondo delle maioliche colorate, idolo dei turisti che lo amano smodatamente, “Saretto” sembra il monopolista delle granite.

Bambar Taormina

Una molla più che un uomo: serve ai tavoli mentre rimprovera teatralmente un dipendente che non tiene il passo, poi snocciola le 24 diverse granite passando dall’idioma cinese, a quello turco o al giapponese.

Intanto nel micro laboratorio si preparano granite in continuazione, di tutti i gusti, che nonostante ricordino dei buoni frullati, sanno accontentare non solo i turisti, ma anche i siciliani.

GUSTI CONSIGLIATI: kiwi

BAMBAR – Via Giovanni di Giovanni n.45, Taormina (ME)

#13 CAFFE SICILIA – NOTO (SR)

Il caffè nella strada principale della città, protetta dall’Unesco, a pochi passi dal Duomo dorato, è proprietà di Corrado Assenza, mostro sacro della pasticceria siciliana, e della sua famiglia.

Eppure il Caffe Sicilia, a Noto, resta una pasticceria di nicchia, come di nicchia è la sua granita.

Caffè Sicilia - NotoCaffè Sicilia - Noto

E’ un fatto a sé, con regole proprie, servita in piccole ciotole di porcellana bianca, rigorosamente monogusto.

Caffè Sicilia - NotoCaffè Sicilia - NotoCaffè Sicilia - NotoCaffè Sicilia - Noto

Corrado Assenza sottrae il ridondante della pasticceria isolana lasciando spazio al gusto naturale, al sapore di ciò che è: mandorla di Noto, arancia rossa di Sicilia, caffè espresso.

Se il miracolo della granita siciliana è di rinfrescare e allo stesso tempo arricriàre (ricreare, rigenerare) questa rinfresca soltanto, finisce per somigliare al sorbetto.

La panna, molto buona, viene preparata con latte di pecora, mentre la brioscia dalle forme imperfette, di grande sostanza, è il completamento ideale per questa granita.

Granita fragola e pomodoro - Caffè Sicilia - Noto

GUSTI CONSIGLIATI: fragola e pomodoro

Caffe Sicilia – Corso Vittorio Emanuele n.125, Noto (SR)

#12 BAR TORINO – MESSINA

A Messina, il rito della granita prevede anche il consumo in piedi, magari davanti al bancone. In particolare quando le granite sono leggere e finiscono presto come al bar Torino.

Aiuta molto la panna, eterea e francamente irresistibile.

Il rito si consuma nel bar di corso Cavour, che quest’anno festeggia i 50 anni di attività, dove la signora Marzullo, moglie del titolare, s’impegna senza sosta con la fierezza e l’orgoglio tipici dei messinesi.

Il locale di dimensioni contenute deve il nome alla passione calcistica del padre del titolare, noto ai più come signor Torino.

Bar Torino Messina

Il bancone del bar alterna le granite al mezzofreddo (caffe) macchiato.

GUSTI CONSIGLIATI: nemmeno a dirlo: caffè con panna

Bar Torino – Corso Cavour n.153 , Messina

#11 BAR DE LUCA – BRIGA MARINA (ME)

A pochi chilometri da Messina, la gelateria colpisce per il grande bancone, capace di secretare i gusti in una serie infinita di pozzetti.

Bar De Luca - Briga Marina

Il bar De Luca, amato da intenditori siciliani e non, occupa con i suoi tavolini una piccola piazza in questi giorni di fine luglio bardata a festa.

La cornice non è certo delle più spettacolari.

Eppure qui vengono da tutte le parti in qualsiasi periodo dell’anno per gustare una granita come si deve: a renderla speciale sono soprattutto gli ingredienti, come dimostrano le fragoline di bosco da accompagnare con la panna.

Bar De Luca - Briga MarinaBar De Luca - Briga Marina

A parte le regine delle granite, fragola, mandorla e caffè, colpiscono gusti come la banana, ma più per la stranezza che per il sapore.

GUSTI CONSIGLIATI: fragole e fragoline

Bar De Luca – Via Nazionale n.208, Briga Marina, (ME)

[CREDIT – FOTO ALFIO BONINA]

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